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Egitto, Israele e stabilitĂ  regionale

Miscela Strategica – Dalla salita al potere del generale Al-Sisi, complice la sua avversione per i Fratelli Musulmani, il rapporto tra Israele ed Egitto si è consolidato. Una relazione dettata da interessi reciproci legati alla sicurezza della regione, con particolare attenzione alla penisola del Sinai ed alla Striscia di Gaza, ed economici, relativi all’approvvigionamento di risorse energetiche

La riappacificazione tra Hamas e Fatah e l’esito delle nuove elezioni palestinesi potrebbero, nei prossimi mesi, mettere a dura prova le doti da mediatore del rais egiziano.

UN RAPPORTO SPECIALE – Quello con l’Egitto è per Israele, da quasi 40 anni, un rapporto di buon vicinato praticamente inedito rispetto ai rapporti tra lo Stato Ebraico e gli altri attori arabi della regione. Con il Trattato di Washington del 1979, che mise fine a piĂą di trent’anni di scontri e tensioni, l’Egitto fu infatti il primo paese del Medio Oriente a riconoscere Israele. Fu l’inizio di una relazione che, tra alti e bassi, prosegue tuttora. Un rapporto dettato sia da esigenze geostrategiche che da interessi economici. L’Egitto, per ragioni storiche e geografiche, ha spesso vestito i panni del primo intermediario tra Gerusalemme e i palestinesi, in particolare con riferimento alla Striscia di Gaza, confinante con l’Egitto stesso e dal 2007 controllata da Hamas, movimento nato da una costola dei Fratelli Musulmani e considerato terrorista sia da Israele che dal mondo occidentale. Questo anche e nonostante una parte consistente dell’opinione pubblica egiziana, quella piĂą intransigente afferente alla galassia islamista, veda di pessimo occhio qualsivoglia rapporto con il vicino ebraico. A partire dal colpo di stato egiziano del 2013 con cui il Presidente Morsi, esponente dei Fratelli Musulmani, venne deposto a favore del generale Abd al-Fattah Al-Sisi, il rapporto tra le due nazioni è andato sempre piĂą cementandosi. Questo anche e soprattutto per far fronte alla grossa situazione di instabilitĂ  e insicurezza che, a partire della primavere arabe del 2011, imperversa in tutto il Medio Oriente. In particolare, alla minaccia che giunge dalla penisola del Sinai.

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NUMERI

38: gli anni trascorsi dalla firma del Trattato di Washigton del 1979 – basato sugli Accordi di Camp David dell’anno precedente – con cui l’Egitto è stato il primo paese arabo a riconoscere Israele. Il solo ad averlo fatto sin qui, oltre ad esso, è la Giordania.

9: gli anni passati dall’ultima visita di un Ministro degli Esteri egiziano in Israele

$80: i miliardi di dollari di aiuti militari forniti dagli Stati Uniti all’Egitto dal trattato di Washington del 1979

$38: i miliardi che saranno invece forniti a Israele dagli Usa durante i prossimi dieci anni, secondo il principio del Qme (Quantitative Minimum Edge)

$1.73: i miliardi di dollari dovuti dall’Egitto a Israele per l’importazione di gas naturale. Cifra di cui si sta negoziando una riduzione per far ripartire gli scambi.

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Fig.1 – Suggestiva immagine delle bandiere egiziana e israeliana 

TRA SINAI, HAMAS E GAS NATURALE – La minaccia più avvertita da entrambi i Paesi è quella proveniente dalla penisola del Sinai – regione storicamente contesa e che dal 1979 è stata riconosciuta da Israele come appartenente al Cairo –  area di operazioni di diversi gruppi terroristici legati allo Stato Islamico. Un pericolo che, negli ultimi mesi, ha portato Israele a concedere maggior flessibilità all’Egitto, rispetto a quanto previsto dal trattato di fine anni Settanta, nel trasferimento di armi e nello stanziamento di truppe nell’area. Alcuni report, non del tutto confermati, parlano persino di raid di Gerusalemme autorizzati dal Cairo sui miliziani islamisti della penisola. Sempre nel Mar Rosso, alcuni media egiziani di opposizione hanno pubblicato una conversazione tra il ministro degli esteri egiziano e l’ambasciatore di Israele al Cairo che evidenzierebbe il coordinamento tra i due Paesi anche sul controverso trasferimento delle isole Sanafir e Tiran, cedute ad aprile 2016 dall’Egitto all’Arabia Saudita.

Le frizioni tra governo egiziano ed Hamas hanno rappresentato un ulteriore stimolo al riavvicinamento. Con l’arrivo dell’ex generale, infatti, si è assistito nel paese ad un progressivo ostracismo dalla vita politica dei Fratelli Musulmani, tra i maggiori sostenitori del movimento palestinese. Un atteggiamento cui, sul fronte estero, ha corrisposto una sempre maggior cooperazione – attraverso collaborazioni tra intelligence e stati maggiori – tra Egitto e Israele sulla questione della Striscia di Gaza, esemplificata dalla forti immagini della distruzione dei tunnel di collegamento – nati per aggirare il blocco imposto da Israele sul territorio – tra la Striscia e il Sinai, iniziati a fine 2015 dall’esercito egiziano. Tali tunnel sono spesso utilizzati per il traffico di armi clandestine.

Un altro ambito di fondamentale importanza strategicadi recente sotto i riflettori è quello legato allo scambio di gas naturale. Fino al 2012 e per vent’anni, Israele ha acquistato gas egiziano grazie ad un accordo ad hoc. Negli ultimi mesi le due parti sarebbero al lavoro per raggiungere una nuova intesa che permetterebbe anche allo Stato Ebraico di esportare le proprie risorse energetiche piĂą liberamente in Egitto.

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Fig.2 – Addestramento di un guerrigliero in un tunnel di Gaza

CON AL-SISI IL PUNTO PIU’ ALTO – “I rapporti tra Israele ed Egitto sono in questo momento ai livelli piĂą alti della storia” ha dichiarato recentemente ad Al Jazeera Nathan Thrall, analista israeliano della ONG ICG (International Crisis Group). Una situazione suggellata da importanti eventi simbolici come la riapertura dell’ambasciata israeliana al Cairo nel 2015 (dopo che fu chiusa da Morsi a seguito di alcune proteste nel 2012 contro i raid di Israele su Gaza) o la visita a Tel Aviv del ministro degli esteri egiziano Sameh Shoukry, avvenuta nel luglio 2016, dopo piĂą di un decennio dell’ultima volta in cui un ministro degli esteri del Cairo aveva incontrato un premier israeliano in veste ufficiale in Israele.

A questo proposito, clamorosa è stata, a fine dicembre, la mossa dell’Egitto di far post-porre, in sede di Consiglio di Sicurezza Onu, il voto della risoluzione sugli insediamenti israeliani in Cisgiordania. Risoluzione che, come è noto, è stata comunque votata per iniziativa di Nuova Zelanda, Venezuela, Senegal e Malesia – e con l’altrettanto clamorosa astensione degli Stati Uniti – dichiarando illegali gli insediamenti.

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Fig.3 – Il confine Israelo-Egiziano nel Sinai

COLLABORAZIONE IN CRESCITA – Il rapporto tra le due nazioni è sempre piĂą in consolidamento ed è prevedibile un’ulteriore crescita. Ciò è confermato anche dalle dichiarazioni ufficiali rilasciate dalle autoritĂ  israeliane lo scorso 10 febbraio con cui si evidenziava la necessitĂ  di un maggior coordinamento con l’Egitto per la sicurezza del Sinai. Questo a seguito del lancio di due missili, avvenuto il giorno prima, partiti dalla penisola e diretti contro il resort turistico ebraico di Eliat e rivendicati dall’Isis. La relazione tra Egitto e Israele si interseca con un’altra rete di rapporti, ossia quella che è stata definita dall’ex generale israeliano Aaron Zeefi “l’asse moderato” tra lo Stato Ebraico e le nazioni arabo-sunnite dell’area – Giordania, Marocco, Turchia e le monarchie del Golfo, sul cui ruolo nello scacchiere mediorientale vi sono però molte ombre. Un asse che ha preso forma negli ultimi cinque anni per contenere le mire dell’Iran, sciita, sul Medio Oriente in primis. Ma tale collaborazione – alleanza è troppo! – è utile sia a Israele che alle altre nazioni arabe  anche per tenere lontana la minaccia del terrorismo islamista dai propri confini. Con riguardo al Sinai, in particolare, l’Egitto di Al-Sisi ha dimostrato in piĂą occasioni di non essere in grado di mantenere da solo il controllo dell’area, in cui diverse porzioni del territorio sono controllate dai miliziani dello Stato Islamico. Il coordinamento con Gerusalemme appare imprescindibile per la sicurezza dei confini di entrambi gli Stati. A questo, come ricordato in precedenza, si aggiunge il ruolo dell’Egitto, rilanciato da Al-Sisi a metĂ  2016, di mediatore nel conflitto israelo-palestinese.

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Fig.4 – Soldati egiziani presidiano le strade di Sharm el-Sheik

L’INCOGNITA PALESTINESE – E’ proprio dalla Palestina che potrebbero sorgere i maggiori intoppi. L’accordo raggiunto a metà gennaio tra Fatah – il movimento guidato da Abu Mazen, che dal 2007 controlla la Cisgiordania – e Hamas per la formazione di un governo di unità nazionale palestinese potrebbe infatti scombinare le carte. Da quando è al potere, infatti, Al-Sisi ha deciso di boicottare ferocemente Hamas, strizzando invece l’occhio al Governo di Abu Mazen. Un’eventuale vittoria di Hamas alle prossime elezioni, le prime dal conflitto interno palestinese del 2007, che si dovrebbero tenere in primavera a seguito della riconciliazione tra le due fazioni, potrebbe portare Al-Sisi in una posizione politicamente scomoda per poter essere un mediatore credibile tra Israele e la Palestina. Diverso sarebbe in caso di vittoria di Fatah, anche se a prescindere non è pensabile che la Palestina decida di fare a meno dell’Egitto, ed è più probabile che sia il nuovo Governo di unità nazionale – da chiunque sarà guidato – a cercare un accordo con il generale del Cairo, e non l’opposto. Dal canto suo, Al-Sisi deve comunque guardarsi dalla larga fetta di opinione pubblica e società civile che già osteggia qualsivoglia rapporto con lo Stato Ebraico, e che mai accetterebbe un abbandono egiziano dell’Autorità Palestinese. Se è vero che il Generale ha dato più volte prova di non farsi scrupoli nel reprimere qualsiasi forma di dissenso interno, è improbabile che decida di scaricare la Palestina. Proprio per questo, se è vero che i rapporti tra Israele ed Egitto continueranno in nome della sicurezza regionale, è da escludere che sfoceranno in una netta scelta di campo di Al-Sisi a favore di Gerusalemme per quanto riguarda il conflitto israelo-palestinese. Anche se,  nel caso in cui Hamas dovesse arrivare a guidare da sola tutti i territori amministrati dall’Autorià Palestinese, nei prossimi mesi le doti da mediatore di Al-Sisi potrebbero essere messe a dura prova.

Giulio Monga

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Fig.5 – Soldatesse israeliane si preparano ad un pattugliamento al confine

[one_half][box type=”note” align=alignleft”” class=”” width=””]RISCHI

  • Un’eventuale salita al potere di Hamas potrebbe portare ad uno strappo netto tra Palestina ed Egitto che, sebbene non sia lo scenario piĂą probabile, non sarebbe totalmente da escludere.
  • Viceversa, una Palestina unita – magari guidata da Fatah o da un governo di unitĂ  nazionale – che trovasse però un muro da parte israeliana per un eventuale dialogo potrebbe spingere Al-Sisi a spingere con maggior vigore per la causa palestinese. Se il dialogo tra AutoritĂ  Palestinese e l’Israele di Netanyahu effettivamente appare molto in salita, è però difficile ipotizzare che il rais egiziano rinunci al rapporto con lo Stato Ebraico.
  • L’insofferenza palestinese, ed in particolare degli abitanti di Gaza, particolarmente acuitasi durante gli ultimi anni, rappresenta, a prescindere dalle evoluzioni politiche dell’area, una seria minaccia alla stabilitĂ  dell’area. La questione va maneggiata con cura, perchĂ© il conflitto è sempre latente e basterebbe solo una piccola miccia per farlo riesplodere.

 

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VARIABILI

  • Il maggiore rafforzamento dello Stato Islamico nel Sinai potrebbe indurre i due paesi ad implementare la propria collaborazione. Un’alleanza militare totale avrebbe ancor di piĂą dell’inedito, ma per ora è un’ipotesi lontana dalla realtĂ  dei fatti.
  • Il raggiungimento dell’accordo sul gas naturale potrebbe avere un effetto positivo su tutti gli scambi commerciali tra i due paesi, contribuendo al rafforzamento della loro asse.
  • Il regime di Al-Sisi, sostanzialmente una dittatura militare, ha portato una stabilitĂ  solo relativa in Egitto e basata soprattutto sulla strategia del terrore. Nonostante il forte malcontento, soprattutto della frange islamiste del paese, una sua caduta non è ipotizzabile al momento e probabilmente non lo sarĂ  per diversi anni. Qualora però dovesse verificarsi un clamoroso rovesciamento, a risentirne sarebbe tutta la regione.

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Foto di copertina di Facts for a Better Future rilasciata con licenza Attribution-ShareAlike License

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Giulio Monga
Giulio Monga

Classe ’93. Studente di giurisprudenza con passione per il diritto internazionale e i diritti umani. Giornalista in erba che cerca di farsi strada da alcuni anni con collaborazioni frenetiche. Appassionato da sempre di geopolitica – Stati Uniti e Medio Oriente su tutti -, uno dei pochi a leggere il Corriere partendo dalla pagina degli Esteri. Sogno un futuro in questi campi. Interesse per la politica e a volte perfino per chi la fa. Amore per la musica e per il Milan.

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