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Corea del Sud nella tempesta: dopo l’impeachment, le elezioni anticipate

La peggiore crisi politica che la Sesta Repubblica ricordi ha appena raggiunto il proprio apice: l’impopolare Presidente Park Geun-hye, coinvolta in un grave scandalo, è stata allontanata dalla carica su sentenza della Corte Costituzionale. Entro sessanta giorni sarà eletto un nuovo Presidente, in quella che sarà la campagna elettorale più frenetica e incerta della storia della Corea del Sud

L’IMPEACHMENT DI PARK – La procedura di impeachment contro la Presidente conservatrice Park Geun-hye, iniziata ufficialmente il 9 dicembre 2016 con l’approvazione di una mozione di sfiducia da parte dell’Assemblea Nazionale, è terminata il 10 marzo scorso, dopo mesi di tensione e mobilitazione della società civile. La Corte Costituzionale, già sotto organico di un giudice, ha dovuto procedere rapidamente, imponendosi come termine di tempo il 13 marzo, il giorno che precede l’esaurimento del mandato sessennale della Presidente della Corte. La sentenza, approvata all’unanimità dalla Corte, riconosce la colpevolezza di Park nell’aver violato, per abuso di potere, la costituzione, e pertanto ne sancisce l’allontanamento definitivo dalla carica, già sospesa dal 9 dicembre per motivi precauzionali. Il Primo Ministro Hwang Kyo-ahn che, sulla base dell’art. 71 della costituzione, ha assunto da quel giorno i poteri della Presidente ad interim, rimarrà in carica fino alle prossime elezioni, da tenersi entro sessanta giorni. Le indagini, nonostante il tentativo di ostruzione da parte del Primo Ministro, si sono concluse qualche giorno prima della sentenza e hanno fatto chiarezza sulle relazioni tra Park Geun-hye, figlia del controverso Presidente Park Chung-hee, e l’amica d’infanzia Choi Soon-sil. Quest’ultima, una civile, ha ricorso al proprio ascendente sulla Presidente per indurla a utilizzare la propria influenza per estorcere favori e grosse somme di denaro ad alcuni Chaebol, i grandi conglomerati a gestione familiare che dominano il panorama economico del Paese asiatico. Questa vicenda ha posto al centro dell’attenzione anche le preesistenti relazioni simbiotiche che da decenni legano questi grandi conglomerati con le istituzioni politiche coreane, legami definibili non a torto di crony capitalism. È la prima volta nella storia del Paese che un Presidente viene destituito seguendo una procedura di impeachment: soltanto un altro Presidente, Roh Moo-hyun, dodici anni fa, si avvicinò a un epilogo simile, ma in quel caso la Corte Costituzionale rigettò la mozione di impeachment.

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Fig. 1 – Park Geun-hye parla alla nazione dopo essere rimasta coinvolta nello scandalo Choi nel novembre 2016. Tutti i tentativi della Presidente sudocoreana di evitare l’impeachment si sono rivelati vani

SEMPRE PIÙ FRATTURE – Durante gli ultimi tre mesi, il sistema partitico della Corea del Sud ha continuato a evolversi seguendo l’oramai consolidato trend alla frammentazione. Il sistema, che dopo l’ottima performance del Partito del Popolo alle elezioni generali di aprile 2016, si era evoluto da bipartitico a tripartitico, è ora nientemeno che quadripartitico, come conseguenza della nascita del partito di centro-destra Bareun a fine dicembre: la nuova formazione politica è nata da una scissione all’interno di Saenuri, il partito di Park Geun-hye, dopo che all’interno di quest’ultimo erano sorte tensioni tra i sostenitori e gli oppositori della Presidente in vista del voto sulla mozione di impeachment del 9 dicembre. Attualmente Bareun raccoglie 32 parlamentari anti-Park fuoriusciti da Saenuri. La scissione nel centro-destra ha comportato un pesante mutamento dei rapporti di forza all’interno dell’Assemblea Nazionale: Saenuri (che di recente ha cambiato nome in Liberty) ha perso la maggioranza relativa all’interno dell’aula, calando da 128 a 94 seggi. Ora la maggioranza relativa appartiene al principale partito di opposizione, Minjoo, progressista, forte dei suoi 121 seggi su 300. Seguono il Partito del Popolo, con 39 seggi, Bareun con 32, Giustizia (un piccolo partito socialdemocratico) a quota 6 e gli indipendenti, che in tutto sono 7. Sulla base di questo nuovo ordine, non più tripartitico, il Partito del Popolo, formazione centrista e anti-establishment, non può più ambire a divenire l’ago della bilancia del processo legislativo, perché l’equilibrio di potenza tra il centro-destra conservatore e i progressisti, dopo la frammentazione della destra, che non compone un fronte unico, si è sbilanciato a favore di Minjoo. Emerge subito un particolare: nessun gruppo parlamentare raggiunge individualmente la maggioranza assoluta dei seggi. Ciò potrebbe costituire un serio problema per il futuro: in una Repubblica Presidenziale quale la Corea del Sud, dove l’organo legislativo non può sfiduciare l’esecutivo, e il Capo di Governo (che è anche capo di Stato) non può sciogliere l’organo legislativo, ciò che si rischia è una paralisi a livello istituzionale del sistema politico. L’esecutivo infatti, se supportato solo da una minoranza di lawmakers, rischia una relegazione all’ordinaria amministrazione, perché senza un adeguato sostegno a livello legislativo esso non sarà in grado di realizzare le politiche pubbliche e le riforme promesse agli elettori. La scarsa propensione a derive coalizionali del sistema partitico coreano, e la presenza di ben due partiti, Bareun e il Partito del Popolo, nati da scissioni, e quindi interessati a mantenere una demarcazione verso il partito di origine, complicano ulteriromente la situazione, che almeno per il breve periodo, rimarrà quasi certamente precaria.

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Fig. 2 – Manifestanti bruciano una bandiera del partito Saenuri durante una protesta contro la Presidente Park, dicembre 2016

LE ELEZIONI ANTICIPATE: LA CRISI DI LIBERTY – Entro sessanta giorni dalla data della sentenza, in Corea del Sud, dovranno tenersi le elezioni anticipate per il nuovo Presidente della Repubblica, che per i prossimi cinque anni svolgerà la funzione di Capo di Stato e di Governo. I prossimi due mesi saranno quindi dominati da una campagna elettorale che si prospetta particolarmente frenetica: in un rush di sessanta giorni i partiti dovranno infatti svolgere le rispettive primarie per poi affrontarsi nell’elezione vera e propria, che si terrà il 9 Maggio. Il sistema elettorale utilizzato per le elezioni presidenziale è il first past the post, noto anche come maggioritario plurality, che richiede una semplice maggioranza relativa per vincere la Presidenza. Al nuovo inquilino della Casa Blu spetterà una grande responsabilità politica: quella di ripristinare la credibilità della carica presidenziale, offuscata dal recente scandalo, restituendo decoro e autorevolezza. La tornata elettorale vedrà come protagonisti ben quattro partiti: non si vedeva un numero così elevato di partecipanti dal 1987, anno delle prime elezioni democratiche. L’elevata frammentazione partitica, coniugata al risveglio critico di buona parte della popolazione coreana, resasi protagonista di grandi mobilitazioni e manifestazioni, contribuiranno a rendere la tornata elettorale assai competitiva, al punto da far diventare credibile l’ipotesi di una eventuale sconfitta di Liberty (ex partito Saenuri). Ciò potrebbe comportare la prima alternanza al Governo dopo dieci anni di predominio dei conservatori. Liberty, che si trova pesantemente screditato dal recente scandalo e indebolito all’interno dell’Assemblea Nazionale dalla scissione di Bareun, sta vivendo una fase di profondo declino. Il partito inoltre deve anche trovare un adeguato candidato per le elezioni: l’ex Segretario Generale dell’ONU, Ban Ki-moon, aveva comunicato la sua intenzione di correre per Liberty (al tempo ancora Saenuri), ma da oltre un mese si è ritirato dalla corsa a causa di uno scandalo finanziario in Vietnam che ha colpito il fratello e il nipote, ora sotto stato d’accusa in una corte federale negli Stati Uniti. Non è da escludere una possibile candidatura, in extrema ratio, del Primo Ministro (e presidente ad interim) Hwang Kyo-ahn, da indipendente, ma appoggiato da Liberty. L’esito di questa elezione sarà determinato in primis dal numero di elettori disposti a punire il partito al Governo, Liberty, votando per qualche altro partito, e in secondo luogo dalla modalità in cui sarà spartita, tra le alternative, questa quota di volatilità elettorale.

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Fig. 3 – Ban Ki-moon, ex Segretario Generale dell’ONU, ritiratosi dalla corsa presidenziale sudcoreana a causa di uno scandalo finanziario che ha coinvolti alcuni membri della sua famiglia

LE ALTERNATIVE A LIBERTY – Gli elettori delusi all’operato di Liberty avranno di fronte tre principali alternative elettorali, se escludiamo i partiti minori. Esse sono: 1) Bareun, che si propone come concorrente di Liberty per l’elettorato di centro-destra; 2) Minjoo, il principale partito di opposizione e di tendenza progressista; 3) il Partito del Popolo, formazione politica anti-establishment che nel 2016 ha sconvolto i tradizionali equilibri bipartitici sudcoreani.
Per quanto riguarda Bareun, che sta cercando di ottenere la fiducia degli elettori conservatori, esso deve far fronte a due seri problemi: anzitutto, è un partito giovane e la sua (relativamente) breve esistenza potrebbe renderlo vittima di scarsa identificabilità; in secondo luogo, esso possiede solo 32 seggi sui 300 dell’Assemblea Nazionale, una quantità che non permetterebbe lontanamente a questo partito di reggere un esecutivo.
Passando invece a Minjoo, esso è apertamente schierato contro il dispiegamento del sistema anti-missile THAAD sul suolo coreano ed è anche fortemente critico verso il predominio economico dei Chaebol. Dato il suo numero di seggi all’Assemblea Nazionale, che compongono la maggioranza relativa in aula, Minjoo è, almeno in teoria, il partito con la maggiore possibilità di riuscire a sostenere un Governo in questa frammentata legislatura. I suoi candidati sono molteplici e si sfideranno alle primarie del partito per ottenere l’investitura ufficiale. Attualmente, il candidato favorito sarebbe Moon Jae-in, politico dell’ala progressista di Minjoo, con una lunga carriera alle spalle, nonché membro di spicco del partito. I suoi principali avversari saranno il governatore An Hee-jung, e il sindaco di Seongman Lee Jae-myung, definito il “Bernie Sanders della Corea”.
Ultimo sfidante di rilievo per le elezioni presidenziali, il Partito del Popolo selezionerà presto il suo candidato tramite primarie, alle quali parteciperanno anche i due fondatori e ex dirigenti del partito, Ahn Cheol-soo e Chun Jung-bae. Il partito, che ha ottenuto risultati incoraggianti alle elezioni legislative di aprile 2016 (dove prese più voti ma meno seggi di Minjoo), potrebbe rappresentare un possibile rivale per Minjoo. Ma poiché esso possiede solo 39 seggi all’Assemblea Nazionale, si troverà in svantaggio per lo stesso motivo strutturale di Bareun. In base a quanto affermato da alcuni sondaggi, Moon Jae-in, sconfitto nel 2012 da Park Geun-hye, sarebbe per ora il candidato favorito alla vittoria in queste presidenziali (sempre se vincerà le primarie), ma è naturalmente ancora tutto da vedere. Come in parte accennato nei precedenti paragrafi, l’esito di queste elezioni sarà determinato da tre variabili: la volatilità elettorale; lo scarto elettorale tra Liberty e Bareun, che si contenderanno la stessa fascia di elettorato conservatrice; e infine lo scarto elettorale tra Minjoo e il Partito del Popolo, che invece competeranno per i voti dell’elettorato progressista.

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Fig. 4 – Sostenitori del partito Minjoo durante le elezioni parlamentari dell’aprile 2016. Il principale candidato del loro partito, Moon Jae-in, ha le maggiori chance di vincere le prossime presidenziali

Minjoo, che per ora è il partito favorito, potrà ottenere una vittoria netta nel caso in cui si verifichi un’elevata volatilità elettorale, accompagnata da un basso scarto elettorale tra Liberty e Bareun (segno che ques’ultimo è riuscito a sottrarre voti a Liberty) e un elevato scarto tra il numero dei suoi voti e quello del Partito del Popolo. Sulla base di queste tre variabili, Minjoo dovrebbe considerare come principale rivale il Partito del Popolo, che alle elezioni legislative dell’anno scorso vinse quasi la totalità della Jeolla, una regione strategicamente vitale per i partiti progressisti. Nell’attuale contesto elettorale, caratterizzato da un’eccezionale fluidità, l’incertezza sarà sempre dietro l’angolo, e la fuoriuscita da Minjoo di Kim Chong-in (ex leader ad interim del partito, critico verso il progressismo di Moon Jae-in), desideroso di costruire un proprio partito e candidarsi anch’esso alla Presidenza in contrapposizione a Moon Jae-in, potrebbe riservare amare sorprese.

Simone Munzittu

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

La regione storica della Jeolla, con oltre cinque milioni di abitanti, è considerata come il bastione liberal del Paese: a partire dal 1987, anno di nascita della Sesta Repubblica, in questa regione i partiti progressisti hanno sempre ottenuto consensi elettorali molto ampi, che spesso si sono rivelati determinanti per portare candidati come Kim Dae-jung e Roh Moo-hyun alla Casa Blu. Un discorso simile è da riservare anche per le elezioni legislative: per i partiti progressisti la regione è sempre stata un serbatoio di collegi uninominali relativamente facili da vincere. Possiamo affermare che, per le presidenziali di quest’anno, la regione sarà quindi al centro dell’attenzione del Partito del Popolo, che nella Jeolla ha trovato già grandi consensi alle elezioni legislative di aprile 2016. Anche Minjoo, che in quelle stesse elezioni subì un tracollo nella regione, dovrà, per massimizzare le proprie chance di vittoria, investire e recuperare il terreno perduto nella Jeolla.[/box]

Foto di copertina di Foreign and Commonwealth Office rilasciata con licenza Attribution License

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Simone Munzittu
Simone Munzittu

Sono nato in Sardegna nel 1996, a Cagliari. Presso l’ateneo di questa città ho conseguito con lode una laurea in Scienze Politiche, con una tesi sull’ascesa della partisanship nel Congresso degli Stati Uniti. Le mie più grandi passioni sono di natura economico-politica, e proprio di questo mi occupo all’interno del Caffè Geopolitico, nell’area dell’Asia-Pacifico. La Cina è il Paese che mi appassiona e che caratterizza i miei studi: attualmente vivo a Pechino, nell’ambito di un programma di laurea specialistica double degree tra l’Università di Torino e la Beijing Foreign Studies University. Inoltre, amo la storia, la musica, i giochi di strategia, la Formula 1 (da ferrarista convinto)… e anche il caffè.

 

 

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