Nel suo viaggio a Mosca alla vigilia delle elezioni presidenziali che lo hanno visto trionfare al primo turno Aleksandar Vucic aveva incassato l’endorsement di Vladimir Putin: quello tra la Russia e la Serbia è un rapporto storicamente significativo, anche se non privo di momenti di frizione e stravolgimenti al limite del colpo di scena
L’IMPERO ZARISTA E I BALCANI OCCIDENTALI – È un complesso di interessi decisamente composito, quello che lega, ormai da secoli, la Russia al cuore della regione dominata dalla penisola balcanica. Un rapporto rimasto costantemente nevralgico, nel corso della sua storia, nonostante i due territori siano stati protagonisti di alcuni tra i più radicali e drastici mutamenti di carattere politico, economico e di assetto confinario cui il mondo delle relazioni internazionali abbia mai assistito in età moderna.
Tradizionalmente, lo scostamento di equilibri geopolitici che porta all’ingresso della Russia nel novero delle potenze che contano per i destini dell’Europa è segnato dal trattato di Kucuk Kaynarca (1774) che, nell’infliggere il colpo che segna il lentissimo ed inesorabile declino dell’Impero ottomano, assegna all’Impero zarista non soltanto lo sbocco sul Mar Nero e il diritto di transito nei Dardanelli, ma anche quello di vigilare sulla tutela delle numerose popolazioni ortodosse delle province sotto l’egida del Sultano. Desiderosa di attuare il progetto di espansione che avrebbe dovuto portare la Russia al pieno dominio degli stretti sui mari caldi, la dirigenza zarista individua nell’elemento serbo ed i suoi propositi di realizzazione identitaria il possibile grimaldello in grado di poter sfaldare definitivamente il dominio ottomano sull’Europa centro-meridionale.
Fig.1 – Una delle ultime immagini di Re Aleksandar Obrenovic e sua moglie Draga, ritratti in visita a Budapest, pochi mesi prima del loro brutale assassinio nel 1903
Quello che ne consegue è un secolo di insurrezioni e di progressivo riconoscimento dell’autonomia di Belgrado rispetto alla Sublime Porta: tuttavia, nonostante gli obiettivi politici comuni e nonostante la fratellanza suggellata da lingua, sangue e religione, tra Russia e Serbia si sviluppa una relazione altalenante, ambivalente e a tratti decisamente tesa. Belgrado appoggia San Pietroburgo nel conflitto contro i Turchi del 1806-1812 ma sposa la linea di neutralità adottata inizialmente dall’Austria in occasione della guerra di Crimea (1853-1856). Dall’altro lato, nel momento decisivo, l’Impero Zarista promuove la rivolta che culmina con la dichiarazione di guerra di Serbia e Montenegro alla Sublime Porta nel 1876 ma, quando le due nazioni balcaniche subiscono le prime disfatte militari, decide di ritirare loro il proprio supporto e di puntare, invece, sulla Bulgaria. Ne consegue che la piena indipendenza internazionale riconosciuta alla Serbia, guidata dalla dinastia Obrenovic, con il Congresso di Berlino del 1878 si realizza con il beneplacito dell’Austria-Ungheria, che intercede altresì per far assegnare alla Serbia territori che San Pietroburgo avrebbe voluto far annettere alla Bulgaria. Ma l’equilibrio, ancora una volta, si sfalda: nel giugno del 1903 un efferato massacro toglie di mezzo gli Obrenovic e fa tornare sul trono serbo i Karadjordjevic, filo-russi. Ovviamente, la prova più consistente della ritrovata alleanza si ha con la Prima guerra mondiale. Dalla quale, tra le altre, emergono due trasformazioni di una certa rilevanza: la nascita dell’Unione Sovietica, da un lato, e di un Regno unitario con serbi, croati e sloveni sotto lo stesso scettro, dall’altro che, dal colpo di Stato (ennesimo) del 1929, assume il nome di Jugoslavia.
DALLA GUERRA FREDDA AL NUOVO MILLENNIO – Gli eventi che dalla Seconda Guerra Mondiale alla fase iniziale della Guerra Fredda in Europa comportarono uno sconvolgimento delle tradizionali direttrici geostrategiche. Lo stesso Stalin lo sintetizzò efficacemente nelle sue conversazioni con Milovan Djlas, braccio destro di Tito nonché intellettuale di riferimento della nascente Jugoslavia socialista. In un volume di memorie, Djilas narra di come il leader georgiano abbia descritto le conseguenze del conflitto quali foriere di una nuova era, sottolineando a riguardo come chi arrivi ad occupare un territorio vi imponga per la prima volta nella storia – a suo dire – non soltanto la propria presenza militare, ma soprattutto, il proprio sistema socio-economico.
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Fig. 2 – Il leader sovietico Leonid Breznev accoglie Josip “Tito” Broz a Mosca nel 1979
Paradossalmente, quanto previsto da Stalin si invera con l’eccezione più evidente proprio nella Jugoslavia, in cui l’ideologia della Federazione guidata da Tito resta, in una certa misura, subordinata rispetto alla geopolitica tradizionale che, mutatis mutandis, ricalca quella della Serbia ottocentesca, emancipatasi sfruttando soprattutto le rivalità tra gli Imperi zarista e austro-ungarico. Dal celebre strappo con Stalin del 1948, Belgrado sopravvive nella tensione bipolare incuneandosi nella competizione tra Unione Sovietica e Stati Uniti: Tito resta fino alla morte un comunista ortodosso ma, se nel 1956 appoggia l’intervento di Mosca in Ungheria, nel 1968 condanna quello volto a spazzare via la Primavera di Praga o ancora, negli ultimi mesi di vita, si batte con tutte le sue forze al vertice di Cuba del 1979 per evitare che il suo Movimento dei Non Allineati si snaturi e divenga un’appendice filo-sovietica.
Le conseguenze drammatiche della fine del mondo bipolare investono specialmente Mosca e Belgrado: dalle rispettive disgregazioni emergono una Federazione Russa, in maniera quasi indolore, ed una nuova Serbia indipendente, sanguinosamente sconfitta nei suoi propositi di mantenimento dello Stato unitario e non ancora pienamente riappacificata con parte dei nuovi vicini d’area.
Fig. 3 – Murales comparso a Belgrado durante la campagna elettorale per le recenti presidenziali: la didascalia tra i ritratti di Trump e Putin afferma che “il Kosovo è Serbia”
LA SERBIA DI NUOVO IN EQUILIBRIO – Se, negli anni ’90, la Russia di Eltsin, sia pure fornendo a Belgrado un limitato sostegno economico e fungendo da megafono delle istanze serbe in seno al Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, non era riuscita ad imporsi diplomaticamente su Stati Uniti e NATO, l’ascesa di Vladimir Putin ha fatto tornare Mosca nelle vesti di attore di primo piano sulla scena dei Balcani occidentali.
Retrocessa nella sua sfera d’influenza ad occidente con l’allargamento dell’Alleanza Atlantica del 2004, la Russia ha reagito concentrando i propri sforzi nelle relazioni con i tradizionali fratelli ortodossi, rafforzandone i legami economico-commerciali e militari. Sotto il primo profilo, Mosca ha investito soprattutto nel settore energetico e in quello delle infrastrutture, grazie all’accordo del 2008 con cui la Gazprom ha acquisito oltre il 50% della NIS, l’omologa di Belgrado; e, in tempi più recenti, con un accordo del 2015 e perfezionato l’estate scorsa, investendo oltre 800 milioni di di dollari nell’ammodernamento della rete ferroviaria serba, dopo che il Premier Aleksandar Vucic nel 2014 aveva rifiutato l’invito di Bruxelles di unirsi alle sanzioni economiche dell’Unione Europea nei confronti della Russia.
Sul piano militare, nel 2012 la Russia ha provveduto a creare nel sud della Serbia, vicino l’aeroporto di Niš, una struttura adibita ufficialmente a centro d’emergenza per le calamità naturali ma ritenuta, dagli analisti occidentali, una risposta alla politica di espansione della NATO in Montenegro e dotata di caratteristiche che andrebbero ben oltre i propositi umanitari.
Inoltre, lo scorso anno, Mosca ha donato a Belgrado sei caccia MiG-29, le cui modalità di consegna sono state discusse, tra gli altri temi, nella capitale russa durante la visita al Cremlino che Aleksandar Vucic ha effettuato alla vigilia delle elezioni presidenziali che lo hanno visto trionfare al primo turno lo scorso 2 aprile.
Fig. 4 – Aleksandar Vucic stringe la mano a Vladimir Putin durante la sua ultima visita a Mosca, 27 marzo 2017
L’ormai Presidente in pectore aveva incassato il sostegno, non propriamente in linea con il protocollo istituzionale, da parte di Vladimir Putin, ribadendo poi pubblicamente, a margine dell’incontro, l’identità di vedute con Mosca circa la tutela dell’integrità territoriale della Serbia. Ma, se certamente la questione relativa al Kosovo appare priva di ambiguità nei rapporti tra i due Paesi, allargando la lente politico-internazionale non si può ignorare come, anche nello scenario attuale, Belgrado non possa esimersi dal controbilanciare l’ombra russa con lo sguardo ad occidente: come Vienna nell’ottocento o Washington nel novecento, oggi l’amicizia di Bruxelles costituisce per la Repubblica ortodossa un riferimento necessario per la propria sopravvivenza, nonché l’espediente perfetto per la completa normalizzazione nei rapporti regionali. Putin ha auspicato che anche il successore di Vucic alla carica di Primo Ministro possa essere una persona che abbia a cuore la corsia preferenziale Mosca-Belgrado e, indubbiamente, il nuovo Governo, qualsiasi sarà la nuova guida, non reciderà i legami con la Russia. Altrettanto sicuro, però, che continuerà a lavorare senza esitazioni nella direzione tracciata da ormai un decennio: quella volta a fare includere definitivamente la Serbia nella famiglia dell’Unione Europea.
Riccardo Monaco
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
I risultati delle elezioni presidenziali del 2 aprile hanno restituito all’opinione pubblica internazionale una mappatura politica della Serbia perfettamente in linea con le previsioni della vigilia.
Aleksandar Vucic ha sì trionfato agevolmente al primo turno, con oltre il 55% delle preferenze espresse, ma lo ha fatto in una tornata in cui soltanto poco più di un avente diritto su due si è recato alle urne.
Dall’altro lato, la sfiducia della popolazione nei confronti del panorama politico nazionale ha fatto sì che il terzo classificato con quasi il 10% sia stato il comico Luka “Beli” Maksimovic, artefice di una campagna elettorale assolutamente satirica. Lo ha preceduto l’ex Ombudsuman della Repubblica Sasa Jankovic con il 16%: percentuale da considerarsi deludente, visto l’impegno profuso dalla classe intellettuale serba nell’appoggiarne la candidatura.
Ad ogni modo, il risultato elettorale è risultato gradito a Vladimir Putin: il Presidente della Federazione Russia si è prontamente congratulato con Vucic tramite un telegramma, ed il suo portavoce, Dmitry Peskov, il 3 aprile, ha ribadito il supporto al leader progressista, ponendo l’accento sulle radici storiche, culturali e religiose tra i due Paesi e auspicando che possano fungere da riferimento anche per gli sviluppi presenti e futuri.[/box]
Foto di copertina di Jovan Markovic rilasciata con licenza Attribution License