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Présidentielle 2017: la Francia al voto – Intervista a Francesco Maselli

Per provare a comprendere una delle elezioni presidenziali più combattute e sorprendenti della storia della Francia abbiamo intervistato Francesco Maselli, giornalista che, vivendo a Parigi, ha seguito da vicino la campagna elettorale e l’ha raccontata attraverso una seguita newsletter settimanale

1. Nell’ultima newsletter che hai pubblicato affermi che nel settembre 2016 sarebbe stato impensabile ipotizzare una situazione così combattuta a poche ore dal voto. Quali sono le ragioni che hanno condotto a un simile esito? Sta mutando il sistema politico francese?

Le ragioni che hanno portato a questo esito sono molteplici e alcune affondano le radici molto tempo fa quindi sarebbe complicato evocarle tutte. Di sicuro, però, le due presidenze che si sono susseguite negli ultimi dieci anni (Sarkozy 2007-2012; Hollande 2012-2017) sono parzialmente colpevoli per la situazione attuale. Per la prima volta, infatti, ci sono stati cinque anni di destra e cinque anni di sinistra che non hanno risolto nulla. I francesi, di conseguenza, si sono sentiti un po’ persi. Il terreno, dunque, era favorevole a dei cambiamenti molto profondi ma, ciò nonostante, a settembre si pensava che la voglia di rivincita della destra – dopo aver perso le elezioni del 2012 per pochissimo – avrebbe alla fine condotto il suo candidato all’Eliseo. Tra l’altro, si credeva potesse essere Juppé dato il suo profilo capace di drenare voti anche a sinistra – come poi effettivamente successo durante le primarie – e in grado di federare la gran parte degli elettori di fronte al pericolo di Marine Le Pen – che negli ultimi anni ha dimostrato di essere molto competitiva elettoralmente, quantomeno al primo turno. Poi è successo che le primarie della destra sono state vinte da François Fillon – che ha spostato l’asse del Partito Repubblicano più a destra – e, soprattutto, che il presidente uscente non si è ripresentato tanto era impopolare. La mancata partecipazione di Hollande non ha strutturato la campagna intorno al bilancio del presidente uscente – in genere è così che funziona – e ha fatto sì che la sinistra esplodesse, presa da Macron alla destra e da Mélenchon alla sinistra. Quindi stiamo assistendo a una rivoluzione del sistema politico che prima era difficile da immaginare.

2. Nell’ultimo mese l’ascesa inaspettata di Jean-Luc Mélenchon ha sparigliato le carte in tavola. Qual è la ricetta del suo successo?

Innanzitutto, è indubbio che c’è un grande spazio dal punto di vista politico per la sua azione. Il suo successo, tra l’altro, è un’altra grande sorpresa perché Mélenchon rappresenta una sinistra che non è nuova. Lui non propone nulla di innovativo a differenza di Hamon, che si era posto un po’ come candidato rappresentante una rivoluzione delle idee. Mélenchon, alla fine, ha un programma di sinistra protestatario-radicale piuttosto classico che si rifà anche ai modelli del rivoluzionarismo sudamericano. Lui, a tale riguardo, ha più volte detto di ispirarsi a Chavez e a Fidel Castro e, ieri mattina, ha addirittura paragonato le manifestazioni che in questo momento si stanno svolgendo in Venezuela a quelle contro la riforma del lavoro che si sono svolte in Francia. Questo è Mélenchon. Noi non ci aspettavamo una cosa del genere e, invece, questa sinistra protestataria sta guadagnando consensi. Perché? Innanzitutto perché, come detto, il partito socialista si è liquefatto, quindi moltissime persone che lo avrebbero votato e si sentono un po’ più di sinistra si sono spostate su Mélenchon. Inoltre, la grande protesta che è montata in questi mesi – nutrita, come già detto prima, da questi dieci anni perduti – un po’ è andata a finire nell’astensione e un po’ su Marine Le Pen e su Mélenchon che rappresenta, comunque, la volontà di rompere il sistema che ha governato la Francia negli ultimi anni. Infine, è stato molto bravo nei dibattiti, dove si è mostrato rassicurante – cosa che non era fino al 2012 – sfruttando queste occasioni mediatiche che aveva tanto criticato ma che effettivamente gli sono servite per accreditarsi come candidato competitivo. Questa è un’altra novità di questa campagna: in genere i dibatti non spostano molti voti, mentre abbiamo notato che sia Fillon che Mélenchon non solo li hanno sfruttati a dovere ma devono moltissimo agli stessi. Senza dibattiti Fillon probabilmente non le avrebbe vinte le primarie. Per cui, come ho scritto, viva le campagne elettorali!

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Fig. 1 – Jean-Luc Mélenchon arringa la folla (2012)

3. Come si spiega il tracollo del candidato del Partito Socialista, Hamon, e lo spostamento delle preferenze su Mélenchon?

In due modi: innanzitutto bisogna considerare che Hamon ha sì vinto le primarie, ma viene dalla parte protestataria dalla sinistra, cioè ha lavorato negli ultimi due anni e mezzo per fare cadere il Governo del suo partito, partito dal quale dice di essere stato tradito. Probabilmente è vero, però se hai lavorato per due anni per fare cadere il tuo Governo poi non ti puoi sorprendere sei i tuoi compagni non ti sostengono. Gran parte del Partito Socialista è fuggito e fare campagna con un apparato che ti rema contro non è facilissimo. Oltre a questo ha passato un mese a rincorrere Yannick Jadot, candidato ecologista che valeva l’1% senza, in pratica, fare campagna: io ho avuto difficoltà a seguirlo perché mentre gli altri giravano, tenevano comizi e così via lui non faceva nulla. Tra l’altro ha anche rinnegato la sua idea più riconoscibile e più forte, quella del reddito universale, perché alla critica che non si sarebbe potuto fare visto il costo esorbitante (circa 350 miliardi di Euro), ha iniziato a dire “allora non lo facciamo per tutti”, “lo facciamo solo per i ragazzi tra i 18 e i 25 anni”, “lo facciamo solo se guadagnate meno di due volte salario minimo”. Così facendo ha annacquato l’unica idea fortissima che aveva. Appurato che Mélenchon era un candidato molto più di protesta rispetto a lui e forte nei sondaggi, alla fine molti elettori si sono spostati abbandonando Hamon.

4. Quali sono le cause sottostanti al successo di Mélenchon e Le Pen nella presente corsa all’Eliseo?

C’è, come ho detto, una grande delusione rispetto alle politiche tradizionali e ai partiti tradizionali che spinge gran parte dei francesi a sostenere delle forze alternative. Se per Mélenchon è ancora un voto di protesta puro – e fino a due settimane fa nessuno pensava che avrebbe potuto giocarsela per accedere al secondo turno –, Marine Le Pen già ha fatto un salto di qualità: rispetto al padre non è più solo protesta. Quando si ottiene più del 25% alle regionali è difficile dire che sia solo protesta. Ha chiaramente una vocazione a vincere e governare anche se, per ora, con il sistema a doppio turno le viene impedito. Alle regionali era in testa in tutti i ballottaggi e li ha persi tutti: la logica vorrebbe che succedesse la stessa cosa anche alle presidenziali. Indubbiamente, però, è a metà del guado: ora deve deve dimostrare di riuscire a trovare alleati e accreditarsi come partito frequentabile per poter governare. Questo sarebbe il passo successivo, infatti molti dicono che il suo vero obiettivo sia il 2022… Tra i due, comunque, ci sono sicuramente dei grandi collegamenti dal punto di vista economico. Ad esempio c’è questa critica profonda all’Unione Europea, da cambiare o da cui uscire. C’è, poi, una gran voglia di protezione delle aziende francesi, che Marine Le Pen chiama “protezionismo patriottico” mentre Mélenchon chiama “protezionismo solidale” ma che, oltre al nome differente, mostrano lo stesso intento di proteggersi dall’economia di mercato – questione che negli altri candidati è abbastanza assente. Ambedue, inoltre, sono accomunati dalla volontà di fare grandi spese per sostenere l’economia: sono gli unici programmi che prevedono investimenti pubblici per più di cento miliardi di Euro – soldi che, en passant, i francesi non hanno. C’è una chiara volontà di aumentare il peso dello Stato nell’economia – già molto elevato in Francia – al contrario di quanto si è cercato di fare negli ultimi anni. C’è, poi, il ritorno della pensione a sessant’anni che propongono entrambi… per cui ci sono sicuramente dei punti di contatto tra i due. Dove non ci sono è sul rapporto con l’immigrazione che è la prima grande proposta di Marine le Pen. La sua ossessione è “rimettiamo le frontiere”, cosa che da Mélenchon non si sentirà mai dire. La Le Pen, invece, ha iniziato i suoi ultimi due grandi comizi dichiarando che con lei, dal giorno dopo le elezioni, l’immigrazione cesserebbe. Al contrario, Mélenchon ha spiegato che, allo stato attuale, chi dice che è possibile fermare l’immigrazione non ha capito niente. Questo marca una grande differenza tra i due. Per ciò che concerne la parte economica, invece, non dobbiamo dimenticare che estrema destra ed estrema sinistra non sono mai state, nella storia, troppo lontane – anche se nel caso particolare è strano in quanto il Front National nasce come partito ultra-liberista: il padre di Marine Le Pen, infatti, voleva portare Reagan in Francia. Comunque, in realtà, che ci siano punti di contatto non è nemmeno così fuori da qualunque logica: loro due non vogliono che si dica ma ci sono, questo è innegabile.

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Fig. 2 – Marine Le Pen durante un comizio elettorale (2012)

5. I principali sconfitti sembrano i due partiti tradizionali…

… sì, è così. È chiaro che avendo avuto per cinquant’anni i due partiti tradizionali che si contendevano la Francia senza che questo duopolio potesse essere messo in discussione – anche se ci aveva provato François Bayrou nel 2007, con una posizione simile a quella attuale di Macron, risultando però sconfitto – se adesso si dovesse avere un secondo turno Macron-Le Pen sarebbe decisamente saltato tutto. Inizialmente pensavo che Fillon potesse farcela ma, dopo gli scandali, la sua candidatura è stata molto indebolita. Adesso ci stiamo chiedendo dove siano finiti gli elettori di destra: tutte le analisi che abbiamo fatto fino a ottobre, infatti, hanno mostrato come comunque c’era un sentimento nel Paese affine ai valori della destra – e sommando Front National e Repubblicani si stava intorno al 60% degli elettori complessivi. Molti, probabilmente, sono finiti nell’astensione e bisogna capire se effettivamente ci rimarranno o, poi, andranno a votare. Io, quindi, non escluderei che Fillon alla fine riesca a farcela perché c’è grande voglia di alternanza, la società francese è molto spostata a destra in questo momento e queste persone non sono semplicemente sparite ma sono solo disperse: se alla fine, nonostante tutto, decidessero comunque di andare a votare per lui perché rappresentante della loro parte politica, niente esclude che lui ce la possa fare ad andare al secondo turno.

6. Dunque, la parziale tenuta di Fillon nonostante gli scandali che lo hanno travolto può essere interpretata positivamente per i Republicans?

Senza dubbio. La destra è messa meglio della sinistra. Ideologicamente parlando ci troviamo in una situazione inversa in quanto la sinistra, in questo momento, ha una grandissima vitalità dal punto di vista delle idee con candidati che rappresentano tutto l’ampio spettro di quello che c’è a sinistra e che fanno anche proposte molto diverse tra loro. La società, però, tende a destra. Alla fine sembrava completamente naufragata la campagna di Fillon e, invece, non è mai sceso sotto il 17,5% nei sondaggi. Dunque esiste un cuore che è rimasto fedele, nonostante tutto. Per adesso l’unica cosa che si può dire, a prescindere dal risultato, è che la sinistra è esplosa e che però, dato il grande fermento, si ricostruirà in altro modo: non sappiamo quale ma è finita una storia e ne sta cominciando un’altra. Mentre nella sinistra è chiaro che succederà, nella destra è difficile ipotizzare dove, come e perché.

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Fig. 3 – François Fillon durante una trasmissione televisiva (2017)

7. Andando su Macron, un altro risultato che ha sorpreso molti commentatori è stata proprio la sua ottima performance che sta rendendo la corsa all’Eliseo, oltre che combattuta, assai anomala. Come si può motivare un simile exploit?

Ci sono una serie di ragioni. La prima è inerente al suo carattere e al suo modo di fare. È una persona che sa usare molto bene i media, quando va in televisione padroneggia lo strumento e nelle interviste è molto efficace. È bello e questo conta perché ha fatto circa sessanta copertine di settimanali nel 2016. La sua, poi, è una storia giornalistica che funziona. Ha una moglie molto mediatica e molto mediatizzata, che ha vent’anni più di lui, di cui si è innamorato quando ne aveva sedici e lei era la sua insegnante di francese al liceo. È rimasto con lei da quel dì. Tutto questo fa sì che ci sia un po’ un romanzo, un romanzo di questo ragazzo proveniente da una piccola cittadina di provincia, che poi è andato prima a studiare filosofia a Parigi e poi ha frequentato Sciences Po, una delle migliori università al mondo; finita questa è entrato all’École nationale d’administration (ENA) – scuola di formazione dei quadri dell’ amministrazione pubblica, una delle più prestigiose scuole di Francia; subito dopo è entrato nell’Ispettorato Generale delle Finanze, il posto pubblico più ambito da chi esce dall’ENA. A trent’anni è nella commissione Attali, nominata da Sarkozy e che riuniva l’élite intellettuale europea. Per cui è una storia e questo lo ha aiutato tantissimo. In più è uno che ha avuto la capacità di comunicare che stava facendo qualcosa di nuovo, perché in Francia non c’è mai stata una posizione centrale che aveva l’ambizione di diventare egemone. Ci sono stati dei centristi ma tutti hanno sempre cercato alleanze per governare. Macron, invece, vuole prendere il meglio da destra e da sinistra senza bisogno di fare alleanze con gli altri perché, secondo lui, i partiti vecchi sono morti ed è giunto il momento di prenderne il posto. Questa è una cosa che non ha fatto nessuno prima di lui. Inoltre ha avuto una serie di congiunzioni astrali e questo lo ha aiutato senza dubbio: è uscito vittorioso il candidato più a destra nelle primarie del partito Repubblicano, facendo confluire su di lui una parte degli elettori di destra più spostati al centro; poi Hollande non si è ricandidato ed è uscito vincitore dalle primarie socialiste il candidato più di sinistra tra quelli possibili e quindi, anche in questo caso, gli elettori più centristi sono confluiti su di lui. Se avessimo avuto Juppé da una parte e Valls dall’altra probabilmente non sarebbe così in alto nei sondaggi. Oltre a questo ha fatto una campagna molto buona e questo è un altro grande merito. Secondo me è anche molto ben consigliato perché ne ha sbagliate davvero poche. Ha gestito abbastanza bene tutti i sostegni che ha avuto da vari esponenti del mondo politico e ha avuto la capacità di affrontare determinati temi, anche scottanti, prima che gli esplodessero in mano: ad esempio, quando ci sono stati i rumors su una sua presunta omosessualità lui ha chiarito subito prima che dilagasse il tutto. E ha tenuto un simile comportamento su moltissime cose: solitamente i politici fanno al contrario, evitando di dare peso ai rumors per non dare credibilità o per nasconderli. Invece lui ha sempre fatto chiarezza, mettendo subito a tacere le voci uscite sul suo conto che avrebbero potuto screditarlo. Poi chiaro che ha avuto fortuna, come detto sopra, dato che il candidato di destra si praticamente è suicidato, quello di sinistra pure e, quindi, ha anche prosperato sugli errori degli altri. Concludendo, secondo me ciò che rende tutto molto interessante è che se alla fine vincesse Macron si ritroverebbe Presidente di una società che culturalmente è molto più a destra di quanto è lui rischiando, quindi, di perdere le legislative e non avere una maggioranza o, comunque, di ritrovarsi con una grande opposizione culturale e sociale nel Paese che dovrebbe governare. Dovrà, nel caso, essere molto bravo a mettere tutto insieme. Vincere le presidenziali è già una sfida enorme per Emmanuel Macron: vincere le presidenziali e poi governare e componendo una maggioranza nelle istituzioni e nel Paese è una sfida successiva molto difficile. Non è detto che non ci riesca ma è indubbiamente una sfida in più. Però queste sono analisi che si faranno dopo.

8. Secondo i sondaggi Macron vincerebbe in uno scontro diretto contro tutti gli altri candidati. Il leader di En Marche!, però, potrebbe non arrivare al secondo turno. Quali sono i rischi per il candidato centrista?

Il suo elettorato è quello più volatile di tutti. Molte persone che dicono di votarlo in realtà non ne sono certe: il rischio è che moltissimi che si dicono affascinati alla fine ritornino nel loro alveo naturale, non votandolo in cabina elettorale. Un altro punto di debolezza è che il suo programma è molto di buon senso: non c’è niente di particolarmente rivoluzionario. Questo è positivo quando poi si va al Governo, ma con un approccio simile è complicato in campagna comunicare di essere un candidato di rottura anche nelle proposte oltre che nella persona. Lui, ad esempio, è il candidato più europeista e lo mette come tratto distintivo… ma non è una proposta. Probabilmente la scelta di strutturare in questo modo la campagna è voluta, ma se parlate con qualcuno ai suoi comizi difficilmente sa elencare tre sue proposte. Ai comizi di Fillon lo sanno fare, da Le Pen, Hamon e Mélenchon pure; lui è più mediatico e leggero come candidato. Non necessariamente è un male ma può essere un problema.

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Fig. 4 – Emmanuel Macron al grande comizio del 17 aprile 2017

9. Domanda obbligata: allo stato attuale delle cose su chi punteresti per la vittoria finale?

[Risata] Punterei su tutti, farei un sistemone in modo da coprirmi dai rischi. Non so cosa dicano i bookmakers: forse punterei su Mélenchon perché è quello più rischioso e che, quindi, paga più di tutti. A parte gli scherzi, è estremamente complesso perché abbiamo tantissimi indecisi (quasi il 30%) e quando la situazione è così è davvero difficile fare previsioni. Non abbiamo nessun dato capace darci una sicurezza. Non so… io penso che la cosa più probabile – ma che non è detto che succeda – è che vinca Macron ma io non sottovaluterei il fatto che, alla fine, la società francese potrebbe fare prevalere Fillon. Veramente siamo nel buio più totale. Non posso darvi una soddisfazione da questo punto di vista.

10. Per concludere, ti chiederei un bilancio del tuo percorso ora che è in dirittura d’arrivo. Come valuti lo stesso? Il risultato corrisponde alle attese? Obiettivi futuri?

È andato al di là delle mie più rosee aspettative e dei miei sogni. Era una scommessa mutuata da Francesco Costa che ha avuto l’idea geniale di iniziare a lavorare in questo modo – io sono stato il secondo a farlo, poi sono nate altre esperienze simili. Lui ha avuto il grande merito di iniziare a far capire che c’era un modo diverso e nuovo per fare informazione, molto legato al rapporto con i lettori. È andato al di là delle mie aspettative perché ho più di 1.200 persone iscritte che mi leggono ogni settimana con un tasso di apertura intorno al 70%, quindi un ottimo risultato. Insomma… funziona! Per quanto riguarda i progetti futuri, continuo sicuramente fino alle legislative – che, probabilmente, saranno anche più importanti delle presidenziali – e poi dal 18 giugno mi prendo una vacanza, spengo tutto e non dico a nessuno dove vado; ho bisogno di staccare. Penso, però, che continuerò in seguito perché faccio il giornalista da Parigi e non voglio abbandonare i miei lettori. Vedrò come strutturale il tutto quando non ci sono le elezioni. Io credo che la Francia sia un Paese raccontato molto male: d’altronde se fosse stato raccontato bene io non avrei avuto, probabilmente, questo successo. Io sarò pure bravo ma, evidentemente, i giornali tradizionali è un lavoro che non fanno più o fanno male. Io ho solo riempito uno spazio lasciato vuoto, forse più per fortuna che per bravura…

… come Macron?

[Risata]

… come Macron, esatto! Quindi sì, credo proprio che continuerò…

… e questa è un’ottima notizia! Grazie e buona fortuna per i tuoi progetti futuri!

Simone Zuccarelli

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Francesco Maselli vive a Parigi, dove ha studiato diritto, e collabora con Il Sole 24 Ore e Pagina99. Da settembre 2016, attraverso una seguita newsletter, informa il pubblico italiano sulla campagna elettorale in Francia, utilizzando lo strumento informatico per provare a rilanciare il giornalismo di qualità.[/box]

Foto di copertina di t_bartherote Licenza: Attribution-ShareAlike License

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Simone Zuccarelli
Simone Zuccarelli

Classe 1992, sono dottore magistrale in Relazioni Internazionali. Da sempre innamorato di storia e strategia militare, ho coltivato nel tempo un profondo interesse per le scienze politiche. 

A ciò si è aggiunta la mia passione per le tematiche transatlantiche e la NATO che sfociata nella fondazione di YATA Italy, sezione giovanile italiana dell’Atlantic Treaty Association, della quale sono Presidente. Sono, inoltre, Executive Vice President di YATA International e Coordinatore Nazionale del Comitato Atlantico Italiano.

Collaboro o ho collaborato anche con altre riviste tra cui OPI, AffarInternazionali, EastWest e Atlantico Quotidiano. Qui al Caffè scrivo su area MENA, relazioni transatlantiche e politica estera americana. Oltre a questo, amo dibattere, viaggiare e leggere. Il tutto accompagnato da un calice di buon vino… o da un buon caffè, ovviamente!

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