A pochi mesi dalla scadenza del periodo di transizione, nonostante i notevoli sforzi e progressi fatti, il raggiungimento di una pace stabile in Mali sembra complesso da ottenere
DOPO L’ACCORDO DI ALGERI – Nell’estate 2015, dopo circa un anno di negoziati, grazie alla mediazione del governo algerino e di un composito team internazionale – UE, UA, ONU, ECOWAS, OCI, Burkina Faso, Chad, Mauritania, Niger – si è giunti alla firma dell’accordo di pace di Algeri tra il governo e i gruppi armati protagonisti della ribellione contro le autorità governative maliane esplosa nel gennaio 2012 nelle regioni settentrionali del Paese. Nel corso dei negoziati il fronte dei ribelli si è organizzato in due coalizioni, un’antigovernativa composta da ribelli Tuareg e arabi denominata Coordination des mouvements de l’Azawad (CMA) e una filogovernativa, composta di milizie di autodifesa nota come Plateforme du 14 juin.
Fig. 1 – La cerimonia tenutasi nel 2015 per cominciare i negoziati di pace tra il governo e le forze ribelli
Questa distinzione si è materializzata in una firma separata del suddetto accordo, avvenuta tra Platforme e Governo il 15 maggio 2015, e a seguire il 20 giugno tra forze governative e CMA. Questo accordo, che mira a dare una soluzione definitiva alla crisi che affligge la regione Nord del Mali denominata Azawad, è focalizzato su diverse aree di intervento: difesa e sicurezza, riforme politiche e istituzionali, sviluppo socio-economico e culturale, ripristino della giustizia e riconciliazione nazionale, gestione della questione umanitaria. Con la firma dell’accordo è cominciato un periodo di transizione di durata compresa tra i 18 e i 24 mesi, nel corso del quale, tra le altre cose, si sarebbero dovute insediare le autorità amministrative provvisorie nelle regioni del Nord. L’Assemblea nazionale avrebbe inoltre dovuto formulare una nuova legge elettorale entro 12 mesi affinché potessero tenersi elezioni locali e regionali entro 18 mesi.
COM’È ANDATA LA TRANSIZIONE – Nel corso dei 22 mesi l’implementazione è stata rallentata dal disaccordo tra Governo e coalizioni di gruppi armati sull’ordine di priorità da seguire. Il governo puntava su disarmo e smobilitazione dei gruppi armati di ex-ribelli, mentre le milizie armate chiedevano progressi concreti sulle questioni politiche e istituzionali. I gruppi armati hanno minacciato a più riprese la sospensione della loro partecipazione agli incontri e violato costantemente gli accordi di cessate il fuoco per via della contesa tra fazioni del CMA e Platforme, per il controllo della regione di Kidal, specialmente tra luglio e settembre del 2016. Nondimeno, sul piano politico-istituzionale numerosi sono stati i passi in avanti compiuti. Nel nord del Paese, il 19 gennaio 2016 sono state istituite le due nuove regioni amministrative di Taoudenni e Ménaka.
Fig. 2 – Koïna AG Ahmadou, governatore della regione di Kidal, accoglie i membri del CMA (Coordination des mouvements de l’Azawad) il 28 febbraio 2017
Nel marzo 2016 sono stati nominati i nuovi governatori delle regioni di Kidal, Taoudenni e Ménaka. Il 19 giugno 2016 è stato raggiunto un accordo tra le parti firmatarie sulle modalità di costituzione delle amministrazioni transitorie nelle cinque regioni del Nord. L’intesa stipulata nel novembre scorso ha decretato la distribuzione del controllo delle cinque regioni settentrionali. Il 9 settembre l’Assemblea nazionale ha adottato la nuova legge elettorale. Il 20 novembre si sono tenute le elezioni comunali. Quelle regionali e locali, ormai in ritardo, sono state pianificate per il primo quadrimestre del 2017, le elezioni presidenziali per il luglio del 2018 e le legislative per il novembre del 2018.
IL MALI OGGI – Dal 27 marzo al 2 aprile 2017 si è tenuta nella capitale Bamako la Conferenza d’accordo nazionale a cui hanno preso parte delegazioni rappresentanti l’intero Paese, schieramenti politici e armati al completo. In quest’occasione viva è stata la discussione sulle cause profonde della crisi. Malgrado la larga partecipazione, non è stata sottoscritta una Carta per la pace, l’unità e la riconciliazione, ma sono state solamente formulate generali raccomandazioni finali. Tra le raccomandazioni è comparsa anche la possibilità di avviare un dialogo con i gruppi terroristici riunitisi a inizio marzo nella nuova formazione Gruppo di sostegno all’Islam e ai musulmani, affiliata di Al-Qaeda.
Fig. 3 – Il jihadista Ahmad al-Faqi al-Mahdi durante la sentenza pronunciata dalla Corte Penale Internazionale all’Aia nel settembre 2016. Al-Mahdi è stato giudicato responsabile della distruzione dei mausolei di Timbuktu, patrimonio dell’UNESCO
Quest’auspicio non ha evidentemente avuto seguito data la rivendicazione dell’uccisione del soldato francese avvenuta lo scorso 5 aprile da parte del leader jihadista Iyad Ag-Ghali e la contrarietà espressa dal Ministro degli Esteri maliano a trattare con i gruppi estremisti a margine dell’incontro trilaterale coi suoi corrispettivi francese e tedesco. Sul piano della lotta all’impunità il primo passo è stato compiuto con la condanna a 9 anni inflitta dalla Corte Penale Internazionale ad Ahmad Al Faqi al Mahdi per il ruolo ricoperto nella distruzione dei mausolei di Timbuktu e l’apertura del processo nei confronti di Amadou Haya Sanogo, fautore del colpo di Stato militare del marzo 2012. La situazione umanitaria è migliorata dall’inizio della crisi: 480.000 sfollati sono ritornati nelle regioni di Gao, Toumboctou, Kidal. Ciononostante 3,5 milioni di persone vivono ancora in stato di bisogno estremo, 141.000 sono rifugiati nei paesi confinanti, 45.000 sono sfollati interni. Quanto sia pressante la minaccia terroristica e precaria la sicurezza di civili e soldati impegnati nel mantenimento della pace è dimostrato dalla proroga per altri dieci giorni dello stato di emergenza su tutto il suolo nazionale proclamato dal governo lo scorso 19 aprile.
Salvatore Loddo
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
L’accordo raggiunto a giugno 2015 è il quinto accordo di pace tra ribelli Tuareg e governo maliano. I quattro precedenti – accordo di Tamarasset (1991), accordo nazionale (1992) accordo di Algeri (2006), accordo di Ougadougou (2013) hanno posto solo temporaneamente fine alle quattro differenti ribellioni Tuareg scoppiate dal 1963.[/box]
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