Taghla, studentessa di 26 anni, è un fiume in piena quando racconta la situazione del popolo saharawi. L’esilio della sua famiglia, la situazione dei campi profughi, il disinteresse internazionale e lo stallo della situazione attuale configurano un problema che da troppo tempo è sottovalutato dagli attori internazionali. Il Sahara occidentale, oltre che essere ancora un caso irrisolto di decolonizzazione, coinvolge numerose problematiche relative alla tutela dei diritti umani e all’autodeterminazione dei popoli.
IL PROBLEMA – Il Sahara Occidentale è una regione dell’Africa nord-occidentale confinante con Marocco, Mauritania e Algeria. Ex colonia spagnola, con un accordo con Marocco e Mauritania del 1975, il governo di Madrid cedette il controllo del Sahara Occidentale ai due stati africani. Quando l’esercito marocchino occupò la zona molti abitanti dovettero fuggire nel vicino deserto algerino dove costituirono i primi campi profughi. Dagli anni ‘60 nacquero numerosi movimenti di liberazione ed il più importante, il Fronte Polisario, pretendeva l’autodeterminazione del popolo saharawi e la creazione di uno stato indipendente. Nel 1976 il Fronte, oltre a reagire militarmente all’occupazione, proclamò la Repubblica Araba Saharawi Democratica, stato che attualmente è riconosciuto solo dall’Unione Africana mentre l’ONU lo definisce ancora come stato non autonomo. Mentre la Mauritania si ritirò dal territorio nel 1979, riconoscendo la RASD, l’occupazione marocchina si intensificò e il governo diede inizio alla costruzione di un muro che divideva la zona in due parti: la fascia più estesa controllata dalla forze marocchine e l’altra sotto il controllo del fronte Polisario. Nel 1991 Marocco e RASD si accordarono per il cessate il fuoco e il Consiglio di sicurezza dell’ONU istituì la missione MINURSO (Misión de las Naciones Unidas para el referéndum del Sáhara Occidental), con il compito di sorvegliare il rispetto del cessate il fuoco, di facilitare il rientro dei profughi e di supervisionare un referendum di autodeterminazione, previsto per il 1992. Da allora le ostilità non sono cessate e il referendum è stato continuamente rinviato.
Mappa del Sahara Occidentale
L’INCONTRO – Taghla studia relazioni internazionali all’Università degli studi di Milano e dal 1996 vive in Italia. Anche se il suo accento toscano tradisce la sua origine, Taghla viene dal Sahara occidentale e precisamente dal campo profughi di Tindouf, nel deserto algerino, dove, ci tiene a sottolineare, “il mio popolo è in esilio da quasi 40 anni!”. “Sono arrivata con un’associazione di Livorno che ogni anno ospita, durante i mesi estivi, i piccoli ambasciatori per la pace. In Italia infatti esistono molte associazioni amiche del popolo saharawi; questo è un modo per far conoscere la nostra causa e per fuggire al caldo del deserto che spesso supera i 50 gradi all’ombra”. “Per problemi sanitari, sono rimasta ospite di una famiglia che mi accoglie ancora oggi come se fossi loro figlia dandomi anche la possibilità di studiare e frequentare le scuole. Nel 2011 mi sono laureata in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali a Pisa e oggi frequento il secondo anno del corso magistrale a Milano”.
Taghla ci spiega quanto sia stata fortunata ma anche come la nostalgia della sua terra si faccia spesso sentire: ”Ho lasciato la mia terra all’età di 10 anni, non è stato facile lasciare la famiglia e vivere in un paese così diverso dal mio; inizialmente era come vivere in un sogno perché vivi in una vera casa e non in una tenda, hai l’acqua corrente, tanti giocattoli e cibo in abbondanza ma vivi comunque con la nostalgia dei tuoi cari, della tua terra e della tua cultura e ben presto capisci anche che è il prezzo da pagare per poter avere un futuro, per studiare e per cercare in qualche modo di aiutare la tua gente”. Continua spiegandoci come spesso anche la burocrazia italiana non è d’aiuto: “ovviamente non ho perso i contatti con la mia terra ma, documenti permettendo (infatti sono 17 anni che annualmente devo rinnovare il permesso di soggiorno, inoltre è da 3 anni che ho fatto domanda per la cittadinanza), ogni anno riesco a tornare nella mia terra dove mi aspettano i miei genitori e i miei 10 fratelli”.
TAGHLA E LA SITUAZIONE DEL SUO POPOLO – Taghla è molto consapevole dei problemi e delle dinamiche che coinvolgono il Sahara Occidentale. Il primo elemento, e forse il più urgente, è la questione umanitaria.
Oggi i saharawi sono divisi da un muro costruito dal Marocco negli anni ’80 in cui sono stanziati più di 135.000 soldati marocchini. Da una parte vi sono le zone occupate dal Marocco, e dall’altra i campi profughi situati nel deserto algerino dove sopravvivono circa 200.000 persone…
…sottolineo sopravvivono, perché riescono ad andare avanti solo grazie agli aiuti umanitari che ultimamente, anche a causa della crisi, sono diminuiti”. “La situazione è complicata anche nei territori occupati, dove noi saharawi siamo perseguitati, non ci è permesso manifestare pacificamente e siamo discriminati rispetto ai cittadini marocchini”. Il secondo elemento, che anche grazie ai suoi studi Taghla conosce bene è la questione di diritto internazionale che coinvolge il Sahara Occidentale. Infatti la situazione può essere inquadrata come uno dei residui casi di colonialismo ancora esistenti nel panorama mondiale. “Il popolo saharawi, specialmente dopo il cessate il fuoco del 1991, si è affidato alle Nazioni Unite affinchè si trovasse un accordo per poter esercitare il nostro sacrosanto diritto all’autodeterminazione! Non vogliamo subire più questa colonizzazione del tutto illegale, con tutte le conseguenze che porta con sé. Ma come al solito gli interessi economici e politico-strategici prevalgono sui diritti dei popoli. Abbiamo anche la “sfortuna” di avere una costa pescosissima (e l’Europa lo sa bene) e un territorio ricco di fosfati, petrolio, ferro. Tutto ciò è una situazione tipica di colonialismo”.
IL CASO DI GDEIM IZIK – Di pochi giorni fa è la notizia della conclusione di un processo che per molti operatori internazionali, tra cui Amnesty International, è stato caratterizzato da gravi irregolarità da parte delle autorità marocchine nei confronti di attivisti saharawi. Taghla, informatissima, ci spiega come “la manifestazione dell’8 Novembre del 2010 a Gdeim Izik, abbia anticipato le manifestazioni che poi avrebbero dato il via alla primavera araba. In quel campo, allestito per rappresentare la protesta saharawi, si sono riunite spontaneamente circa 5000 persone per chiedere pari dignità e pari diritti civili. Il Marocco è intervenuto militarmente sgomberando il campo e causando la morte di diversi cittadini saharawi. Sono seguite numerosi arresti di attivisti saharawi costretti ad una carcerazione preventiva in attesa del processo che si è concluso pochi giorni fa. Un processo vergognoso e inaccettabile anche perché sotto gli occhi della comunità internazionale”.” Il processo è durato pochi giorni“ continua Taghla alzando i toni del discorso “è iniziato l’8 febbraio 2013 e si è concluso solo il 17 febbraio. Nove ergastoli e 14 condanne tra i 20 e i 30 anni, senza certezza di prove e con interrogatori sotto tortura! La cosa più vergognosa è che gli imputati siano stati giudicati da un tribunale militare”.
IL SAHARA OCCIDENTALE OGGI E L’ATTENZIONE DEL MONDO – Il racconto di Taghla continua esaminando come la situazione odierna segni una situazione di stallo e come il suo popolo, dal cessate il fuoco del 1991, abbia sempre rispettato i termini degli accordi internazionali. “Noi abbiamo sempre privilegiato il dialogo e la lotta pacifica, rivendicando il nostro diritto all’autodeterminazione, abbiamo sempre rispettato le varie risoluzioni del Consiglio di Sicurezza (a differenza del Marocco) nella speranza di poter tornare nella nostra terra” poi continua evidenziando la posizione di alcuni stati e attori internazionali “la Francia si è apertamente opposta alla creazione di uno stato indipendente saharawi perché sarebbe un fattore destabilizzante per il Regno marocchino e potrebbe compromettere i suoi interessi.
Dall’altra parte ci sono gli Stati Uniti, da sempre favorevoli al principio di autodeterminazione dei popoli ma che nel nostro caso sembrano aver messo da parte questo principio. La presenza dell’operazione MINURSO dell’ONU appare inutile dato che anche se è presente nei territori occupati non ha un mandato per il rispetto dei diritti umani.” Il paradosso è infatti questo: da una parte nessuno riconosce la sovranità marocchina sul Sahara Occidentale, ma dall’altra parte non si agisce per cambiare questa situazione di congelamento. Taghla conclude sottolineando come “la situazione sia molto complessa, e per trovare una soluzione ci debba essere la volontà da parte della comunità internazionale di risolvere quest’ultimo caso di colonizzazione. Noi saharawi siamo stanchi di aspettare questo referendum, stanchi di aspettare che qualcuno decida per noi.
Sembra che le uniche soluzioni siano o il dialogo, che però non ha portato a nessun risultato, o le armi. Quest’ultima soluzione sta prendendo piede soprattutto tra i giovani delle nuove generazioni che hanno viaggiato e studiato all’estero e capiscono che bisogna fare qualcosa per uscire da questa situazione di impasse
Il grido di Taghla, come quello di molti altri giovani saharawi, si leva forte sia grazie all’associazionismo sia grazie alla potenza mediatica del web. Ciò dimostra come le giovani generazioni siano coscienti e pronti all’azione per difendere il proprio popolo ed è proprio per questo che la comunità internazionale non può più trascurarne la portata.