In 3 sorsi – Migliaia di mauritani vivono in schiavitù, costretti al lavoro forzato da parte delle élites del Paese. Il Governo continua a dimostrare grande riluttanza nell’affrontare il problema, lasciando poco spazio alla speranza di veder eradicare il fenomeno.
1. UN PROBLEMA ENDEMICO
Embed from Getty ImagesLa Mauritania ha formalmente abolito la schiavitù solamente nel 1981, divenendo l’ultimo Paese a farlo, e criminalizzandola nel 2007, un ritardo importante sia rispetto al resto del continente nero, sia a livello globale. Nonostante la legge del 2007, la schiavitù rimane un problema endemico in Mauritania. Infatti, secondo il Global Slavery Index, nel 2018 circa 90mila persone vivevano come schiavi nel Paese e il 62% della popolazione risulta essere vulnerabile al fenomeno.
Il Governo del Presidente Mohamed Ould Ghazouani, come quelli che l’hanno preceduto, stenta a riconoscere la magnitudine del problema, negandone spesso la sua mera esistenza e silenziando gli attivisti che si battono per l’abolizione concreta del lavoro forzato. Tra le figure principali mauritane nella lotta alla schiavitù troviamo Biram Ould Dah Ould Abeid, fondatore dell’Iniziativa per la Rinascita del Movimento Abolizionista, arrestato più volte per il suo vocale attivismo e vincitore nel 2013 del Premio per i Diritti Umani delle Nazioni Unite.
Fig. 1 – L’attivista anti-schiavitù mauritano Biram Ould Dah Ould Abeid dopo la scarcerazione, nel 2016
2. DI GENERAZIONE IN GENERAZIONE
La società mauritana è suddivisa in vere e proprie caste, in base all’etnia di provenienza. All’ultimo posto della gerarchia sociale si trovano le comunità nere, in particolare il popolo Haratine, mentre in cima alla piramide ci sono le élites arabo-berbere. Chiaramente gli Haratine sono i più soggetti a schiavitù, costretti al lavoro forzato da parte della dirigenza mauritana. Secondo alcune stime un haratine su due vive in schiavitù. Come spesso accade sono le donne a pagare il prezzo più alto, essendo frequentemente violentate e condannate a un’esistenza di sfruttamento e abusi continui.
La schiavitù nel Paese si tramanda di generazione in generazione. Si tratta dunque di schiavitù per discendenza: i bambini sono schiavi ancora prima di nascere. Fin dalla tenera età sono impiegati nel lavoro forzato, ad esempio nella cura della casa o del bestiame, e vengono negati loro i diritti più basilari, come il diritto all’istruzione.
Fig. 2 – Manifestazione contro la schiavitù e le discriminazioni nei confronti degli Haratine a Nouakchott, capitale della Mauritania, nel 2015
3. LEGISLAZIONE NAZIONALE E RUOLO DELL’UNIONE AFRICANA
Visto il fallimento della legge del 2007, nel 2015 il Governo mauritano ha adottato una nuova normativa che identifica la schiavitù come crimine contro l’umanità, innalzando la pena prevista da 10 a 20 anni di reclusione. La legge prevede inoltre la creazione di tribunali speciali per far fronte al fenomeno, ma a distanza di sei anni dalla sua adozione sono diversi i dubbi circa la reale attuazione delle disposizioni. Sembra infatti mancare la volontà politica di riconoscere il carattere endemico della schiavitù in Mauritania e gli stessi tribunali a oggi non hanno ancora saputo applicarne il testo per produrre sentenze effettive.
L’Unione Africana, con una mossa senza precedenti, si è dimostrata attiva nel richiedere al Paese un approccio concreto per porre fine alla pratica nel 2018, in seguito a un processo tenutosi presso il Comitato Africano di Esperti sui Diritti e sul Benessere dei Bambini (ACERWC). Due ragazzi, nati in schiavitù, si sono appellati alla Corte, la quale ha emesso un verdetto chiaro: la Mauritania non ha fatto abbastanza per combattere la schiavitù per discendenza. Il Governo è stato inoltre condannato a ripagare i due bambini per aver fallito nel tutelarli dal lavoro forzato. Come dimostrato da questa sentenza l’Unione Africana ha potere in materia e dovrebbe agire con maggiore forza per spingere la Mauritania a fare i conti con la presenza endemica della schiavitù all’interno dei propri confini.
Alessia Rossinotti
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