In 3 sorsi – Il 24 maggio scorso Giacarta è stata vittima dell’ennesimo attentato di matrice islamista, poi rivendicato dallo Stato Islamico. Nonostante una certa efficacia delle misure adottate per contenere il fenomeno jihadista, l’aumento dell’attivitĂ terroristica nel Sud-est asiatico continua a rappresentare una seria minaccia per l’Indonesia e impone alle autoritĂ locali la massima cautela
1. ATTENTATO A GIACARTA – La sera del 24 maggio scorso due attentatori si sono fatti esplodere nella zona est di Giacarta. L’attacco, avvenuto poco prima del passaggio di una fiaccolata che celebrava l’inizio del Ramadan, ha causato 5 morti – 3 poliziotti e 2 attentatori – e 11 feriti. Gli ordigni, ricavati da pentole a pressione, rivelano un filo conduttore con altri attacchi perpetrati dal gruppo Jamaah Ansharut Daulah (JAD), l’ultimo dei quali avvenuto nella cittĂ di Bandung a febbraio. Due giorni dopo l’attentato è arrivata la rivendicazione dello Stato Islamico (IS), con un comunicato dell’agenzia di stampa Amaq.
Mentre sono in corso le indagini per verificare la presenza di una rete terroristica in espansione nel Paese, una domanda sorge spontanea: quanto è seria in Indonesia la minaccia dell’Islam radicale del Califfato?
La storia recente del grande arcipelago ha visto l’intensificarsi degli attacchi terroristici a partire dal 2000, un trend comune a molti Paesi del Sud-est asiatico. Nel 2002 due ordigni esplosivi in un resort di Bali provocarono la morte di 202 persone, mentre l’ultimo attentato di una certa gravitĂ risale al gennaio 2016, quando quattro militanti uccisero due persone in un attacco a un caffè nel cuore di Giacarta.
Fig. 1 – Il tributo dei cittadini di Giacarta per le vittime dell’attacco del 24 maggio scorso
2. LA NUOVA CORRENTE JIHADISTA – Gli attentatori del 24 maggio avevano giurato fedeltĂ all’IS, senza però avere legami con le principali organizzazioni terroristiche attive nel Paese. Tra queste c’è il Jemaah Islamiyah (JI) che, affiliatosi inizialmente ad al-Qaeda, si è reso responsabile dei maggiori attacchi terroristici degli ultimi 15 anni, creando un network transnazionale che lo collega a movimenti malesi e filippini come il Moro Islamic Liberation Front (MILF) e il gruppo Abu Sayyaf. A partire dal 2010, dopo una massiccia operazione di polizia che portò alla cattura di 60 militanti – tra cui il leader spirituale Abu Bakar Bashir – non si ha notizia di nuove azioni del JI.
Secondo gli inquirenti i recenti attentatori farebbero parte di una cupola chiamata Jamaah Ansharut Daulah (JAD). Non un’organizzazione vera e propria, ma un’ombrello che raccoglie una dozzina di gruppi minori uniti dalla fede verso il Califfo al-Baghdadi, tutti di formazione relativamente recente. Diversi osservatori sono concordi nel riferire lo scarso coordinamento tra i membri dei diversi organismi, piĂą simili a lupi solitari che ad un fronte guerrigliero unito.
Questo (probabilmente) perchè le nuove correnti jihadiste indonesiane sposano l’ideologia dello Stato Islamico in sè e per sè, senza cercare di nascondersi in un piĂą generale movimento ribelle o indipendentista come accade in altre realtĂ regionali come le Filippine. Il messaggio della “jihad globale” voluto da al-Baghdadi fa quindi fatica a legarsi al contesto socio-culturale indonesiano, limitandone la presa sulla societĂ civile.
Il merito è dovuto in buona parte all’approccio sociale delle politiche di Giacarta: “utilizzare la violenza e i poteri forti per combattere il terrorismo contribuisce nella misura dell’1% ad affrontare le vere radici del problema”, afferma il Ministro della Difesa Ryamizard Ryacudu.
Fig. 2 – Processo a sette simpatizzanti dell’IS a Giacarta, gennaio 2016. L’accusa principale nei loro confronti è di propaganda ai fini di espandere l’influenza di Daesh nel Paese
3. UNA RISPOSTA CONGIUNTA – Il Presidente Joko Widodo invita la popolazione a mantenere la calma per evitare che la psicosi-terrorismo si propaghi durante il mese sacro del Ramadan. A partire dall’attentato di Bali del 2002, il Governo ha promulgato una serie di leggi anti-terrorismo per smantellare i maggiori network estremisti, promuovendo contemporaneamente politiche di welfare per evitare la radicalizzazione e programmi di riabilitazione per i militanti.
Attualmente, due aspetti preoccupano il Governo di Giacarta: l’espansione del terrorismo nelle Filippine ed il ritorno dei foreign fighters in patria.
Nel corso del quindicesimo Asia Security Summit, conclusosi il 4 giugno a Singapore, è stata espressa la preoccupazione circa l’aumento dell’attivitĂ terroristica nel Sud-est asiatico, legata in particolare allo Stato Islamico. L’attenzione è rivolta soprattutto al Mindanao, l’isola meridionale delle Filippine dove il gruppo estremista Maute combatte contro l’esercito di Manila per il controllo della cittĂ di Marawi. Il Governo di Giacarta teme che le correnti estremiste si propaghino oltre il mare e verso i confini indonesiani, anche grazie al possibile rientro di circa 80 foreign fighters che combattono con i gruppi ribelli filippini.
Per contrastare il fenomeno il Ministero degli Esteri di Giacarta ha proposto una conferenza tripartita, che coinvolga i rappresentanti dei vicini malesi e filippini per avviare una cooperazione piĂą strutturata. Intanto, a partire dal 19 giugno, un’operazione militare congiunta pattuglierĂ le acque a sud del Mindanao, nel tentativo di neutralizzare le incursioni marine dei ribelli.
Fig. 3 – Il Presidente indonesiano Joko Widodo (a sinistra) durante un incontro con il Presidente filippino Rodrigo Duterte, aprile 2017
Emanuel Garavello
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą
Secondo le statistiche governative circa 800 indonesiani sono partiti per combattere al fianco dell’IS in Medio Oriente negli anni scorsi. Di questi, piĂą di 50 sarebbero morti nel corso del conflitto siriano, mentre al dicembre 2016 soltanto 100 risultano giĂ ritornati in patria. Il rientro dei rimanenti foreign fighters costituisce sicuramente la prossima sfida per la tenuta delle politiche anti-terrorismo del Governo. [/box]
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