I recenti incontri tra la leadership tedesca e quella cinese, incentrati sulla necessità di potenziare la partnership sino-europea sia a livello finanziario che ambientale, hanno evidenziato l’importanza di arginare qualsiasi fenomeno di chiusura e isolazionismo sullo scenario internazionale al fine di contribuire al rafforzamento delle singole economie nazionali e del sistema globale. Una possibile chiave interpretativa di tale sviluppo nelle relazioni sino-tedesche è il tema della “Connettività”, teorizzato in parte da Von Bertalanffy e ripreso recentemente dall’autore indiano Parag Khanna, che vede la contrapposizione tra “sistemi aperti” e “sistemi chiusi” nel mondo globalizzato
“SISTEMI APERTI” – Nel 1968 il biologo austriaco Von Bertalanffy pubblicava La Teoria Generale dei Sistemi, opera destinata a rivoluzionare il modo di concepire l’analisi delle organizzazioni in numerose discipline, dalla filosofia alla geopolitica. Ciò che con il tempo abbiamo imparato a definire “sistema”, abbastanza intuitivamente, è per Bertalanffy una qualsiasi entità caratterizzata da più componenti in relazione tra di esse per il raggiungimento di uno specifico fine. Questa caratterizzazione ha portato i ricercatori scientifici e sociali ad abbandonare una metodologia d’indagine riduzionistica per avvalersi di un approccio olistico orientato allo studio dei “legami” tra le parti di una organizzazione più che alle singole caratteristiche delle stesse. E’ in questo ambito poi che lo stesso Bertalanffy ha introdotto il concetto di “sistema aperto” il quale, secondo una accezione del tutto positiva del termine, è in grado di instaurare con i soggetti appartenenti al contesto esterno delle relazioni che consentano di importare ordinatamente nuova materia al suo interno, evitando quindi il declino o la dissoluzione del sistema stesso. Riprendendo le tesi del biologo austriaco nell’ambito delle relazioni internazionali, seppur con diverse modalità d’analisi, esse possono essere viste come regole di base per lo studio dei sistemi internazionali e del loro funzionamento.
Fig. 1 – Un rapporto difficile: la Cancelliera tedesca Angela Merkel e il Presidente americano Donald Trump durante il G7 di Taormina
Ma la teoria di Bertalanffy ha conosciuto recentemente un importante sviluppo a opera di Parag Khanna che, nel suo ultimo lavoro Connectography, ha proposto una nuova spiegazione dei dettami che governano i rapporti tra i soggetti in un mondo in continua evoluzione. L’autore indiano invita a pensare tale mondo secondo un’ottica “funzionale”, ottimizzando terra, lavoro e capitale in un ecosistema globale sempre più connesso. Un ecosistema in cui ogni componente deve necessariamente puntare a sfidare qualsiasi tipo di attrito (frontiere, conflitti commerciali e non, regolamentazioni) per accogliere i cosiddetti flussi (risorse, beni, idee, capitali). Perché? Semplicemente perché ad una maggiore connessione corrisponde una maggiore influenza ed ogni Stato non in grado di adattarsi a questo nuovo e complesso network globale è destinato a fallire.
LA TERRA DI MEZZO TRA IL NUOVO E IL VECCHIO CONTINENTE – Le idee di Bertalanffy e Khanna consentono in primo luogo di formulare una teoria circa l’odierna necessità di affacciarsi al mondo in qualità di “sistema aperto” e, in secondo luogo, di comprendere quali siano effettivamente gli attori propensi a promuovere tale tipo di sistema dopo le elezioni presidenziali americane dell’anno scorso.La Cina è sicuramente uno di questi. Nell’ambito dell’annuale Summit Cina-UE, tenutosi all’inizio dello scorso giugno, la Cina, attraverso il Premier Li Keqiang, ha espresso infatti la volontà di instaurare partnership solide nel Vecchio Continente che possano apportare benefici a tutte le economie interessate: in tal senso Li ha dapprima incontrato Angela Merkel a Berlino, volto di una Germania che in Pechino individua un alleato commercialmente attraente per il suo export e fonte rilevante di risorse finanziarie, e si è poi diretto a Bruxelles dove ha avuto modo, assieme a Donald Tusk e Jean-Claude Juncker, di focalizzare l’attenzione dei leader e della stampa mondiale su temi quali la liberalizzazione degli investimenti e gli accordi di Parigi in merito ai cambiamenti climatici.
Fig. 2 – Una partnership in crescita: Angela Merkel con il Presidente cinese Xi Jinping al G20 di Hangzhou dell’anno scorso
Per quanto concerne la liberalizzazione dei capitali il riferimento del Premier era chiarissimo: la costruzione della nuova Silk Road che coinvolge progetti milionari sull’intero globo e in cui “guadagnare un ruolo attivo” è una possibilità allettante per le casse di qualsiasi Stato. Questo Berlino è ben attenta a non dimenticarlo con i 15 miliardi di dollari di contratti stipulati nel Celeste Impero solamente l’estate scorsa e, ancor di più, in virtù di un quadro politico in cui gli Stati Uniti di Trump sembrano concentrarsi su politiche protezioniste e nazionaliste, secondo la logica dell’America First.
La Terra di Mezzo, così come esplicitato nel discorso tenuto da Xi Jinping durante il Forum relativo all’OBOR (One Belt, One Road) dello scorso maggio, opta quindi per una manovra differente nel mare della globalizzazione. Intende infatti puntare sul “mutual benefit” attraverso la condivisione ampia di capitali, merci, innovazioni, tecnologie e risorse in quanto ciò è direttamente correlato all’opportunità di raggiungimento di una sostenibile crescita globale i cui caratteri imprescindibili devono rintracciarsi nella connettività commerciale, finanziaria ed infrastrutturale. Commerciale poiché, nelle parole del Presidente cinese, le industrie sono alla base dell’economia ed occorre quindi una cooperazione transnazionale della loro capacità produttiva e finanziaria in quanto, configurandosi questa come linfa di un moderno sistema economico, occorre creare nuovi modelli di finanziamento incoraggiando i flussi di capitali pubblici e privati necessari per la costruzione delle infrastrutture fondamentali per raggiungere ogni regione e sfruttarne al massimo le potenzialità.
GLI ACCORDI DI PARIGI E IL PASSO INDIETRO DEGLI USA – Altro importante punto affrontato nel vertice Cina-UE è stato senza dubbio quello dei cambiamenti climatici, in particolare gli impegni internazionali recentemente presi con gli accordi di Parigi. La conferenza di Parigi, come è noto, si è tenuta nel dicembre 2015 e nell’ambito della stessa i 195 Paesi partecipanti si sono trovati concordi, dopo lunghe trattative, circa la necessità di porre in atto delle misure per controllare il riscaldamento globale limitando le emissioni di gas ad effetto serra. Un accordo a cui hanno inizialmente aderito anche Cina, Stati Uniti e India considerati i “grandi inquinatori” del pianeta. Ma, ad oggi, la situazione è mutata. Se da una parte l’Europa continua a tener fede agli accordi presi puntando a ridurre le emissioni del 40% entro il 2030, dall’altra ci sono gli Stati Uniti che, guidati da Donald Trump, hanno comunicato il ritiro del Paese da tali compromessi: le ragioni alla base della scelta risiederebbero in condizioni imposte a Washington che la Casa Bianca ritiene “non giuste” per la propria economia e allo stesso tempo troppo accondiscendenti verso la Cina, tanto da voler procedere ad una completa rinegoziazione degli stessi accordi parigini.
Fig. 3 – Emergenza ecologica: Pechino avvolta dallo smog, maggio 2017
Nel mezzo invece troviamo Pechino, maggior produttore e consumatore mondiale di combustibili fossili che intende proseguire verso la costruzione di una “civiltà ecologica”, vedendo nella difesa dell’ambiente un compito da assolvere attraverso la riduzione dell’inquinamento e la gestione del rapporto tra sviluppo economico e protezione ambientale. Il Governo cinese ritiene infatti che difendere l’ambiente equivalga a difendere la produttività e quindi ad incrementarla. Ciò vuole essere perseguito, ad esempio, tramite lo strumento della “zonizzazione funzionale” per valorizzare o limitare il tasso di sviluppo di alcune regioni grazie anche alla creazione di una rete di “corridoi di ventilazione” in grado di migliorare i flussi d’aria tra l’esterno e l’interno delle città.
La decisione di Trump ha indubbiamente scatenato dure reazioni internazionali. Angela Merkel ha criticato la scelta asserendo che gli Stati Uniti danneggiano così facendo non solo se stessi ma anche il mondo intero.
Ciò incide certamente sulla posizione sempre più incerta di Washington sul piano internazionale. Probabilmente gli USA si stanno configurando come un “sistema chiuso” che, messo in crisi dall’ascesa cinese e ai ferri corti con i partner tradizionali, favorisce indirettamente il rafforzamento delle connessioni economiche tra l’emergente potenza cinese e il resto del mondo. Connessioni che, come detto in precedenza, equivalgono ad ottenere maggiore influenza. Ergo maggior potere.
Federica Russo
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
La Cina, la cui fonte energetica principalmente sfruttata è il carbone, si è impegnata nell’ambito degli accordi di Parigi a diminuire il suo utilizzo del 65% e a procedere inoltre con massicci investimenti nelle energie rinnovabili. [/box]
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