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Guerra commerciale USA-UE? Come può rispondere l’Europa

AnalisiGli Stati Uniti maneggiano la clava dei dazi per imporre le proprie condizioni al commercio internazionale e ricostruire l’industria nazionale. Cosa rischia l’Unione Europea e come può rispondere.

IL RITORNO DEI DAZI

È bastato poco più di un mese del secondo mandato presidenziale di Donald Trump per fare degli Stati Uniti d’America un potenziale nemico dell’Europa. In tema di sicurezza e difesa i colpi che gli USA stanno infliggendo a ottant’anni di cooperazione transatlantica pongono agli europei quesiti esistenziali che necessitano di risposte urgenti, molto difficili da trovare. Quanto alle relazioni commerciali però, l’Unione Europea è più attrezzata ad affrontare la guerra dei dazi doganali annunciata da Trump e dispone dei mezzi e delle competenze per fronteggiare con razionalità la minaccia alla propria economia, anche se difficilmente qualcuno uscirà indenne dal nuovo disordine globale che Washington sembra decisa ad avviare anche nel commercio.
Per ora abbiamo degli annunci roboanti di dazi nei confronti dell’UE, per contrastare il deficit commerciale e le “cattive” politiche europee nei confronti delle aziende statunitensi. Vedremo le misure concrete e se le minacce sono reali o strumenti negoziali per ottenere vantaggi. Per ora sono stati annunciati, in particolare, dazi al 25% sulle importazioni di alluminio e acciaio.

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Fig. 1 – Ursula von der Leyen sta cercando di capire come rispondere ai dazi in arrivo dagli USA

IL PESO DELLE RELAZIONI COMMERCIALI UE-USA

I dati ci dicono che effettivamente l’UE ha un notevole surplus commerciale con gli USA nel mercato dei beni: 157 miliardi di euro nel 2023. D’altro canto, però, nel settore dei servizi l’UE è in deficit commerciale per 109 miliardi. I rapporti tra le due economie non sono dunque così sbilanciati come qualcuno li descrive. Le aziende europee vendono molti beni negli Stati Uniti, ma al contrario noi acquistiamo da loro molti servizi, digitali in primis. Chiaramente dazi americani su beni europei causerebbero danni a quei settori che dipendono di più dal mercato USA, con effetti diversi tra i vari Paesi europei a seconda del tipo di beni colpiti (per esempio le auto). Probabilmente si punta anche su questo per dividere gli europei, spingendoli al negoziato bilaterale, quando invece la politica commerciale comune è di competenza esclusiva dell’Unione Europea. Già alcune voci si levano in tal senso, nell’illusione di poter mercanteggiare condizioni di favore a scapito degli altri. Inutile dire che invece l’UE deve avere un approccio unitario per avere maggior peso negoziale: il mercato unico dell’UE è il più grande mercato del mondo, fatto di circa 450 milioni di persone che rappresentano il 20% del PIL mondiale.

Fig. 2 – Il trend degli scambi bilaterali tra UE e USA

STRATEGIE E RISCHI

Da quanto sopra è evidente come le strategie dell’Europa dovranno comprendere sia il bastone che la carota. Il bastone può essere rappresentato dall’espansione in altri mercati, oltre gli Stati Uniti. E anche, naturalmente, di contro-dazi: i servizi della Commissione Europea hanno già preparato un piano di tariffe da imporre a prodotti e servizi d’oltreatlantico. Anche se una guerra dei dazi non conviene a nessuno. La carota potrebbe consistere nell’aumentare gli acquisti energetici dagli USA, in particolare di gas naturale liquefatto, strada che, pur con qualche compromissione della road-map della transizione verde, avrebbe anche il vantaggio di favorire un affrancamento definitivo dalla Russia. Anche l’acquisto di armamenti, ovviamente, sarebbe ben visto a Washington: qui gli interessi commerciali si intersecano tuttavia con quelli strategici di autonomia difensiva e preferenza per le industrie europee del settore.
Una considerazione importante: i dazi non possono essere considerati, dal punto di vista dell’analisi economica, uno strumento idoneo né tantomeno sufficiente per riequilibrare un disavanzo commerciale, che dipende da diverse variabili macroeconomiche. Il disavanzo degli Stati Uniti, in particolare, deriva dall’esportazione negli USA della capacità produttiva di Europa, Cina e parte del Sud Globale che non è assorbita dai consumi di queste aree. Inoltre, i dazi solitamente danneggiano tanto chi li subisce quanto chi li impone, essendo una tassa che finisce per scaricarsi sui consumatori. Indubbiamente l’aumento dei prezzi dei beni soggetti a dazi orienta la domanda a favore dei produttori locali degli stessi beni, esenti da dazi e dunque in teoria nella possibilità di imporre prezzi inferiori. Difficilmente però gli aumenti dei prezzi sono così selettivi, soprattutto nei complessi processi di produzione attuali, nei quali un singolo bene è fatto di decine, centinaia o migliaia di componenti provenienti spesso da ogni parte del mondo. Di fatto, i dazi finiscono per causare inflazione generalizzata. Purtroppo, comunque, è difficile vedere dietro le decisioni di Trump e dei suoi consiglieri qualunque influenza di una seria teoria o analisi economica. Dunque, l’Europa e il resto del mondo dovranno adattare le proprie strategie ai nuovi comportamenti americani.
È esattamente quello che stiamo cominciando a vedere. Nei giorni scorsi la Presidente della Commissione e l’intero Collegio dei Commissari si sono recati in India, dove è stata annunciata la decisione presa con il Primo Ministro indiano Narendra Modi di concludere entro l’anno un accordo di libero scambio (che era in discussione da anni) e l’avvio di una nuova stagione di scambi bilaterali. La negoziazione non sarà facile, ma se si giungerà a firmarlo, quello UE-India sarà il più grande accordo di libero scambio al mondo. Un segnale molto chiaro dei riposizionamenti già in corso nell’economia mondiale. I dazi, come altre considerazioni di carattere geopolitico, potrebbero spingere vari Paesi a stringere relazioni più strette con l’UE. E inversamente, potrebbero portare l’UE a considerare con attenzione diversa altre aree del mondo. Gli stessi rapporti con la Cina potrebbero essere riorientati su binari diversi da quelli di de-risking della prima Commissione von der Leyen.
Un grande problema del ritorno dei dazi è tuttavia il probabile aumento di incertezza che ne deriverà nei mercati globali. Nell’attuale economia interconnessa, le catene degli approvvigionamenti rischiano di essere perturbate dai cambiamenti, soprattutto se repentini, aumentando i rischi di scarsità o costo eccessivo di prodotti specifici. Inoltre, le incertezze legate ai dazi e al loro impatto possono riflettersi nelle strategie aziendali, spingendo le aziende a posticipare gli investimenti o congelare le strategie di sviluppo. Tutti ostacoli alla crescita economica, soprattutto nel contesto di una transizione verde cui l’Europa si è votata e che già affronta crisi e ripensamenti.

Paolo Pellegrini

Photo by YvonneHuijbens is licensed under CC BY-NC-SA

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Perchè è importante

  • L’Unione Europea vanta un surplus nel commercio di beni con gli Stati Uniti, ma è in deficit commerciale nel settore dei servizi. I dazi doganali non sono utili per riequilibrare i disavanzi commerciali, ma possono fare danni e stimolare l’inflazione.
  • L’UE ha dalla sua il più grande mercato unico del mondo: può negoziare con Trump, contrapporre dazi a sua volta, instaurare legami commerciali con altre aree del mondo. Tuttavia, una guerra dei dazi aumenterà le incertezze del mercato globale.

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Paolo Pellegrini
Paolo Pellegrini

Funzionario della Commissione europea. Si occupa e scrive di relazioni internazionali ed economia.

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