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Dopo Barcellona: le reazioni davanti al terrore

Come abbiamo reagito davanti all’attentato a Barcellona. E come molti aiutino l’ISIS senza saperlo. È possibile adottare delle reazioni “adulte” e consapevoli anche in circostanze tragiche come questa?

DI NUOVO IL TERRORE IN EUROPA – L’attentato di ieri a Barcellona e l’operazione di oggi a Cambrils hanno nuovamente riportato i media ad interessarsi del rischio attacchi terroristici in Europa. Per una volta, invece di una riflessione sugli eventi tali e quali (consigliamo l’ottimo Guido Olimpio), preferiamo soffermarci sulle risposte fornite sui media (inclusi i social) da numerose persone, sia politici sia gente comune e sui problemi che essi esprimono.

LE REAZIONI “MATURE” – Sono state sostanzialmente tre le tipologie di risposte riscontrate (potrebbero essere divise in più sotto-classi, ma per chiarezza non vogliamo esagerare). C’è stato chi ha commentato o condannato la vicenda in quanto espressione di un terrorismo da sconfiggere, senza scadere in banalizzazioni. E’ una reazione che possiamo definire “matura”: il problema esiste, va affrontato, e queste persone lo riconoscono. Si possono avere idee diverse sul come farlo, discutere su cosa migliorare e cosa fare di più o meglio, senza però scadere in valutazioni semplicistiche o distorte. Purtroppo, questa è la categoria di risposte meno frequente.

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Fig. 1 – Turisti lasciano il centro di Barcellona dopo l’attentato del 17 agosto

LE REAZIONI “EMOTIVE” – C’è stato chi ha commentato la vicenda in termini di disperazione, rabbia o tristezza, esprimendo spesso incredulità a quanto accaduto, in alcuni casi anche sorpresa. E’ una reazione che possiamo definire di “comprensibile ingenuità”. Sono reazioni naturali e, nell’era dei sentimenti espressi sui social, la classica reazione (quasi meccanica) in casi simili. O meglio in casi europei simili… perché per esempio una reazione simile per quanto accaduto la settimana scorsa a Ouagadogou (in Burkina Faso) non c’è stata. Da un lato è “comprensibile”: rabbia o tristezza sono reazioni normali in questi casi, e ciò che accade vicino a noi, magari in un posto dove siamo stati anche poco tempo fa, o dove abbiamo amici, ci colpisce maggiormente, e smuove maggiormente le nostre corde emotive. Del resto ammettiamolo: quanti italiani (o europei) conoscono gente a Ouagadogou o ci sono stati?

Allo stesso tempo, rimane “ingenuo”, perché segnala il continuo tentativo di provare a escludere questi eventi quando lontani da noi. E, quando accadono vicini a noi, ce ne sorprendiamo quasi non ci accorgessimo di dinamiche che coinvolgono Medio Oriente, Nord Africa, Europa (e non solo!) o non volessimo accettare che esse ci riguardano da vicino, e non da oggi. Ci sorprendiamo cioè di quanto il mondo sembri cambiato, salvo il fatto che se ne discuta ormai da anni. Come mai allora ogni volta sembra sempre la prima?

Spesso si ragiona sul fatto che sembriamo ormai assuefatti al terrore, non nel senso che non ci colpisca, ma nel senso che ormai reagiamo sempre allo stesso modo. E i passi in avanti, come opinione pubblica, latitano. Questa è la categoria di risposte più numerosa, eppure non la più preoccupante.

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Fig. 2 – Donald Trump ha reagito all’attentato di Barcellona con un post particolarmente aggressivo

LE STRUMENTALIZZAZIONI – La più preoccupante infatti è la reazione di chi usa l’occasione per fare politica o, se opinione pubblica, per frequenti critiche feroci all’Islam o ai migranti (o a entrambi). Entrambi questi temi possono essere discussi (lo abbiamo fatto rispettivamente qui e qui), il problema è come. E questo porta al vero nodo della questione. Per spiegarlo, userò un evento poco conosciuto. In Olanda, prima delle scorse elezioni legislative del 15 marzo 2017, in ambienti della sicurezza si è discusso circa la possibilità di un attentato terroristico di matrice jihadista in prossimità della scadenza elettorale. Per quanto gli apparati competenti fossero già impegnati ad evitare un tale evento, non si poteva escluderlo – altrove era accaduto – e soprattutto si era interessati a capire cosa esso avrebbe provocato. Avrebbe influenzato la competizione elettorale? Se sì, in che modo? Qualcuno ne sarebbe stato favorito? Come avrebbero reagito le forze politiche – collaborando oppure sfruttando la cosa ciascuno per i propri fini?

Per ragionare su tali scenari venne effettuata una simulazione di crisi, incentrata su un ipotetico attentato nella cittadina di Tilburg. Vi risparmio i dettagli – che in gran parte non sono nemmeno pubblici – e faccio anche notare come non sia mai possibile prevedere esattamente ciò che avverrà. Quello però che si può fare con queste attività, mettendo i partecipanti nei panni dei protagonisti, è far emergere le principali dinamiche coinvolte. E la cosa principale emersa è stato il fatto che sia jihadisti e politici anti-Islam di fatto risultavano avvantaggiati l’uno dalle azioni dell’altro. Non è una sorpresa e, onestamente, non era necessaria una simulazione di questo tipo per mostrarlo, è una dinamica ben conosciuta da anni. Tuttavia, è significativo che un’attività che NON aveva necessariamente l’obiettivo di dimostrare tale aspetto, lo abbia tuttavia fatto emergere come estremamente rilevante. Più aumenta la dialettica anti-Islam più i gruppi jihadisti la sfruttano per alimentare la propria retorica. Più gli jihadisti agiscono e guadagnano forza, più i partiti e gruppi politici che criticano l’Islam tout-court (in molti casi, gruppi e partiti a forte impronta nazionalista e populista) hanno vita facile a rilanciare il proprio messaggio. Entrambe le cose danneggiano poi ogni tentativo di affrontare la questione sul serio: se la forza del messaggio jihadista e la retorica anti-Islam crescono, risulta più difficile da un lato ridurre la radicalizzazione, dall’altro costruire un dialogo efficace con quella parte della comunità islamica che invece si oppone al terrorismo – e che spesso è fondamentale per segnalare anzitempo potenziali attentatori. In pratica ogni retorica anti-Islam, che da parte dell’opinione pubblica appare una genuina reazione di forza, è invece uno dei maggiori punti di debolezza e, anzi, un vero e proprio “alleato” del terrorismo. E il presunto collegamento con le ondate migratorie (peraltro smentito, vedi questo ottimo report dell’ISPI), contribuisce, purtroppo, solo a continuare a non affrontare le vere sfide della migrazione.

NON SERVE SPARARE A ZERO – Questo porta a una sola conclusione: chi oggi davanti all’attentato di Barcellona crede di opporsi all’ISIS e al terrorismo “sparando a zero” su Islam e migranti, in realtà non si sta opponendo: sta invece favorendo la seconda parte dell’attentato: quella sulla nostra capacità di reazione. Non è dunque contro l’ISIS: involontariamente, ne è complice. E continua a incoraggiarlo a farlo ancora. Sarebbe ora di accorgersene.

Lorenzo Nannetti

 

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Un chicco in più

A riprova di quanto sosteniamo in questo articolo, ecco il tweet pubblicato ieri sera sull’account di Donald Trump. Allo scopo di “mostrare i denti” contro l’ISIS, il Presidente USA ha citato – peraltro in maniera scorretta – la reazione che il Generale Pershing avrebbe adottato contro dei gruppi di terroristi musulmani nelle Filippine all’inizio del XX secolo.

Se invece volete saperne di più sulla diffusione del terrorismo in Spagna, vi suggeriamo questo contributo di Hozint.

Se invece volete un piccolo riassunto di quanto avvenuto in questi giorni e del legame di quella parte della Spagna con il terrorismo, eccovi una serie di tweet di Rumini Callimachi del New York Times che riassume la vicenda.

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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