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Charlottesville, la risposta politica al razzismo è inadeguata?

Le tensioni razziali a Charlottesville, Virginia, hanno causato un’ondata di condanne in tutto il mondo, e risollevato i temi del razzismo e del suprematismo bianco. Vediamo in questo articolo come la Casa Bianca ha reagito e che ruolo ha giocato il presidente Donald Trump, prima e dopo i disordini.

I FATTI – Il 12 agosto, nella città di Charlottesville, Virginia, un corteo di suprematisti bianchi ha affollato le strade della città per protestare contro la rimozione della statua del generale sudista della guerra civile americana Robert E. Lee. Le manifestazioni hanno portato a galla la crisi politica e la crisi sociale che gli Usa stanno attraversando. Non solo: le conseguenze delle proteste suprematiste sono state una ragazza uccisa, investita da un’auto guidata da un militante neo-nazista, la morte di due poliziotti dopo la caduta di un elicottero che sorvegliava le manifestazioni, feriti e tanta paura. Il mondo politico, non solo statunitense, ha condannato le violenze che si sono verificate. E poi c’è stato il Presidente Donald Trump, il quale ha dichiarato che “both sides” hanno contribuito alla violenza in Virginia, non solo i manifestanti di estrema destra. Solo 48 ore dopo è arrivata la condanna ufficiale dei disordini dalla Casa Bianca. Troppo tempo è passato tra le manifestazioni e la condanna, chiaramente avvenuta dopo forti e costanti pressioni. Inutile dire che questo ha portato a una fortissima ondata di critiche e polemiche. riducendo ulteriormente il tasso di approvazione di Trump, già ai minimi storici (34%).

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Fig.1 – Heather Heyer è la 32enne uccisa da una macchina in corsa mentre partecipava al rally anti razzista a Charlottesville

DOVE HA SBAGLIATO IL PRESIDENTE – Le critiche degli statunitensi vero il presidente sono il risultato di tre elementi: lo scarso peso attribuito da Trump alle sue parole, il timore che il presidente sia un rappresentante dell’ala razzista della popolazione, e la sua inadeguatezza come presidente. Partiamo dal primo elemento. Le parole sono importanti e un buon politico si misura anche dalla capacità di usarle. Trump ha dimostrato ancora una volta di non considerare la retorica politica come un valore aggiunto. Dire che la violenza è stata causata da entrambi le parti, ovvero dal corteo razzista e dal corteo anti razzista, ha un significato più profondo di quello che si pensi. Significa che il razzismo e il neo-nazismo non vengono considerati come il male assoluto, significa che la morte della 32enne Heather Heyer investita da una macchina in corsa viene sminuita, significa che i discorsi in diretta mondiale sono improvvisati e che l’impulsività presidenziale è lontana dallo scomparire. Preoccupa, inoltre, che quegli uomini e quelle donne che manifestavano abbiano contribuito alla vittoria elettorale di Trump, facendolo diventare un rappresentante anche delle loro istanze. Non è un caso che, a Charlottesville, il rappresentante del Ku Klux Klan David Duke abbia rilasciato un’intervista dicendo che quello per cui stavano manifestando non era altro che un modo per portare a compimento le promesse di Trump: “We are going to fulfil the promise of Donald Trump. That’s what we believed in. That’s why we voted for Donald Trump, because he said he’s going to take our country back.”  Il fatto che queste persone vedano davvero in  Trump la loro guida vuol dire che i segnali di intolleranza nella campagna elettorale e durante l’amministrazione hanno lasciato un segno su una piccola, ma pericolosa, parte della popolazione. Infine, la poca reattività che ha avuto Trump nel condannare ufficialmente le proteste mostra poco interesse da parte della presidenza. Un presidente in una situazione di crisi deve intervenire, senza discorsi grigi: l’ambiguità non può essere tollerata.

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Fig.2  – Foto di un rally di solidarietà in California per condannare le violenze a Charlottesville

COME SIAMO ARRIVATI A CHARLOTTESVILLE? – Nonostante la storia statunitense sia stata caratterizzata per anni dal suprematismo bianco, dalla schiavitù e dall’intolleranza, negli ultimi sessant’anni gli Usa hanno fatto passi da gigante nell’uguaglianza, nella parità dei diritti e nel rispetto della diversità. Come siamo arrivati a Charlottesville, allora? Uno degli elementi più ovvi è il fatto che le elezioni del 2016 non abbiano portato ad altro se non a dare legittimità a quei bianchi arrabbiati, delusi dalla criminalità, dall’immigrazione, spaventati dal terrorismo e accecati dalla voglia di riconsegnare gli Usa ai “veri” statunitensi. Ma i veri statunitensi non esistono. Gli Usa sono un melting pot di culture e di immigrati che in passato hanno combattuto per l’indipendenza dai coloni inglese. La retorica suprematista non ha senso, ma viene legittimata da una parte dell’élite politica che non li condanna fermamente. Inoltre, è inutile negare che il passato di schiavitù negli Usa abbia lasciato un grosso segno. Debellata la schiavitù, le politiche di inclusione e di uguaglianza hanno alimentato il malcontento di quella parte della popolazione convinta di venire danneggiata dalla discriminazione positiva: se un afro-americano aveva le stesse opportunità di un bianco e poteva trovare un lavoro a comprare una casa, ci si sentiva derubati e messi da parte dal governo. Servirebbe  un’analisi sociale e storica più profonda  al riguardo, ma il punto chiave è che il razzismo negli Usa è ben radicato, e ritorna a ondate. Altri rally suprematisti sono previsti a fine agosto ad Atlanta, Austin, Boston, Los Angeles, Mountain View, New York, Pittsburgh, Seattle, Washington, D.C e San Francisco. E più debole sarà la condanna, più forte sarà la violenza.

Giulia Mizzon

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Il killer di Heather Heyer è un ragazzo di 20 anni, membro di Vanguard America, un gruppo suprematista molto attivo online, concentrato particolarmente nel reclutamento di giovani bianchi e nell’organizazione di rally e proteste. La descrizione del gruppo la trovate qui.

Nei giorni scorsi l’amministrazione Trump ha perso un altro pezzo, uno dei più pregiati: Steve Bannonchief strategist di “The Donald” e considerato il vero ideologo del Presidente, ha infatti rassegnato le dimissioni. La mossa è stata presentata come una vittoria di quella parte dell’amministrazione più “moderata” guidata dal Consigliere alla Sicurezza Nazionale McMaster, e un atto quasi dovuto dopo i fatti di Charlottesville. In realtà, una vera e propria uscita di scena di Bannon potrebbe non essere così scontata, dato che potrebbe continuare ad influenzare la linea politica di Trump dall’esterno tornando a dirigere il suo “Breitbart News”, sito internet dell’alt-right statunitense. Ecco il testo dell’intervista concessa dopo le dimissioni.

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Giulia Mizzon
Giulia Mizzon

Nata a Imperia nel 1992, laurea magistrale in Politiche Europee e Internazionali all’Università Cattolica di Milano. Affascinata dalle dinamiche della politica internazionale, frequento un Master in International Relations all’Alta Scuola di Economia e Relazioni Internazionali. Confesso di essere un’amante degli States, sempre presenti nei miei programmi futuri, e una lettrice accanita di qualsiasi cosa mi capiti sottomano.

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