Analisi – In un delicato momento di rivalutazione dei rapporti in Medio Oriente, Iran e Arabia Saudita avrebbero intrapreso un cauto e preliminare tentativo di dialogo a Baghdad. Nonostante gli esiti assolutamente incerti, un’iniziativa di mediazione da parte irachena potrebbe avere risvolti positivi anche sugli equilibri interni dell’Iraq, la cui stabilità è fortemente connessa agli sviluppi regionali.
APPUNTAMENTO A BAGHDAD
Riad e Teheran avrebbero intrapreso un preliminare dialogo a Baghdad. Sono queste le voci che si sono susseguite a partire dallo scorso mese di aprile, dapprima smentite da Iran e Arabia Saudita, poi confermate seppur cautamente tanto dal Presidente iracheno Barham Salih quanto dai due diretti interessati. Si sarebbe trattato, per il momento – il condizionale è d’obbligo, data la discrezione con cui gli attori coinvolti stanno trattando la questione – di colloqui tra ufficiali diplomatici, ma non ancora tra ambasciatori, né tra ministri. Ciononostante le occasioni di dialogo – che stando alle dichiarazioni ufficiali sarebbero state più di una – dovrebbero essere avvenute al cospetto del Primo Ministro iracheno Mustafa al-Kadhimi, in carica ad interim dal maggio 2020 dopo le dimissioni del Governo al-Mahdi in seguito allo scoppio della cosiddetta Rivoluzione di ottobre (Thawra Tishreen), un movimento di protesta trasversale che ha scosso il Paese a partire da ottobre 2019 e i cui strascichi sono oggi tutt’altro che sopiti. Kadhimi ha delle buone carte da giocare, considerando la sua attività al vertice dei servizi segreti iracheni, carica che lo ha portato a stringere relazioni a livello apicale tanto in Iran quanto in Arabia Saudita. Due dei suoi più stretti consiglieri starebbero facendo la spola tra Teheran, Riad e Baghdad proprio per gestire questi colloqui, che si preannunciano molto complessi quanto potenzialmente rilevanti, in prospettiva, per l’intera regione e per l’Iraq.
Embed from Getty ImagesFig. 1- Una donna protesta contro le uccisioni di attivisti per i diritti umani e manifestanti iracheni, Baghdad, maggio 2021
DALLA RIVALITÀ A UNO SPIRAGLIO DI DIALOGO
Queste caute iniziative di dialogo hanno assunto un certo rilievo, data l’animosità tra Iran e Arabia Saudita che ha caratterizzato gli equilibri del Golfo e di tutto il Medio Oriente negli ultimi anni. Nello specifico la Monarchia saudita ha interrotto i rapporti con la Repubblica islamica dopo l’attacco alle rappresentanze diplomatiche saudite in Iran che ha seguito l’esecuzione dello Sheikh Nimr al-Nimr, esponente dello sciismo saudita conosciuto per le sue posizioni critiche verso Riad, e condannato a morte per dissidenza. Un episodio, questo, che ben si inserisce in un ben più ampio clima di ostilità reciproca riflessasi a livello regionale innanzitutto in Yemen, ma anche in Bahrein, Libano, Siria e nello stesso Iraq, ove l’influenza di Teheran veicolata dalle Unità di Mobilitazione Popolare (UMP – Hashd al-Sha‘abi) e la marginalità politica della comunità sunnita rappresentano una preoccupazione per Riad. La suddetta iniziativa di dialogo avvenuta a Baghdad, la prima confermata in modo ufficiale dalla rottura dei rapporti, emerge in un contesto di apparente cambio di tono dei due attori, che nonostante le evidenti differenze hanno manifestato l’interesse di aprire un tavolo sulla via della cooperazione, una potenziale de-escalation ben accolta non solo dall’Iraq, ma anche da numerosi altri attori regionali e internazionali. Tutto ciò si colloca in un momento di riequilibrio dei rapporti in Medio Oriente, favorito dall’insediamento dell’Amministrazione Biden e dal diverso approccio verso Riad rispetto al suo predecessore. Difatti Biden non è un acritico sostenitore delle assertive mosse di Muhammad Bin Salman come lo è stato Trump: questo si riflette innanzitutto nel teatro yemenita, dove Washington ha annunciato il termine del proprio sostegno alla coalizione saudita e la volontà di porre fine al conflitto il prima possibile. D’altro canto Biden è anche tornato al tavolo negoziale dell’accordo sul nucleare con l’Iran (JCPOA), abbandonato da Trump nel 2018 e attualmente in discussione indiretta tra Teheran e Washington a Vienna. Insomma, quella fornita dalla nuova postura dell’Amministrazione Biden è sicuramente un’importante spinta verso una riduzione delle ostilità tra i due giganti della regione. Parallelamente Riad è alla disperata ricerca di una via di uscita dallo Yemen – definito il Vietnam saudita, – dove combatte contro le forze houthi, sostenute dall’Iran. Ed è proprio lo Yemen ad aver rappresentato, secondo le indiscrezioni, l’argomento principe del dialogo in Iraq tra Arabia Saudita e Iran, che avrebbe però toccato anche la situazione in Libano e il ruolo predominante di Hezbollah, alleato di Teheran, nel teatro libanese.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – L’esercito iracheno ha condotto un’operazione contro alcuni membri dello Stato Islamico presenti nelle aree rurali di Kifri, Germiyani e il distretto di Sulaymaniyah. Iraq, giugno 2021
UN IRAQ INDIPENDENTE E SOVRANO PASSA PER RIAD E TEHRAN (E NON SOLO)
Il fatto che l’Iraq si stia impegnando in un’operazione di seppur preliminare mediazione per favorire il dialogo tra gli attori più rilevanti del suo vicinato non è certo una casuale espressione di bontà diplomatica. La rivalità tra Riad e Teheran si è infatti negli ultimi anni riversata sull’Iraq, facendo leva sulla forte polarizzazione settaria del suo panorama politico, che ben si presta alla strumentalizzazione da parte di potenze esterne. Diviso tra numerosi fuochi – non dimentichiamoci anche gli Stati Uniti – Baghdad ha dunque tutto l’interesse a contribuire a un maggior equilibrio – o per lo meno a una riduzione delle tensioni – nella regione, condizione necessaria per una reale stabilità dello stesso Iraq, data la ben dimostrata permeabilità del suo ecosistema politico. Dal 2003 l’Iraq è infatti stato teatro di forti e incrementali ingerenze esterne, tra cui ha senza dubbio spiccato la rivalità tra Iran e Stati Uniti, perfettamente esemplificata a cavallo tra 2019 e 2020 dall’escalation che ha portato all’omicidio a opera di un drone americano di Qassem Soleimani, Comandante delle Forze Quds (l’unità delle Guardie Rivoluzionarie iraniane preposta alle operazioni extraterritoriali) e di Abu Mahdi al-Muhandis, vicecomandante delle UMP e leader di Kata‘ib Hezbollah. Questa situazione ha esasperato la popolazione irachena – tra gli slogan della Tishreen Revolution ricordiamo infatti “Via l’America, via l’Iran”, e più in generale un rifiuto di ogni intervento esterno, – facendo sì che la riaffermazione del Paese come attore sovrano e indipendente emergesse come una priorità per la sua futura stabilità. Non solo: come sottolineato dal Presidente Salih, è importante che l’Iraq da terreno di conflitto possa diventare un ponte tra i suoi vari vicini, favorendo così un circolo virtuoso. Infatti se Teheran e Riad intraprendessero un dialogo che li incentivasse a smettere di considerare l’Iraq come un’arena per la propria rivalità, e tenessero invece conto dei benefici e delle potenzialità di un Iraq stabile, rientrerebbe nel loro interesse impegnarsi in modo positivo per un sempre maggiore equilibrio iracheno.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – La città di Mosul, interamente distrutta durante la battaglia contro lo Stato Islamico nel 2017
POSSIBILI SCENARI INTERNAZIONALI E IRACHENI
È importante considerare questi sviluppi con estrema cautela, tanto dal punto di vista dell’evoluzione delle relazioni tra Iran e Arabia Saudita quanto in merito al potenziale ruolo di Baghdad e al suddetto effetto positivo della riduzione della tensione tra Riad e Teheran anche sullo scenario iracheno. Per quanto riguarda il primo livello, le questioni sul tavolo sono estremamente numerose: una negoziazione della situazione in Yemen implicherebbe infatti innanzitutto un atteggiamento maggiormente compromissorio da parte di Riad verso gli Houthi. D’altro canto sul tavolo da entrambe le parti vi sono questioni aperte in molti altri teatri, quali l’Iraq, la Siria e il Libano, oltre alle relazioni con Israele e al sostegno saudita alle sanzioni contro l’Iran.
Per quanto riguarda invece l’Iraq, è innanzitutto importante considerare che, a oggi, lo svolgimento e la tenuta del dialogo tra Iran e Arabia Saudita dipendono principalmente da dinamiche fuori dal controllo di Baghdad, che riguardano altri attori e più ampi equilibri a livello internazionale. Oltretutto l’Iraq sta vivendo una fase di delicata transizione – le elezioni anticipate sono attese per ottobre 2021 e Kadhimi, sponsor di questa iniziativa diplomatica insieme a Salih, non dovrebbe essere in lizza per un secondo mandato – e non ha certo al momento la statura necessaria per influenzare davvero gli sviluppi tra Teheran e Riad. Tuttavia in una prospettiva più di medio periodo questa potrebbe essere una buona occasione per riaffermare il ruolo iracheno nella regione.
Ciò che potrebbe far ben sperare è che l’Iraq aveva già tentato di favorire un dialogo tra Teheran e Riad in passato, con altre leadership e in circostanze meno mature: nel 2016, subito dopo la rottura delle relazioni bilaterali, Baghdad si offrì di contribuire a ricucire il dialogo tra i due attori, complice la recente ripresa delle relazioni con Riad. Altri tentativi si sono susseguiti sotto il Governo al-Abadi nel 2017, e con l’Amministrazione al-Mahdi nel 2019.
Infine, seppur con i piedi di piombo, sarebbe importante che un attore come l’Europa incoraggiasse questo tipo di iniziative da parte di Baghdad, in quanto lo stesso tentativo di metterli in atto sottolinea una volontà da parte irachena di rafforzarsi come attore indipendente e sovrano e di lavorare verso la propria stabilità e quella della regione – obiettivi, questi, che l’UE condivide e persegue a sua volta.
Lorena Stella Martini
Immagine di copertina: “Iraq” by The U.S. Army is licensed under CC BY