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Quel “beep” che cambiò il mondo: i 60 anni dallo Sputnik

AstroCaffèOggi è il sessantesimo anniversario del lancio del primo satellite artificiale, lo Sputnik-1. Un evento che cambiò la Storia e diede il via alla corsa spaziale tra USA e URSS

IL SATELLITE

Il titolo del paragrafo può sembrare banale, ma in realtà la traduzione di Sputnik è proprio “satellite”. I sovietici non brillarono in fantasia nell’attribuire il nome alla primo oggetto orbitante della storia. Si trattava di una semplice sfera di 56 centimetri di diametro con quattro antenne per la trasmissione dei segnali. Pesava 83,6 chilogrammi e funzionava grazie a un solo watt di potenza elettrica. Le prime proposte concrete per la realizzazione di un satellite artificiale risalivano al 1954, ma fu una dichiarazione del Presidente statunitense Eisenhower dell’anno successivo ad accelerare il processo. Egli infatti annunciò, attraverso il Capo Ufficio Stampa che gli USA avrebbero lanciato un proprio satellite durante l’Anno Internazionale della Geofisica, ossia tra il luglio 1957 e il 31 dicembre 1958. Nel gennaio 1956 il Consiglio dei Ministri dell’Unione Sovietica approvò la costruzione di un satellite denominato “Object-D”. Il progetto prevedeva una piattaforma del peso compreso tra 1 e 1,4 tonnellate con un carico pagante di 200-300 chilogrammi di strumenti scientifici per la misurazione della densità atmosferica, del vento solare, dei raggi cosmici e dei campi magnetici. Ben presto però, i tecnici sovietici si accorsero della complessità della realizzazione dell'”Object-D” e dell’allora mancanza di potenza sufficiente del razzo previsto per il trasporto in orbita. Temendo che gli statunitensi lanciassero per primi, si decise di ridimensionare le ambizioni e mandare nello spazio qualcosa di più semplice che risultò poi essere lo Sputnik-1. L'”Object-D” non fu abbandonato e avrebbe poi volato come Sputnik-3.

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Fig. 1  – La prima pagina del quotidiano sovietico Pravda dopo il lancio dello Sputnik

IL RAZZO

Il vettore scelto per portare in orbita lo Sputink fu l’R-7 Semyorka, ossia quello che l’Unione Sovietica aveva dichiarato essere il primo missile balistico internazionale (Intercontinental Ballistic Missile – ICBM) della storia. Il programma era guidato da Sergei Korolev ed era il risultato di anni di studi iniziati dai razzi V-2 tedeschi prede belliche della Seconda Guerra Mondiale. Dopo un paio di test finiti male, il vettore effettuò il primo volo riuscito il 21 agosto 1957. Dato che il lancio dello Sputink avvenne meno di due mesi dopo si può certamente affermare che l’URSS fece un azzardo. L’R-7 infatti, anche nelle sue versioni migliorate e potenziate, continuò ad avere numerosi incidenti durante i voli.
Il Semyorka era un missile a due stadi, pesante 280 tonnellate e alto 34 metri. I motori erano alimentati a cherosene e ossigeno liquido. Questo ne inficiava l’efficacia operativa come ICBM, in quanto il caricamento del propellente a bordo richiedeva molte ore e doveva essere fatto il giorno stesso del lancio. Inoltre richiedeva un sito di lancio fisso, un altro fattore che contribuiva a  renderlo vulnerabile ad attacchi preventivi. Nonostante ciò, il suo successo in campo spaziale fu innegabile essendo il capostipite dei vettori sovietici e poi russi che arrivano fino alle attuali versioni del Soyuz.

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Fig. 1 – I razzi sovietici dal R-7 al Soyuz

QUEL BEEP CHE CAMBIO IL MONDO

Lo Sputnik non aveva a bordo nulla di tecnologicamente eccezionale. Trasmetteva solamente un segnale radio udibile come una serie continua di “beep” dagli operatori a terra. Però quel suono cambiò la Storia. Negli Stati Uniti in particolare suscitò un misto di emozioni che furono determinanti per il futuro del settore spaziale del Paese. Il primo sentimento fu la paura. I più avveduti capirono bene il significato di quel successo sovietico: un satellite artificiale, operando dall’orbita terrestre, non era soggetto ad alcuna giurisdizione e non violava alcuno spazio aereo. Se dotato di macchina fotografica o di armamenti avrebbe potuto compiere ricognizioni o attacchi praticamente indisturbato. L’intero territorio degli Stati Uniti (e non solo) sarebbe stato osservabile (e potenzialmente attaccabile). Una conseguenza della paura fu però la consapevolezza di come fosse nata la “quarta dimensione” del confronto, dopo terra, mare e aria. E gli USA non potevano rimanere indietro. Erano stati battuti sul tempo e riuscirono a lanciare il proprio primo satellite artificiale, l’Explorer-1, solo nel 1958. Quello stesso anno però il Presidente Eisenhower trasformò il NACA (National Advisory Committee on Aeronautics – Comitato nazionale consultivo per l’aeronautica) nella NASA e affidò al nuovo ente la supervisione e la guida del programma spaziale civile degli Stati Uniti. Si sa poi come è andata a finire. Per concludere, quel 4 ottobre 1957 non ci furono solo la paura e la rivalsa tra i sentimenti. Era presente anche la meraviglia per una nuova epoca che si apriva e che ispirò tantissimi giovani a intraprendere studi che li portassero a essere presenti nel settore spaziale, con risultati tangibili ancora oggi. Lo Sputnik aprì la strada alle applicazioni satellitari, che ormai sono divenute talmente di routine che passano quasi (ed erroneamente) inosservate.

Emiliano Battisti

Foto di copertina di liftarn Licenza: Attribution-ShareAlike License

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Emiliano Battisti
Emiliano Battisti

Consulente per la comunicazione per un’azienda spaziale e Project Officer and Communications per OSDIFE, sono Segretario Generale e Direttore della comunicazione dell’APS Il Caffè Geopolitico e Coordinatore dei desk Nord America e Spazio. Ho pubblicato il libro “Storie Spaziali”.

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