venerdì, 29 Marzo 2024

APS | Rivista di politica internazionale

venerdì, 29 Marzo 2024

"L'imparzialità è un sogno, la probità è un dovere"

Associazione di Promozione Sociale | Rivista di politica internazionale

Il Marocco e la minaccia jihadista: tra radicalizzazione e narco-jihadismo

In 3 sorsi Dopo il fenomeno dei foreign fighters partiti dal Marocco per unirsi allo Stato Islamico, ora la minaccia jihadista viene dal Sahel, dove Al-Qāʿida del Maghreb Islamico ha consolidato il proprio potere e sta sfruttando le reti del narcotraffico marocchino per autofinanziarsi

1. PARTENZE E RITORNI – Tra i principali paesi esportatori di foreign fighters in Nord Africa c’è sicuramente il Marocco, al secondo posto dopo la Tunisia, con circa 1.500 combattenti partiti tra il 2012 e il 2016 verso la Siria e l’Iraq per unirsi allo Stato Islamico, su un totale di 8.000 uomini partiti da tutto il Nord Africa. Fino al 2014 il fenomeno delle partenze è stato ignorato dalle autorità marocchine, che sono rimaste a guardare l’espatrio di jihadisti partiti per combattere contro il regime di Assad e difendere la “causa sunnita”. Con il crescere della minaccia dello Stato Islamico, è cresciuta anche la preoccupazione per la sicurezza interna. Il ritorno dei foreign fighters infatti, avrebbe potuto portare a ripercussioni locali e ad attentati terroristici con l’obiettivo di destabilizzare l’equilibrio politico del paese. La prima misura attuata è stata la revisione della legge anti-terrorismo del 2003 ed entrata in vigore nel 2015, che ha portato ad arresti per chiunque fosse sospettato di aderire ad un’organizzazione terroristica all’interno e all’esterno del Marocco.
Gli attentati in Spagna nello scorso agosto, hanno portato all’intensificarsi della cooperazione tra Madrid e Rabat sulla gestione del terrorismo e all’elaborazione di politiche congiunte per lo smantellamento delle cellule terroristiche.

Embed from Getty Images

Fig. 1Poliziotto dell’antiterrorismo dopo la cattura di 10 sospetti jihadisti (Sale, Febbraio 2016)

2. LA GESTIONE DELLA RADICALIZZAZIONE E LO SMANTELLAMENTO DELLE CELLULE TERRORISTICHE – Il Country Report on Terrorism del 2016 mette in luce come il Marocco abbia elaborato misure di controllo per i rientri in patria di ex combattenti, per lo smantellamento delle cellule terroristiche e per la gestione della radicalizzazione interna. Per quanto riguarda la radicalizzazione, il Marocco, che oggi sembra lontano da una minaccia interna, non è estraneo ai processi di gestione di correnti più estremiste dell’Islam e ha conosciuto il terrorismo di matrice jihadista con gli attentati di Casablanca nel 2003 e quelli di Marrakech nel 2011. A partire da questi ultimi fu avviato un controllo capillare delle moschee e delle predicazioni degli imām e Mohammed VI iniziò ad essere poco tollerante verso tutti coloro che simpatizzavano per le correnti neo-salafite. Da questo momento l’attività delle moschee e degli imām, come figure responsabili della comunità dei credenti e portatori di un messaggio religioso, venne affidata al controllo del Ministero degli Affari Islamici sotto esclusiva autorità del re, così come il Consiglio degli ‘Ulama’, i cui vertici rispondono direttamente al monarca, in linea con una politica di riappropriazione dello spazio religioso già avviata da Hassan II. Pertanto, politiche di controllo dei luoghi in cui possono avvenire processi di indottrinamento erano già presenti prima della nascita dello Stato Islamico e del suo richiamo al jihād. Un forte messaggio contro l’estremismo è sicuramente rappresentato dalla decisione presa dal Consiglio Superiore degli Ulama nel febbraio scorso di eliminare la pena di morte in caso di apostasia. Per la prima volta in un Paese musulmano la conversione o l’abbandono dell’Islam non sono puniti con la morte: una guerra ideologica all’estremismo e ai massacri dello Stato Islamico per difendere un Islam moderato che accetta la pluralità religiosa. Importante è stata anche la decisione di rendere indipendente il Dipartimento per l’Amministrazione Penitenziaria e il Reinserimento dal Ministero della Giustizia. Il DGAPR gestisce una struttura in cui sono detenuti 3.600 jihadisti e ha elaborato un protocollo di de-radicalizzazione e di monitoraggio delle fasi di radicalizzazione di altri carcerati, favorendone anche il reinserimento nella società. A riprova del buon funzionamento di questi programmi, dopo 48 ore dall’attentato di Barcellona Mohammed VI, in occasione dell’anniversario della fine del colonialismo, ha concesso la grazia a 14 prigionieri accusati di terrorismo che hanno partecipato al programma di reinserimento. Una decisione che ha fatto molto discutere ma che vuole dimostrare il costante impegno dello Stato e la reale possibilità di redenzione di questi soggetti. Infine, vi è una grande attenzione ai marocchini emigrati in paesi come Francia, Spagna e Italia, attraverso la creazione di organizzazioni islamiche che gestiscono le moschee e costituiscono un punto di riferimento per la comunità. Per lo smantellamento delle cellule terroristiche è stato creato nel 2015 il Bureau Central d’Investigation Judiciaire (BCIJ), la principale agenzia di sicurezza responsabile delle operazioni anti-terrorismo, che in questi due anni ha individuato 47 cellule terroristiche legate allo Stato Islamico e altre 5 legate ad Al-Qāʿida del Maghreb Islamico (AQIM) e ad al-Nusra (affiliazione di Al-Qāʿida in Siria). Inoltre, dal 2015 ad oggi, sono state arrestate 698 persone con l’accusa di partecipazione ad organizzazioni terroristiche all’interno o all’esterno del Paese.

Embed from Getty Images

Fig. 2- Droga e armi perquisite dalla polizia marocchina il 4 ottobre 2017 a Marrakech

3. UNA NUOVA MINACCIA: IL NARCO-JIHADISMO – Da questi dati si può dedurre come lo Stato Islamico non sia l’unico catalizzatore di combattenti e che, anzi, sta crescendo il numero di coloro che si uniscono ad altre organizzazioni terroristiche che stanno prendendo piede nel Nord Africa, le cui principali attività di autofinanziamento sono il traffico di droga e di armi e che sono alla costante ricerca di giovani da assoldare. Si tratta di Al-Qāʿida del Maghreb Islamico (AQIM), un’organizzazione terroristica di matrice jihadista nata nel 2007 dall’alleanza tra Al-Qāʿida e il Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC). In linea con i principi di Al-Qāʿida, il suo obiettivo primario è quello di destabilizzare i governi e affermare shari’a come unica legge dello Stato. In questo momento la principale minaccia jihadista, per il Marocco e non solo, viene dunque dal Sahel, dove AQIM controlla territori che toccano principalmente Algeria, Mali, Mauritania, Tunisia, Nigeria, Libia, in quello spazio desertico terra di nessuno. L’organizzazione è responsabile di una serie di attentatati terroristici, tra cui quello in Mali (novembre 2015), in Burkina Faso (gennaio 2016) e in Costa D’Avorio (marzo 2016). In Marocco AQIM controlla il traffico di droga che dal Rif (regione settentrionale del Marocco dove si produce circa la metà dell’hashish a livello mondiale, 15 mila tonnellate e 10 miliardi di fatturato all’anno) parte verso il resto del Nord Africa e dell’Europa. Queste milizie, cosiddette narco-jihadiste, hanno trasformato Ceuta e Melilla (due enclave spagnole a nord del Marocco) nella porta del jihad verso l’Europa e in centri nevralgici per il reclutamento di seguaci e l’esportazione di droga e armi. Da questo si deduce come il Marocco sia del tutto parte delle dinamiche del terrorismo internazionale, ma con una sostanziale differenza rispetto agli altri paesi: esso non è teatro di attacchi ma è un ponte sull’Europa e uno dei principali luoghi di reclutamento a causa anche della crescente disoccupazione giovanile e della marginalizzazione di alcune aree del Paese. Il jihadismo marocchino dunque, si fonda non soltanto su una ideologia ma anche sulla ramificazione delle organizzazioni criminali e sfrutta le reti del narcotraffico verso i mercati europei che passano principalmente dalla Spagna e dall’Italia. AQIM è la dimostrazione che Al-Qāʿida, nei suoi principi e nelle sue tattiche, non è morta ma si è articolata in organizzazioni regionali perfettamente immerse nel territorio e ha trovato nel Marocco e nella sua rete di narcotraffico un punto di forza per l’autofinanziamento e il reclutamento di seguaci.

Altea Pericoli

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Per un approfondimento sul fenomeno dei foreign fighters in Marocco si rimanda al seguente link. [/box]

Foto di copertina: ©Altea Pericoli

Dove si trova

Perchè è importante

Vuoi di più? Iscriviti!

Scopri che cosa puoi avere in più iscrivendoti

Altea Pericoli
Altea Pericoli

Nata nel 1992, attualmente sono postdoctoral research fellow presso la Lund University (Center for Advanced Middle Eastern Studies). I miei interessi di ricerca riguardano la geopolitica dell’area MENA e la visione islamica dell’aiuto umanitario e allo sviluppo. Dal 2018 collaboro al coordinamento del Desk Medio Oriente e Nord Africa.

Dei viaggi e del caffè (americano) non potrei mai fare a meno!

Ti potrebbe interessare