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Una nuova e profonda ferita per la Somalia

Un nuovo e virulento attentato colpisce Mogadiscio e la Somalia. La sconfitta definitiva di Al Shabaab è ancora lontana ma forse da un grave episodio come questo può partire una vera e propria risposta “popolare” somala al terrorismo

ATTENTATO A MOGADISCIO

È salito a oltre 300 vittime e più di 400 feriti il bilancio dell’attentato avvenuto sabato 14 ottobre a Mogadiscio nel distretto centrale di Hodan. Data la distruzione provocata nella zona e considerato il numero di morti così elevato, l’attacco è stato definito il peggior attentato mai avvenuto non solo in Somalia ma nell’intera Africa sub-sahariana. Secondo quanto riportato dalle forze di sicurezza somale, il piano d’attacco ideato dai terroristi è stato quasi del tutto ricostruito: due autisti su due mezzi diversi, un mini van della Toyota e un vecchio camion – sembra un desueto modello importato dall’Italia – riempiti con diverse quantità di materiale esplosivo, sarebbero partiti da una città poco distante Mogadiscio, al di fuori della regione del Benadir. Una volta giunti nella capitale, il mini van sarebbe dovuto saltare in aria per primo facendo breccia in un struttura protetta così da permettere al camion di entrarvi per provocare, con esplosivo più potente, maggiori danni dall’interno. Nonostante l’elaborata pianificazione, qualcosa è andato storto al passaggio di due check point predisposti delle forze di sicurezza somale in città e così i due attentatori hanno agito d’impulso prima che la missione saltasse definitivamente. Infatti, proprio in prossimità di un check-point, l’autista del mini-van è sceso dal mezzo e ha effettuato una telefonata, non è chiaro se per chiedere nuove istruzioni o per attivare la detonazione. Poco dopo, il veicolo è saltato in aria senza provocare danni a cose o persone e l’autista, che stava cercando di scappare, è stato arrestato e interrogato.

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Fig. 1 – Un ragazzo percorre le strade di Mogadiscio nel luglio 2016, dopo un attacco bomba avvenuto con le stesse modalità di quest’ultimo: autobomba nel pieno centro della città

CARNEFICINA

L’altro individuo alla guida del camion, invece, ha forzato un altro check-point che gli aveva intimato l’alt e ha finito la sua corsa contro un motociclo a tre ruote nel mezzo della un incrocio affollato di mezzi e persone e su cui si affacciava anche l’Hotel Safari. In questo caso, a differenza del mini-van, l’individuo ha attivato il detonatore provocando una carneficina. L’esplosione è stata così devastante anche perché, oltre ai 500 kg di esplosivo che erano nascosti tra i prodotti agricoli trasportati dal camion, nelle vicinanze era parcheggiata un’autocisterna, impiegata nel rifornimento di benzina, che ha amplificato l’effetto distruttivo. L’immagine che si è presentata ai primi soccorritori è stata desolante e raccapricciante, tra corpi smembrati, veicoli inceneriti e edifici crollati e/o sventrati. Gli organi d’informazione locali sono sicuri che arrivare ad un numero certo e definitivo delle vittime sarà pressoché impossibile viste le condizioni dei cadaveri e dei resti rinvenuti sul luogo. A riprova di ciò, almeno 160 corpi non identificati sono stati seppelliti subito dopo l’attacco. Tale decisione è stata presa direttamente dal governo federale per evitare che un assembramento di persone, alla ricerca dei propri cari scomparsi, si riunisse diventando un nuovo bersaglio per i terroristi.

I COLPEVOLI

Come dichiarato dal Presidente della Repubblica Federale della Somalia, Mohamed Abdullahi “Farmaajo” attraverso un’intervista ad Al Jazeera dopo l’accaduto, il colpevole di questa mattanza sembra essere Al Shabaab. Diversi indizi supportano questa tesi come le dichiarazioni rilasciate dall’autista arrestato il quale ha confermato di essere un appartenente al gruppo jihadista, dal riconoscimento di quello rimasto ucciso e infine anche dalla tattica usata che rimanda ad altri atti di terrorismo commessi dall’organizzazione terroristica legata ad Al- Qaeda. Proprio l’identificazione di chi era al volante del camion di maggiori dimensioni potrebbe sciogliere anche uno dei dubbi rimasti alle autorità che indagano sull’evento, cioè il luogo di partenza degli SVBIED (Suicide Vehicle-Borne Improvised Explosive Device). Infatti, secondo il National Intelligence and Security Agency (NISA) l’attentatore suicida sarebbe un ex appartenente del Somali National Army che due anni fa ha disertato affiliandosi ad Al-Shabaab ma soprattutto sarebbe un abitante dal villaggio di Baiire, sito a 50 chilometri da Mogadiscio. Nell’agosto 2017 proprio nella zona di Baiire ci fu un raid congiunto tra forze speciali statunitensi e forze somale per smantellare quello che si credeva essere un campo di addestramento di Al-Shabaab; in realtà le informazioni erano completamente sbagliate e l’azione militare provocò la morte di 10 civili tra cui 3 bambini. Questo episodio avrebbe provocato un forte risentimento anti governativo oltre che anti americano tra gli abitanti della zona e quindi anche nell’attentatore dandogli un’ulteriore e forse decisiva motivazione ad agire.

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Fig. 2 – Il ministro della difesa somalo Abdirashid Abdullahi Mohammad intervistato sul possibile coinvolgimento di Al Shabaab nei recenti attentati che hanno colpito la Somalia

IL VERO OBIETTIVO

L’altro dubbio che attanaglia le forze di sicurezza somale consiste nell’identificazione del vero obiettivo dell’attentato. Alcuni membri della polizia federale ritengono che fosse l’Aeroporto Internazionale Aden-Adde, distante poco meno di un chilometro dal luogo della detonazione e al cui interno si trovano ambasciate straniere, il quartier generale di AMISOM e quello delle Nazioni Unite. Invece, il NISA è certo che il target dei due veicoli fosse la nuova base militare turca, inaugurata il 30 settembre, in cui 200 militari di Ankara addestreranno inizialmente 2.000 soldati del National Somali Army. La gravità dell’atto ha portato il Governo a dichiarare tre giorni di lutto nazionale e ha spinto i vari partner internazionali della Somalia a testimoniare la propria vicinanza al popolo somalo – l’Italia attraverso un tweet del Ministro Angelino Alfano e una dichiarazione del Presidente della Repubblica Sergio Mattarella. Tra gli storici alleati della Somalia, la Turchia ha reagito prontamente, inviando un aereo carico di aiuti, medicinali, infermieri, medici – Erdogan ha voluto che a bordo del velivolo ci fosse anche il Ministro della Salute – e ha deciso di trasportare in madrepatria 70 feriti di cittadinanza somala che verranno curati a spese del governo turco.

AL SHABAAB HA ALZATO LA POSTA

Da questo attentato emergono due aspetti: il primo è che nonostante il Presidente Farmaajo, abbia dichiarato guerra totale ad Al Shabaab riuscendo, con tutti i limiti della situazione somala, a contrastare efficacemente le sortite dei jihadisti almeno nella capitale, il gruppo terroristico ha saputo alzare l’asticella dello scontro – utilizzando una quantità di esplosivo mai vista fino ad ora- potendo contare su una rete di fiancheggiatori e affiliati, legati anche dall’appartenenza clanica, che gli permette di avere una “supply chain” sicura e efficiente. E in questo senso, il viaggio indisturbato dei due veicoli dall’esterno di Mogadiscio fino al centro città, passando indenni per diversi check-point governativi prima di essere individuati ne è la riprova. L’arduo compito di Farmaajo non è agevolato anche dalle tensioni interne al comparto difesa somalo contraddistinte dalle recenti dimissioni di Rashid Abdullahi Mohamed, Ministro della Difesa e di Ahmed Jimale Irfiid, Capo di Stato Maggiore del SNA (Somali National Army). Il primo ha rimesso il proprio mandato per i contrasti avuti con il Primo Ministro mentre il secondo come atto di protesta visto l’aperto contrasto in atto tra NISA e SNA.

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Fig. 3 – L’attuale Presidente della Somalia Mohamed Abdullahi Mohamed, eletto lo scorso febbraio

I GIOVANI DI MOGADISCIO

Il secondo aspetto derivante dall’attentato e che probabilmente Al Shabaab non aveva messo in conto, è la reazione della popolazione. Il 18 ottobre migliaia di somali specialmente, donne e uomini in giovane età, si sono ritrovati nel centro di Mogadiscio per protestare contro Al Shabaab con lo slogan liberiamo la città dai terroristi. Una tale atteggiamento potrebbe dare una spinta in più nella lotta al terrorismo in Somalia perché avere il pieno sostegno del popolo può fare la differenza. Ed ecco spiegato anche il motivo per cui Al Shabaab si rifiuta di rivendicare l’attentato in quanto è pienamente consapevole ai danni di immagine a cui andrebbe incontro e alla conseguente impossibilità di reclutare adepti tra la popolazione somala.

Giulio Giomi

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Secondo alcuni esperti buona parte dell’esplosivo usato negli attacchi proviene dai depositi dell’SNA e/o del contingente AMISOM depredati duranti i numerosi attacchi portati alle basi dislocate sul territorio. A differenza delle armi e delle munizioni, gli esplosivi difficilmente sono venduti dai soldati somali al mercato nero poiché tale armamento è maggiormente controllato. [/box]

Foto di copertina di theglobalpanorama Licenza: Attribution-ShareAlike License

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Giulio Giomi
Giulio Giomi

Nato a Livorno nel 1988, mi sono laureato in Relazioni Internazionali presso l’Università LUISS di Roma. Precedentemente, ho ottenuto la laurea triennale in Scienze Politiche e Relazioni Internazionali presso l’Università di Pisa. Sono stato uno stagista presso il NATO Defense College e l’HQ della FAO. Quando non mi occupo di geopolitica, mi dedico alle altre mie due passioni: viaggi e calcio.

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