In 3 sorsi – Al prendere forma di una China policy occidentale piĂą coesa e ferma, in Cina come a occidente alcuni commentatori impugnano il memorandum della Belt and Road siglato dall’Italia nel 2019 e parlano di un cambio di casacca che non c’è mai stato, su ciò che rimane un utile strumento diplomatico.
1. LA NATURA DEL MEMORANDUM
A marzo 2019 il Governo Conte coglieva l’occasione della visita di Xi Jinping per siglare il memorandum che segnava la partecipazione dell’Italia all’iniziativa cinese “One Belt One Road”. La siglatura di tale accordo si inseriva nella cornice di 29 intese di carattere istituzionale e commerciale orientate a migliorare su piĂą fronti l’export italiano verso la Cina, il cui consumer market è ormai uno dei piĂą profittevoli al mondo. Nelle relazioni internazionali sfaldate dal trumpismo, in particolare nel contesto di un’Europa frammentata in cui si faceva a gara per siglare lucrativi accordi con Pechino, non sono tuttavia mancate polemiche e rimostranze verso la scelta italiana, che offriva a Pechino l’opportunitĂ di annunciare una “special relationship” con la seconda economia europea, a costo zero per entrambi. La natura legale del memorandum d’intesa è infatti nebulosa: per certe scuole di pensiero è una sorta di gentlemen’s agreement che “vale finchĂ© vale”, per altre forma dei vincoli di tipo morale o di soft law. Ciò che è certo è che da tali accordi non si evince un’inequivocabile volontĂ a vincolarsi a specifici obblighi pattizi, il che non profila alcun tipo di obbligo di diritto internazionale pubblico.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi e l’allora vicepremier Luigi Di Maio al momento della firma del memorandum, Roma, 23 marzo 2019. Si noti che a firmare per l’Italia non c’era l’allora Ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi
2. TRA NARRATIVA E REALTĂ€
I critici del memorandum facevano però orecchie da mercante, i piĂą feroci sostenevano addirittura che si fosse arrivati a mettere in discussione la posizione atlantista dell’Italia. Nel frattempo Pechino sentiva di aver gettato il panico a occidente e decorava il memorandum di quegli stessi significati politici che i suoi critici gli attribuivano, per farne un vettore di propaganda domestica e estera. Nel periodo che precedeva e seguiva la firma del memorandum, la stampa cinese commentava entusiasticamente le prospettive portate dalla scelta del Governo italiano, c’era chi parlava di una sorta di amore romantico tra i due Paesi, ne esaltava positivamente tanto le differenze quanto la somiglianza nei valori e, in altre parole, tesseva una narrativa che si sarebbe radicata nella concezione che il cinese medio ha (o aveva) della Repubblica Italiana: il primo di una lunga serie di Paesi europei e del G7 che, spinto da incerte condizioni economiche, cedeva alle lusinghe di una piĂą profonda amicizia con la Cina.
In tutto ciò non si può dire che l’Italia, in particolare la Farnesina, mostrasse ambiguitĂ : l’allineamento atlantista veniva all’occorrenza ribadito e, soprattutto, si rimarcava come i negoziatori italiani, tra gli accordi-quadro per startup, e-commerce, cooperazione finanziaria e così via, avessero inserito riferimenti inequivocabili alla protezione dell’interesse nazionale italiano, alla subordinazione all’Agenda Strategica di Cooperazione UE-Cina e al dialogo sui diritti umani – quest’ultima, area di cooperazione non pervenuta negli accordi che la delegazione cinese siglava in quei giorni con Francia e Germania.
Fig. 2 – Foto di gruppo dei leader del G7 durante il recente summit nel Regno Unito, 11 giugno 2021. Il vertice sembra aver prodotto un fronte apparentemente unito e fortemente critico di molte posizioni del Governo di Pechino
3. FINE DELLE ILLUSIONI
Le parole di Draghi dopo il G7 sono chiare e in linea con le altre grandi economie europee: sì alla cooperazione con la Cina, no al mordersi la lingua se ci si trova in disaccordo. Le dichiarazioni del Presidente del Consiglio non hanno certamente sorpreso la diplomazia cinese, semmai hanno scatenato sui social i netizens cinesi e italiani che avevano creduto alla storia di un riposizionamento politico del Bel Paese e che oggi tacciano l’Italia di incoerenza o di asservimento agli interessi americani, puntando il dito sugli accordi da 5,5 miliardi di dollari con la Marina americana o delle sei navi multipurpose FREM che l’Indonesia acquisterĂ da Fincantieri con il malcelato intento di mettere in discussione con piĂą vigore le storiche pretese marittime cinesi. Chi cade dalle nuvole dopo aver immaginato un’Italia filo-cinese potrebbe aver maturato una comprensione superficiale di ciò che in primo luogo ha portato alla firma di quello stesso memorandum che oggi la Presidenza del Consiglio intende riesaminare: un prodotto coerente della diplomazia italiana, che in parte rifletteva uno zeitgeist, ma che non è mai stato ciò che i cantastorie ci hanno costruito attorno, bensì resta potenzialmente un mezzo versatile per promuovere maggiormente l’Italia in Cina.
Federico Zamparelli
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