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Le forze turche a Idlib: premesse, cause e conseguenze

Nel mese di ottobre, truppe militari turche hanno fatto il loro ingresso in Siria, nella provincia di Idlib; nonostante sia avvenuta nel quadro degli accordi siglati ad Astana, una tale operazione non può che offrire numerosi spunti di riflessione

1. IDLIB, ROCCAFORTE DELL’OPPOSIZIONE SIRIANA

Capitale dell’omonimo governatorato, Idlib si trova nella parte nord-ovest della Siria, estremamente vicina al confine turco, a 50 km circa da Antiochia. Fin dal 2011 centro pulsante delle proteste anti-regime, Idlib è tuttavia rimasta nelle mani di Assad fino a fine marzo 2015, quando la coalizione di ribelli di Jaysh al-Fatah (l’esercito della vittoria) ha avuto il sopravvento e conquistato la città e i dintorni dopo quattro giorni di battaglia. Creata ad hoc per questa operazione, Jaysh al-Fatah era composto da milizie islamiste e forze più moderate e capitanato da Jabhat al-Nusra, allora affiliata ufficiale di al-Qa‘ida. Tra i fondatori di questo fronte figurava anche Ahrar al-Sham, gruppo salafita militante nella zona di Idlib fin dal 2011, dapprima al fianco del futuro califfo e poi in opposizione sia ad Assad sia ad al-Baghdadi; dal 2015, Ahrar al-Sham è uno dei gruppi ribelli a ricevere fondi e supporto da Turchia e Arabia Saudita.

Idlib è stata così la seconda capitale provinciale a sfuggire dalle mani del regime siriano dopo Raqqa. L’intera zona è dunque diventata un’ampia roccaforte ribelle, resasi talmente indipendente dal potere centrale da sviluppare forme di governo locale, capitanate dalla miriade di gruppi nati in seno all’opposizione siriana. A oggi, vivono qui più di due milioni di persone: sfollati interni fuggiti alle zone sotto controllo governativo, ma anche jihadisti dalle nazionalità più disparate. Ciò fa di questa provincia una bomba potenzialmente pronta a esplodere, per il governo siriano così come per le opposizioni moderate.

Il 4 Aprile 2017 la cittadina di Khan Sheykoun, nella zona di Idlib, è stata bersaglio di un attacco chimico con gas sarin imputato alle forze governative, non senza sospetto d’interferenza russa. Da luglio, in seguito all’abbandono delle milizie filo-turche di Ahrar al-Sham, la zona è controllata da Hayat Tahrir al-Sham (HTS- Movimento di Liberazione del Levante), gruppo jihadista fondato nel gennaio 2017, nel quale è confluito anche l’ex Jabhat-al-Nusra, il cui nome nel 2016 è stato cambiato in Jabhat Fateh al-Sham nel tentativo di ripulire la reputazione del gruppo dalla connotazione terrorista.

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Fig. 1 – Bambini siriani a Idlib festeggiano Eid al-Adha, la festa del sacrificio

2.I NEGOZIATI DI ASTANA E L’ENTRATA DELLE FORZE TURCHE A IDLIB

A inizio ottobre, Ankara ha dispiegato le proprie truppe oltre il confine siriano, proprio nella zona di Idlib. Quali gli antefatti? La sesta sessione dei colloqui per la pace in Siria tenutisi ad Astana lo scorso settembre si è conclusa con la delineazione di quattro zone di de-escalation militare nelle quali per sei mesi (estensibili) il cessate il fuoco sarà garantito da Turchia, Russia e Iran. Si prevede, dunque, un dispiego delle loro forze sul territorio siriano, nella vaga misura di 500 ‘osservatori’ per garante. La provincia di Idlib è appunto la quarta di queste zone di de-escalation.

Tale decisione mira a creare le giuste condizioni per la negoziazioni di un accordo tra le forze governative e le opposizioni moderate, esse stesse parte della trattativa, continuando senza sosta la battaglia contro Da’esh e le milizie qaediste. È considerata parte di quest’ultimo gruppo HTS, che non partecipa ai negoziati e la cui smobilitazione è uno degli scopi dei colloqui stessi.

È in questo quadro che una trentina di veicoli militari turchi ha raggiunto Idlib a sostegno dell’opposizione moderata rappresentata dalla Free Syrian Army (FSA); Erdogan ha prontamente dichiarato come tale mossa ottemperasse agli accordi di Astana. Per ora, le truppe turche non hanno svolto che funzioni di ricognizione sul territorio siriano; tuttavia, Erdogan ha precisato come, tenendo conto della minaccia proveniente dal confine siriano, la strategia turca non possa essere esclusivamente vincolata alla difesa e alla resistenza.

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Fig.2 – Astana, Kazakhstan- Ultima sessione dei colloqui per la pace in Siria

3. CONSEGUENZE E INTERROGATIVI

L’entrata delle forze turche a Idlib scoperchia numerose conseguenze e solleva altrettanti interrogativi.

A livello locale, si teme che l’intervento turco a sostegno dell’opposizione più moderata possa scatenare un nuovo confronto in seno alla galassia ribelle. Tuttavia, fonti locali hanno riferito che i convogli turchi sono stati scortati proprio da uomini di HTS. Cosa potrebbe significare? I vertici di HTS sanno che attaccare gli alleati di Ankara equivarrebbe a dichiarare guerra alla Turchia stessa: probabile, dunque, che la disproporzione tra le due forze in termini di capacità militare stia determinando un atteggiamento di non belligeranza da parte del gruppo salafita. Oltretutto, sentendo vicina la fine del conflitto, HTS potrebbe mirare a costruirsi un’immagine più moderata, che possa arrogargli il diritto di ottenere delle concessioni durante le negoziazioni finali (qui ne abbiamo analizzato i possibili scenari).

Soffermandoci a considerare la strategia turca, Erdogan ha dichiarato che uno degli scopi del recente dispiegamento di forze oltre il confine siriano è anche impedire l’ulteriore espansione dei curdi dell’YPG nel nord della Siria e ipoteticamente fino al Mediterraneo, creando un “corridoio del terrore”. A tale proposito, nasce spontanea l’associazione con l’operazione Euphrates Shield, lanciata dalla Turchia nell’agosto 2016 nel nord della Siria per proteggere i propri confini da Da‘esh e le milizie curde e interrotta nel marzo 2017. Potrebbe quindi quest’iniziativa turca in Siria costituire, oltre l’osservanza degli accordi presi ad Astana, un ufficioso corollario di Euphrates Shield?

La negoziazione delle zone di de-escalation ha autorizzato, pur con delle clausole, l’entrata di truppe straniere in Siria. Si pone l’accento così su una delle più conclamate caratteristiche del conflitto, che da guerra civile è evoluto anche in guerra per procura. Nel cercare una soluzione, sono ora i ‘patroni’ stessi, Turchia da una parte e Russia e Iran dall’altra, a farsi apertamente garanti del nuovo ipotetico equilibrio. Peraltro, se in questa circostanza la battaglia contro il jihadismo ha unito fronti apparentemente inconciliabili, quali conseguenze sulla ricostruzione della Siria potrebbe avere la caduta del nemico comune, ovvero un’eventuale sconfitta jihadista?

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Un chicco in più

Per saperne di più su Hayat Tahir al-Sham e sui gruppi confluiti in questo movimento, si veda il seguente approfondimento.[/box]

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Lorena Stella Martini
Lorena Stella Martini

Nata a Milano nel 1993, scrivo di area MENA per il Caffè Geopolitico dal 2017. Ho conseguito una laurea triennale in Scienze Linguistiche per le relazioni internazionali, specializzandomi in lingua araba, un Master di I livello in Middle Eastern Studies e una laurea magistrale binazionale in Analyse Comparée des Sociétés Mediterranéennes tra l’Italia e il Marocco. Mi interesso in particolar modo di tematiche legate ai diritti umani, alle questioni di genere e ai movimenti sociali nella regione MENA.

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