Oggetto di due mandati d’arresto della Corte Penale Internazionale per crimini commessi nella Repubblica Democratica del Congo, il generale Bosco Ntaganda, soprannominato “Terminator”, si è consegnato all’ambasciata degli Stati Uniti in Ruanda lo scorso 18 marzo. Trasferito a L’Aia quattro giorni dopo, è ora in attesa di giudizio. Per sapere chi è Terminator, come siamo arrivati agli ultimi eventi e quali sono le implicazioni del suo arresto, ecco 5 domande e altrettante risposte.
Chi è Bosco Ntaganda?
Ribelle divenuto generale dell’esercito congolese, poi radiato e passato nuovamente alla ribellione, Bosco Ntaganda è stato a lungo ricercato dalla Corte Penale Internazionale (CPI) per aver commesso crimini contro l’umanità e crimini di guerra nella regione dell’Ituri (nord-est della RDC) tra il 2002 e il 2003. Nato nel 1973 a Kiningi, un piccolo villaggio del Ruanda, da adolescente fugge a Ngungu, nell’allora Zaire, in seguito agli attacchi contro la sua gente (Tutsi). Dopo aver preso parte a varie milizie ribelli, durante la guerra interetnica dell’Ituri è capo di stato maggiore dell’Unione dei Patrioti Congolesi (UPC), il cui responsabile politico, Thomas Lubanga, è stato poi il primo condannato della storia della CPI. Alla testa di questa milizia Ntaganda, per la prima volta, arruola bambini soldato e si macchia di altri crimini quali stupri di massa o massacri di civili. L’assenza di scrupoli gli vale il soprannome di “Terminator”. Nel 2006 viene emesso un primo mandato d’arresto internazionale contro di lui. Nel 2007 si attribuisce il grado di generale nella ribellione del Congresso Nazionale per la Difesa del Popolo (CNDP), grado che gli viene ufficialmente riconosciuto dopo la firma di un accordo di pace con il governo congolese il 23 marzo 2009. Sulla base di tale accordo il CNDP diventa partito politico, e Bosco Ntaganda e i suoi uomini vanno ad integrare l’esercito congolese. Il 14 marzo 2012, la CPI esprime il proprio verdetto contro Thomas Lubanga. Bosco Ntaganda è citato nel rapporto come coautore dei crimini per cui Lubanga è riconosciuto colpevole e “si guadagna” un secondo mandato d’arresto. Lascia Goma, dove ha vissuto da uomo libero e nel lusso (commerciando in minerali “sporchi”), e appoggia l’ammutinamento alla base del movimento del 23 marzo (M23), che reclama la piena applicazione dell’accordo firmato nel 2009. L’M23, diretto da Sultani Makenga, nega ogni legame con “Terminator” e, in seguito ad una scissione interna avvenuta il 28 febbraio scorso, lo esautora, sconfiggendolo sul campo e costringendolo a fuggire in Ruanda. Su Bosco Ntaganda pendono 10 capi di imputazione (7 per crimini di guerra e 3 contro l’umanità), tutti commessi tra il 2002 e il 2003 nell’Ituri. Per ora, non c’è nessuna accusa per le atrocità commesse nel Nord Kivu alla testa di CNDP e M23.
Cosa è successo negli ultimi giorni?
Il 18 marzo scorso, Bosco “Terminator” Ntaganda si presenta all’ambasciata degli Stati Uniti nella capitale ruandese Kigali e chiede esplicitamente di essere trasferito a L’Aia per essere giudicato dalla Corte Penale Internazionale. È la prima volta che un ricercato si arrende volontariamente alla CPI. Il Ruanda e gli Stati Uniti non sono paesi firmatari del trattato di Roma, il testo fondatore della Corte. Di conseguenza, non hanno alcun obbligo di consegnare Ntaganda alla giustizia internazionale. Il giorno successivo, tuttavia, Washington prende contatti con L’Aia e con il governo ruandese perché il trasferimento nei Paesi Bassi avvenga il prima possibile. Venerdì 22 marzo, alle ore 14, l’aereo con a bordo il generale Ntaganda, accompagnato da una delegazione della CPI, decolla da Kigali. Giunto all’aeroporto di Rotterdam, viene scortato al centro detentivo de L’Aia, dove ritrova Thomas Lubanga (che sta scontando 14 anni di reclusione per l’arruolamento di bambini soldato). Martedì 26 marzo Bosco Ntaganda è condotto di fronte ai giudici della Corte per un’udienza preliminare, in cui chiede di essere giudicato in kinyarwanda (la lingua materna, di cui ha maggiore padronanza) e in cui conferma la propria identità. Viene poi informato delle accuse rivolte contro di lui e dei diritti di cui gode. L’ex generale aggiunge l’intenzione di dichiararsi “non colpevole”, ma il giudice lo interrompe, spiegando che si tratta solo di un’udienza preliminare. La prossima, in cui si determinerà se gli elementi di prova sono abbastanza solidi per iniziare un processo, è fissata per il 23 settembre 2013.
Chi sono i principali beneficiari della resa?
Il beneficiario principale è Sultani Makenga, che si è così liberato definitivamente del suo grande rivale all’interno dell’M23. Sconfitto sul campo, il carisma di Bosco Ntaganda avrebbe potuto nuovamente contestargli la leadership. In più Ntaganda, nel mirino della comunità internazionale, danneggiava l’immagine di tutto il movimento. Niente più divisioni, dunque, e spazio per i negoziati con Kinshasa, da sempre osteggiati dal generale. Anche il governo congolese non può che godere di questa resa, non solo perché avrà un signore della guerra in meno da affrontare, ma per il messaggio che tale resa trasmette, con la speranza che possa scoraggiare in futuro chiunque voglia sfidare Kinshasa. Il Ruanda, da parte sua, si libera di un protetto diventato troppo ingombrante, senza assumersi la responsabilità dell’arresto. A dirla tutta, Ntaganda conosce molti retroscena “caldi”, motivo per cui è stato coperto per anni: la sua testimonianza può essere potenzialmente molto dannosa per Kigali.
Il suo arresto è una tappa importante per il processo di pace congolese?
Se, da una parte, l’arresto di “Terminator” può essere considerato un grande passo nel processo di giustizia in Repubblica Democratica del Congo, dall’altra è un piccolissimo passo per il processo di pace. Da anni ci si è focalizzati sull’arresto dei grandi signori della guerra come Bosco Ntaganda. Prima di lui c’era Laurent Nkunda. Prima, altri ancora. E dopo di lui, ce ne saranno di nuovi. Il problema non è tanto l’arresto dei capi delle ribellioni (le quali sono attualmente sette solo nel Kivu). La Repubblica Democratica del Congo ha bisogno di una vasta riforma a livello politico, sociale ed economico. Kinshasa riesce difficilmente a mantenere il controllo sulle periferie. La ricchezza del sottosuolo continua ad alimentare i giochi “sotto banco” dei paesi confinanti, e non solo. In ogni caso, un accordo con l’M23 si fa più probabile. Bosco Ntaganda, con due mandati d’arresto sulle spalle, non aveva più ragione di arrivare a un accordo con il governo congolese. Non avrebbe mai più potuto ricoprire un incarico ufficiale nel governo o nell’esercito, e correva sempre più il rischio di farsi consegnare alla giustizia internazionale.
Come si spiega l’improvvisa resa di Bosco Ntaganda?
Secondo il Dipartimento di Stato americano, “Terminator” si è arreso liberamente all’ambasciata degli Stati Uniti a Kigali, dove avrebbe domandato spontaneamente il trasferimento alla CPI. Difficile da credere, visto che, finora, aveva fatto di tutto per non trovarsi in questa situazione. È più logico pensare che, oramai, fosse con le spalle al muro e, trovandosi a scegliere tra la morte e l’arresto, abbia optato per quest’ultimo. Nelle ultime settimane aveva perduto il controllo dell’M23, i suoi fedelissimi erano fuggiti e il suo rivale, Sultani Makenga, lo stava ormai braccando. Inoltre, i suoi “tutori” stranieri (Ruanda in primis) avevano smesso di assicurargli la protezione. Come Ntaganda sia giunto all’ambasciata di Kigali, è ancora un mistero. Sicuramente non da solo, senza che nessuno se ne sia accorto: il Ruanda è un paese piccolo, controllato sistematicamente dalle forze di polizia. Quasi certamente, è stato preso in custodia dall’esercito ruandese al suo arrivo alla frontiera. Poi, le cose sono meno chiare: è stato scortato fino all’ambasciata o è scappato per raggiungerla con mezzi propri? È stato minacciato? C’è stato un accordo? Alcuni analisti credono che con la crescente pressione diplomatica sul Ruanda, questo non avrebbe potuto dare rifugio al generale, lasciandolo senza alcuna altra scelta se non quella di arrendersi, e che questa resa sia stata preparata da Kigali e Washington nelle ore che hanno seguito il suo ingresso in territorio ruandese. Ma perché proprio il Ruanda? Poteva andare in Uganda, ma ha scelto Kigali. L’ha fatto perché costretto o perché ha voluto mettere in imbarazzo il suo vecchio sponsor? L’ha spinto il governo oppure è andato volontariamente, terrorizzato da un eventuale arresto della polizia ruandese? Bisognerà aspettare il processo, che inizierà in settembre, per rispondere a queste e ad ulteriori domande.
Giorgio D’Aniello