Il 4 marzo 2018 l’El Salvador sarĂ chiamato alle urne per rinnovare l’Assemblea legislativa e i comuni. FMLN e ARENA si giocano la partita, mentre il Paese attraversa un periodo piuttosto delicato
EL SALVADOR, FORZE POLITICHE CONTRAPPOSTE
El Salvador è il più piccolo degli Stati che formano il Triangolo Nord del Centroamerica. Dal 1980 al 1992 il Paese è stato dilaniato dalla guerra civile, costata circa 70.000 morti e che ha provocato un milione di profughi dentro e oltre le sue frontiere. Da venticinque anni, El Salvador gestisce le ferite della guerra grazie a una democrazia fondata sul bipartitismo tra le forze conservatrici di Alianza Republicana Nacionalista (ARENA) e il partito erede della guerrilla, il Frente Farabundo Martà para la Liberación Nacional (FMLN). Se inizialmente erano le forze di destra a governare, nel 2009 il fronte rivoluzionario è salito al governo con Mauricio Funes e ha mantenuto il potere nel 2014 con il suo vice-presidente, Salvador Sánchez Cerén.
Fig.1 – Il presidente Sánchez CerĂ©n in una conferenza stampa del 2015.
POLITICA INTERNA: LUCI ED OMBRE
Cerén, di professione maestro, si è insediato nella Casa Presidencial con un programma economico volto a creare risorse da poter successivamente investire in programmi sociali ad ampio spettro. Sul piano interno, l’educazione e la sanità pubblica sono i suoi punti forti, ma l’esecutivo non è riuscito a spingere esponenzialmente l’economia e cambiare la faccia del Paese. Non si tratta di cifre negative: la media di crescita economica degli ultimi sette anni è dell’1.9%. Ma non è abbastanza per uno Stato che deve svilupparsi, spende moltissime energie finanziarie ed umane in termini di sicurezza, mentre subisce diversi casi di corruzione.
La sicurezza è uno dei problemi maggiori: le pandillas, le gang dedicate all’estorsione e alla guerra tra bande, sono una vera e propria piaga sociale. Su un totale di circa 6.2 milioni di salvadoregni, 500.000 fungono da strato sociale di protezione per i 60.000, in maggioranza giovani, che sono parte attiva delle gang. Non c’è alcun dubbio sulla direzione indicata dalla grande maggioranza dell’opinione pubblica: contro las pandillas, la mano dura. Per anni, i governi di destra hanno implementato politiche dure: Plan Mano Dura del 2003, poi Plan SĂşper Mano Dura nel 2004; accompagnate da iniziative come Mano Amiga e Mano Extendida che dovevano lavorare a livello sociale, prevenendo e curando il problema. La repressione non funzionò, mentre le politiche economiche neoliberiste toglievano ossigeno alle iniziative sociali efficaci.
Quando il Frente Farabundo salì al potere, Mauricio Funes tentò la carta del dialogo. Il Governo e i capi delle gang raggiunsero un accordo: tregua nella guerra tra le pandillas e trattamento di favore per i leader delle stesse nelle carceri. I capi avevano la possibilità di comunicare facilmente con l’interno e l’esterno. La tregua sembrava funzionare: il tasso di omicidi si abbassò. A che prezzo, però?
Cerén ha riproposto la mano dura, anzi, durissima, con il Plan El Salvador Seguro. Polizia nazionale ed esercito militarizzano le strade, e i capi delle gang sono stati riportati nelle prigioni di massima sicurezza. Le bande hanno ripreso la guerra, massacrando civili, polizia ed esercito, ma chiedono al governo di riprendere il dialogo abbandonato nel 2016. L’esecutivo prosegue sulla sua linea e iniziano a comparire le prime accuse di violazione di diritti umani da parte delle autorità . Tutto questo ha ripercussioni sulla politica e gli equilibri interni ed esterni del Paese.
Fig.2 – Due membri della gang Mara Salvatrucha.Â
POLITICA ESTERA
I rifugiati della guerra civile si stabilirono per la maggior parte a Los Angeles, dove crearono il sistema di gang. Qualche anno dopo gli accordi di pace del 1992, l’amministrazione Clinton iniziò un’operazione di rimpatrio gigantesca, che fu poi portata avanti da George W. Bush e Barack Obama. Dal 1998 al 2014, gli Stati Uniti hanno riportato 300.000 persone nella regione centroamericana.
Oggi, El Salvador rischia di subire una nuova operazione di “deportazioni” che potrebbe portarlo al collasso. Il presidente Trump ha annunciato lo smantellamento del DACA e sta giĂ abbattendo pezzo per pezzo il Temporary Protected Status (TPS), che permette ad alcune fasce di cittadini stranieri di lavorare regolarmente sul territorio statunitense. I salvadoregni che usufruiscono del TPS sono circa 200.000, e hanno a carico circa lo stesso numero di minori di nazionalitĂ statunitense. L’esecutivo ha chiesto la proroga dell’accordo, che è stata accordata all’Honduras di Hernández. CerĂ©n ha un piano per gestire l’ondata, che però sembra piĂą un azzardo economico, sociale e culturale.
In campo internazionale, CerĂ©n è stato pragmatico per i primi due anni. Cosciente della necessitĂ dell’aiuto statunitense, il presidente si è mosso inizialmente bene nei confronti di Washington, ma è stato abile anche sul lato opposto. Approfittando della generositĂ del Venezuela, all’epoca “solo” sull’orlo del baratro, CerĂ©n ha usufruito degli accordi con Caracas e L’Avana che hanno spinto i suoi progetti su educazione e sanitĂ pubblica.
All’inizio del 2017, il presidente si è schierato dalla parte di Maduro all’interno dell’Organizzazione degli Stati Americani (OEA) e le relazioni con Washington hanno iniziato a scricchiolare. CerĂ©n gioca con una controparte infinitamente piĂą grande e potente di lui, che non conosce il linguaggio diplomatico, e che minaccia i tagli sugli aiuti a chi non si allinea con le sue scelte. La scelta salvadoregna sul Venezuela sarebbe stata piĂą comprensibile in un momento economico positivo per Caracas. Così facendo, il presidente sta rischiando di affossarsi insieme al suo alleato socialista.
Ma è vero che la situazione è molto complessa. El Salvador subisce la sorte di un piccolo Stato schiacciato tra i giganti. Cerén dovrebbe piegarsi al volere statunitense nei confronti di Caracas e sperare che Washington continui a fornire aiuto economico e non decida di rimpatriare il quasi mezzo milione di persone. Con Trump alla Casa Bianca, è un azzardo tanto quanto lo è l’appoggio incondizionato a Caracas, che però preoccupa molto di più.
Fig.3 – Maduro e CerĂ©n al G77+China Summit del 2014.
A MARZO SI VOTA E POI LE PRESIDENZIALI
Il 4 marzo i cittadini salvadoregni sono chiamati alle urne per rinnovare l’Assemblea legislativa e i comuni. FMLN ha costituito diverse coalizioni con gli altri piccoli partiti, anche di destra, per riuscire a strappare la vittoria a ARENA. Secondo un sondaggio, il 73.3% dei cittadini salvadoregni non vede positivamente la situazione del Paese. I conservatori avrebbero un margine di vantaggio di circa 7 punti percentuali sul partito di governo. I dati da tenere a mente, però, sono il 60% d’indecisi e l’astensionismo che potrebbe raggiungere il 30%. La partita è completamente aperta e per avere un’idea migliore sulle prospettive per la primavera dovremo attendere il vivo della campagna elettorale. Cerén può contare fino a marzo su una solida e leale maggioranza parlamentare. Il cinque marzo si vedrà . Se è presto per fare previsioni per questa primavera, è fantapolitica fornire dati per le presidenziali 2019. Forniamo nomi, allora. Il bipartitismo si scontrerà con ogni probabilità con due giovani astri nascenti della politica salvadoregna. Il primo è Nayib Bukele, sindaco di San Salvador con FMLN e da poco espulso dal partito per le sue posizioni critiche verso le politiche di governo; ha fondato un movimento che punta a cambiare il modo di fare politica a El Salvador. L’altro è Johnny Wright, che ha rinunciato alla sedia legislativa con ARENA e prepara la sua candidatura per il 2019.
Elena Poddighe
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in piĂą
Il reportage del New York Time Magazine che ci porta nel cuore delle pandillas. Nel 2016 la Corte Suprema salvadoregna ha dichiarato incostituzionale e contro i trattati internazionali la legge di totale amnistia promulgata nel 1993. Così facendo, la Corte ha riaperto la porta alla ricerca di verità e giustizia per le vittime della guerra civile.
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