Durante la seduta plenaria del 12 dicembre scorso, l’Europarlamento ha approvato l’Accordo Rafforzato di Partenariato e Cooperazione (EPCA) con il Kazakistan, il primo di questa tipologia che l’UE ha concluso con un Paese dell’Asia Centrale. Tuttavia, il dibattito precedente il voto ha evidenziato notevole preoccupazione da parte europea rispetto al deficit democratico ed alla precaria tutela dei diritti umani che interessano il Kazakistan
NUOVI LIVELLI DI DIALOGO
Sottoscritto ad Astana il 21 dicembre 2015 e provvisoriamente in vigore a partire dal 1° maggio 2016, l’Enhanced Partnership and Cooperation Agreement (EPCA) tra Unione Europea (UE) e Repubblica del Kazakistan è stato approvato dall’Europarlamento lo scorso 12 dicembre, totalizzando 511 voti favorevoli dei 654 Eurodeputati presenti (115 i contrari e 28 gli astenuti).
È la prima volta che un sodalizio tra il blocco dei 28 e un Paese centro-asiatico culmina nell’approvazione di un impegno politico rafforzato, cristallizzato in un documento di 150 pagine e scandito dalla definizione di ben 29 aree di cooperazione. Tra le più rilevanti, economia e commercio; investimenti, finanza e tassazione; lotta al terrorismo e alla proliferazione di armi di distruzione di massa; cultura, istruzione e ricerca; assistenza sanitaria; clima e ambiente; affari sociali e società civile.
Una partnership dall’architettura complessa, articolata su un ampio spettro di tematiche e di interessi comuni ai due protagonisti. Da un lato Bruxelles, primo investitore straniero e primo partner commerciale di Astana, che rappresenta oltre il 50% degli investimenti diretti esteri in Kazakistan e anche un terzo del commercio estero del Paese. Dall’altro Astana, la “Dubai della steppa” alla ricerca del proprio spazio tra i grandi della geopolitica ed oggi membro non permanente del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite.
Non solo gas e petrolio: Astana comincia a parlare di sviluppo sostenibile, qualità della vita, stabilità e sicurezza. E Bruxelles già immagina l’EPCA come una parabola protesa verso l’universo regionale, una sorta di volano per imprimere nuovo impulso alla Strategia dell’UE per l’Asia Centrale.
Il lato meno lucido della medaglia ritrae, tuttavia, alcune criticità non trascurabili che costellano il processo di sviluppo di tanti Paesi emergenti e che si appuntano sul mancato rispetto di valori generalmente catalogati sotto l’etichetta di stato di diritto. E il Kazakistan non fa certo eccezione.
Per altro, si sa che se gli interessi economici avessero la meglio sulla tutela dei diritti dell’uomo, l’UE finirebbe con il perdere la propria legittimità politica e ideale. Una considerazione molto in voga negli ultimi anni e ultimamente riproposta anche dall’Europarlamentare finlandese Liisa Jaakonsaari, autrice di un report apertamente critico nei confronti di Astana, nel quale si sintetizza l’urgenza di riforme nazionali concrete e tangibili per lo sviluppo di istituzioni democratiche e un maggiore rispetto delle libertà fondamentali dei cittadini.
Fig. 1 – Il Presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il Presidente del Kazakistan Nursultan Nazarbayev durante la visita di quest’ultimo a Bruxelles nel marzo 2016
I PROGRESSI DI UN GIGANTE PERIFERICO
Nono Paese al mondo per estensione, dotato di una superficie pari all’intera Europa occidentale, il Kazakistan vive sospeso tra due continenti. Ad attraversarlo il fiume Ural, spartiacque convenzionale tra le sterminate steppe centro-asiatiche, antica patria di pastori erranti, e un restante 10% di suolo europeo, sul versante nord-occidentale.
Tuttavia, estremamente marginale è stata l’attenzione che per anni le istituzioni europee hanno rivolto al Kazakistan e alle limitrofe repubbliche islamiche. Nel 2007 Bruxelles adottava la EU Strategy for Central Asia, un programma dall’impatto politico assai limitato se si considera lo sguardo privilegiato rivolto invece al di qua del Caspio. Solo nel 2008 sorgeva infatti, in seno alla Politica Europea di Vicinato, il Partenariato Orientale: ad esso aderirono sei giovani repubbliche che – sebbene cariche di eredità sovietica – erano apparse fin da subito meno distanti dal cuore dell’Europa unita.
Ma nel frattempo anche gli “Stan” crescevano, sia pur lentamente, ed acquisivano una fisionomia sempre più autonoma, tanto da non potersi più considerare un unicum inscindibile. Per ciascun partner centro-asiatico l’UE sagomava un approccio specifico, quasi su misura, e contemporaneamente la sua Strategia centro-asiatica assumeva un’altra forma, si arricchiva di ulteriori contenuti e traeva nuova linfa da più solide relazioni bilaterali con Kazakistan, Uzbekistan, Turkmenistan, Tagikistan e Kirghizistan.
Oltretutto, in Kazakistan venticinque anni di indipendenza si sentono probabilmente più che altrove: capofila indiscusso di un prudente percorso di sviluppo regionale, il Paese è stato letteralmente immerso in un sistema di riforme senza precedenti. Ormai dieci anni fa, nel 2008, il Presidente Nazarbayev presentava al mondo il celebre programma di sviluppo triennale denominato Path to Europe; il 2015 ha dato il varo ai cd. 100 Passi, un piano focalizzato sulla trasparenza e sull’efficienza del Governo; le riforme costituzionali del 2017 hanno invece sancito il trasferimento di parte dei poteri presidenziali nelle mani del Parlamento.
Astana è ormai determinata ad abbandonare le periferie della politica globale e si prepara a viaggiare sui binari dell’emancipazione, assumendo come riferimento precisi standard internazionali e, soprattutto, europei.
Fig. 2 – Carovana di pastori nomadi kazaki con le loro greggi
SOGNI ECONOMICI E ASPETTATIVE DEMOCRATICHE
Di poco successive alla dichiarazione di indipendenza dall’URSS, le prime relazioni tra il Kazakistan e l’UE risalgono ai primi anni Novanta. Nel 1994, la conclusione del Partnership and Cooperation Agreement (PCA) suggellava l’inizio di un impegno politico che avrebbe trovato piena applicazione a partire dal 1999.
Oggi, in attesa che tutti i 28 Stati membri approvino la cooperazione rafforzata fissata nelle 150 pagine che compongono l’EPCA, l’UE incrementa il proprio supporto tecnico e finanziario per stimolare la crescita di un Paese che non si accontenta più di parlare il solo linguaggio degli idrocarburi. Cooperazione in materia di giustizia e affari interni, rafforzamento del ruolo della società civile ed efficienza delle istituzioni democratiche per garantire lo stato di diritto e il rispetto delle libertà fondamentali costituiscono le nuove frontiere delle relazioni bilaterali.
Un percorso indubbiamente ad ostacoli per un Paese che si è affacciato alla ribalta internazionale presentando unicamente le proprie credenziali economiche. Fin dagli albori dell’indipendenza, il Kazakistan è stato sedotto dai vantaggi della liberalizzazione e nel corso degli anni ha pian piano aperto la strada ad una vasta campagna di privatizzazioni e al potenziamento di investimenti esteri, così da incentivare crescita e innovazione. Per lungo tempo, proprio gli interessi economici hanno offerto un solido punto di ancoraggio per le fiorenti relazioni che Astana intrecciava con il resto della comunità internazionale, in barba agli altisonanti ideali democratici di pluralismo ideologico e politico, progresso sociale e stato di diritto.
Semplicemente un indice che, anche in Kazakistan, il passato ha il suo peso. La sfida consiste piuttosto nel fare in modo che un fardello del passato non pesi anche sul futuro. E per farlo, l’establishment politico kazako dovrà mostrarsi capace di tradurre i finanziamenti di Bruxelles nella realizzazione di piani d’azione per il decentramento politico, il sostegno alla democratizzazione e il rafforzamento del dialogo tra autorità e società civile.
Fig. 3 – Grattacieli avveniristici e edifici governativi dal profilo sovietico: il particolare paesaggio urbano di Astana, capitale del Kazakistan
VERSO LA CONDIVISIONE E IL RISPETTO DI VALORI COMUNI
Durante il dibattito che ha caratterizzato la seduta plenaria del 12 dicembre, l’Europarlamentare Jaakonsaari ha ribadito il sostegno europeo per la trasparente attuazione degli impegni che il Kazakistan ha assunto nei confronti di numerose organizzazioni internazionali.
Solo a titolo di esempio, si ricordi che l’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO) è attualmente impegnata per il riconoscimento e l’operatività di sindacati indipendenti. L’OSCE ha invece espresso in più occasioni grave preoccupazione per la pena inflitta agli attivisti Max Bokayev e Talgat Ayan, condannati a cinque anni di reclusione per avere partecipato alle proteste popolari dell’aprile 2016, pur essendosi queste svolte pacificamente.
Ad ogni modo, le distanze sembrano essersi notevolmente accorciate. L’UE punta dritto al cuore dell’Eurasia e, dall’economia alla politica, le barriere geografiche diventano linee immaginarie. Eppure Bruxelles è per eccellenza capitale d’Europa, mentre Astana – pur dotata di una grande forza attrattiva – resta irrimediabilmente asiatica.
Ragionando infatti in termini generali, si è portati ad affermare che la crescita e il progresso economico non possono mai esser dissociati dal benessere e dalla tutela dei diritti umani. La democrazia del Kazakistan è però ancora immatura ed estremamente giovane, come giovane è anche la sua futuristica capitale. Del resto, la previdente accortezza del Presidente Nazarbayev non si è limitata a disegnare il volto della nuova capitale, ma si è tradotta persino nella definizione delle priorità di sviluppo. Prima la crescita economica e solo successivamente la democrazia, lungo un lento cammino che dovrà perfezionarsi entro il 2050.
Alla luce di quanto detto, l’espansione della dimensione commerciale bilaterale sancita dalla partnership rafforzata risulta una condizione indispensabile affinchè l’Europa possa vincere la propria scommessa per un Kazakistan stabile e prospero.
L’impegno politico decretato dall’EPCA si incardina cioè sulla promozione di una democrazia sostenibile e trova il fondamento nell’interesse reciproco al rispetto di valori comuni, quali lo stato di diritto e una governance efficace, oltre ad un’economia di mercato.
Fig. 4 – Scontri tra la polizia e alcuni lavoratori in sciopero, in occasione di una protesta antigovernativa ad Almaty
Luttine Ilenia Buioni
[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più
Secondo i rapporti stilati da organizzazioni non governative di calibro internazionale, le autorità kazake avrebbero attuato nell’ultimo anno una repressione sistematica delle attività condotte dal movimento sindacale indipendente. In assenza di motivazioni reali, avrebbero inoltre iniziato un’azione legale nei confronti della leader del principale sindacato indipendente nazionale, Larisa Kharkova, privandola della sua carica e imponendo severe limitazioni alla sua libertà di movimento. Altri due leader del gruppo sindacale, Kushakbaev e Yeleusinov, lo scorso anno sono stati trattenuti in carcere per aver organizzato una protesta pacifica, ma giudicata illegale dalle autorità.[/box]
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