Ristretto – Ieri sera Jacob Zuma ha ufficialmente rinunciato alla carica di Presidente del Sudafrica. L’ultimatum era giunto martedì dall’ANC (African National Congress) che gli aveva concesso 48 ore per rassegnare le dimissioni
Dopo un primo rifiuto, mercoledì l’ANC ha minacciato un voto di sfiducia qualora il Presidente non si fosse conformato alla decisione del partito. La notizia non ci stupisce. Già qualche settimana fa prospettavamo uno scenario simile, di fronte alla notizia del cambio di leadership all’interno dell’ANC, che a dicembre aveva sostituito a Zuma il neoeletto Cyril Ramaphosa. Il clima di crescente sfiducia nei confronti del Presidente dimissionario è stato causato delle numerose accuse di corruzione e mala gestione della cosa pubblica. Zuma sembrava essere uscito indenne dalle proteste popolari e studentesche degli ultimi autunni, ma a dargli il colpo di grazia sono stati gli stessi membri del suo partito, preoccupati di risollevare l’immagine pubblica dell’ANC e affrettarsi a cominciare un nuovo corso sotto la guida di Ramaphosa. In passato le dimissioni del Presidente Zuma erano state richieste a gran voce dalle opposizioni, ma l’appoggio da parte del partito – che ha sempre cercato di mantenere una certa stabilità interna, evitando guerre fratricide – ne aveva sempre scongiurato la caduta. Abbandonato dall’ANC, Zuma e la sua rete di connivenze ha cominciato a cedere. Ieri la polizia ha perquisito l’abitazione appartenente all’influente famiglia Gupta, finita in diverse occasioni sotto indagine a causa delle strette relazioni con Zuma. I Gupta erano giunti in Sudafrica dall’India nei primi anni Novanta, appena dopo la fine del regime di apartheid. Da agricoltori, erano riusciti a fondare una prima società specializzata nella vendita di computer, riuscendo a costruire progressivamente un solido impero. Tra le numerose accuse di corruzione, la più recente risale allo scorso ottobre e ha visto coinvolta una filiale africana del colosso KPMG.
Caterina Pucci
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