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Le legislative in Gibuti riconfermano il partito di Guelleh

In 3 sorsi – Il risultato delle ultime elezioni legislative impone di interrogarsi sulla lunga permanenza al potere delle forze politiche guidate dal presidente Guelleh

1. PLEBISCITI ELETTORALI E BOICOTTAGGI DELL’OPPOSIZIONE

Il risultato delle elezioni legislative tenutesi a Gibuti lo scorso 23 febbraio è inequivocabile e prevedibile. La coalizione Union pour la Majorité Présidentielle (UMP) guidata dal Presidente in carica Guelleh ha conquistato 57 seggi dei 65 totali, 7 dei restanti sono andati alla formazione UDJ-PDD e un seggio al Centre Démocrate Unifié Djiboutien (CDU). Quest’esito ripete quello delle legislative del 2003, delle presidenziali del 2005, delle presidenziali del 2011, delle legislative del 2013 e delle elezioni presidenziali del 2016. Anche in quest’ultima tornata elettorale, così come nelle elezioni presidenziali del 2005, in quelle regionali del 2006, in parte nelle presidenziali del 2016 e nelle comunali del 2017, le forze di opposizione raccolte nell’Union pour le Salut National (USN) non vi hanno preso parte. Le ragioni di quest’ultimo boicottaggio, elencate nel corso della conferenza stampa della formazione d’opposizione Mouvement pour le Développement et la liberté (MoDeL) tenutasi il 1 gennaio 2018, sono il rifiuto del governo di istituire una commissione elettorale nazionale indipendente (CENI) congiunta e permanente, di stabilire uno statuto dell’opposizione redatto congiuntamente da governo e opposizione e il bavaglio imposto alla stampa indipendente, libera e critica. Questa situazione è dovuta alla mancata implementazione dell’accordo firmato il 30 dicembre 2014 da UMP e USN, faticosamente raggiunto a seguito della profonda crisi post-elettorale successiva alle elezioni legislative del febbraio del 2013, che videro dopo 10 anni di boicottaggi, la partecipazione del fronte USN con un significativo consenso popolare.

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Fig. 1 – “Gibuti, una nazione in ostaggio” così recita uno degli slogan lanciati durante le proteste nei confronti del Presidente Guelleh

2. UNA FALSA REPUBBLICA MULTIPARTICA

Ottenuta l’indipendenza dalla Francia nel 1977, sebbene dal 1992 sia avvenuto formalmente il passaggio da un sistema politico monopartitico dominato dal RPP a quello multipartitico, di fatto in Gibuti vige una repubblica presidenziale unitaria con un partito dominante. Lungo la breve storia repubblicana del Paese la scena politica è stata appannaggio del clan Issa, di origine somala, etnia demograficamente più consistente rispetto a quella rivale degli Afar. Ad Hasan Gouled Aptidon, fondatore del RPP e Presidente della Repubblica dal 1979 al 1999, è subentrato il nipote Ismaïl Omar Guelleh, oggi ancora stabilmente in sella al potere. L’attuale primo ministro Abdoulkader Kamil Mohamed è un membro di lunga data del RPP, così come i suoi due predecessori Dileita Mohamed Dileita e Barkat Gourad Hamadou. L’ininterrotta predominanza del partito di Guelleh, inscritta dal 2003 nella coalizione politica di maggioranza UMP, pone un serio problema di alternanza democratica nel Paese. Il dominio incontrastato di Guelleh è stato sancito dalla riforma della Costituzione nel 2010, che non pone limiti al diritto di rielezione presidenziale. In vista delle elezioni presidenziali dell’aprile 2016, sfruttando il clamore degli attacchi terroristici di Parigi del 13 novembre 2015, il 24 novembre dello stesso anno il Consiglio dei Ministri ha adottato un decreto anti-terrorismo che ha sancito il divieto di assemblea nei luoghi pubblici. In tale contesto emergenziale è avvenuto il 21 dicembre 2015 il massacro di civili nel corso di una cerimonia religiosa ad opera delle forze armate e di polizia. La rinuncia a un dialogo costruttivo con l’opposizione sulla base dell’accordo stipulato il 30 dicembre 2014 ha inasprito una tendenza di lungo corso delle autorità djiboutiane a molestare con accuse, procedimenti giudiziari e detenzioni arbitrarie rappresentanti delle organizzazioni per la difesa dei diritti umani ed esponenti di primo piano dell’opposizione politica come Omar Ali Ewado e Ali Zakaria Abdillahi, membri della Ligue Djiboutienne des Droits Humains (LDDH), Daher Ahmed Farah, Presidente del principale partito d’opposizione Mouvement pour le Renouveau Démocratique et le Développement (MRD) e dell’uomo d’affari Abourahman Boreh.

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Fig. 2 – L’ex Segretario di Stato statunitense Rex Tillerson durante l’incontro con Ismail Omar Guelleh, Presidente del Gibuti, 9 marzo 2018

3. POSIZIONE E RUOLO STRATEGICO Di GIBUTI 

Nonostante le denuncie di abusi e violazioni dei diritti umani e le raccomandazioni formalizzate dagli Stati Uniti e dall’Unione europea in report e risoluzioni ufficiali, la presa sul potere di Guelleh non è stata messa seriamente in discussione alla luce del ruolo strategico del Paese sul piano commerciale, militare e della lotta al terrorismo nella regione del Corno d’Africa. Stati Uniti, Francia, Giappone, Italia e, in modo sempre più preminente la Cina, hanno stabilito basi militari a difesa dei loro interessi strategici regionali. Gli introiti derivanti dalla concessione di queste aree e gli ingenti investimenti stranieri legati allo sviluppo delle attività commerciali nello Stretto di Bab al-Mandab, porta d’accesso meridionale al Mar Rosso, sono i pilastri dell’economia del Djibouti. L’importanza di Gibuti nella lotta contro al-Shabaab, il contributo logistico e di truppe garantito alla missione di stabilizzazione AMISOM in Somalia e il ruolo di garante del flusso sicuro di beni e aiuti umanitari verso il Mar Rosso sono stati ribaditi dall’ex Segretario di Stato USA Tillerson durante la visita in Gibuti dello scorso 9 marzo. Prevedibilmente la Cina farà da ago della bilancia della politica interna di Gibuti in ragione del maxi prestito contratto con China Exim Bank e per via dell’apertura della gigantesca base militare cinese costruita a supporto del passaggio degli aiuti umanitari e delle operazioni di anti-pirateria nell’area adiacente al nuovo porto di Doraleh.

Salvatore Loddo

[box type=”shadow” align=”” class=”” width=””]Un chicco in piĂą

La base di spedizione navale di Camp Lemonnier, sede del Combined Joint Task Force-Horn of Africa (CJTF-HOA) of the U.S. Africa Command (USAFRICOM), è l’unica base militare permanente statunitense in Africa. [/box]

Foto di copertina di Secretary of Defense Licenza: Attribution License

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Salvatore Loddo
Salvatore Loddo

Sono nato in una piccola localitĂ  turistica della Sardegna nel 1985. Studi e lavoro mi hanno portato lontano. Ultima tappa è Atene, dove vivo da qualche tempo. Ho studiato filosofia a Venezia e Torino, diritti umani e “studi sul genocidio” a Londra. Ho collaborato con il Centro Studi Sereno Regis (Torino), Saratoga Foundation for Women Worldwide (New York), Philosophy Kitchen (Torino). Ho pubblicato nel 2015 La Shoah. Una guida agli studi e alle interpretazioni e articoli sulla crisi in Centrafrica e sulla “responsabilitĂ  di proteggere”. Principali aree di interesse sono la violenza politica e le strategie di prevenzione, la trasformazione non violenta dei conflitti e le innumerevoli forme di rappresentazione della violenza estrema.

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