lunedì, 5 Giugno 2023

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In Burkina Faso torna l’incubo del terrorismo

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In 3 sorsi Lo scorso 2 marzo la capitale del Burkina Faso, Ouagadougou, è stata colpita da un doppio attacco terroristico che ha provocato la morte di 16 persone e decine di feriti e ha lasciato la città nel caos per ore. Il gruppo per il sostegno dell’Islam e dei musulmani ha rivendicato gli attacchi.

1. IL TERZO ATTACCO IN DUE ANNI

Per la terza volta in meno di due anni il Burkina Faso, per molto tempo considerato uno dei Paesi più pacifici dell’Africa, si ritrova a dover fare i conti con l’emergenza terrorismo. Venerdì 2 marzo la capitale Ouagadougou è stata teatro di due violenti attacchi, il primo nei pressi dell’ambasciata francese, nel cuore della città, e il secondo nei quartier generale dell’esercito che doveva essere sede di una riunione dello staff del “G5 Sahel” – la task force che unisce Niger, Mali Chad, Mauritania e Burkina Faso con l’obiettivo di stabilizzare la regione – e che è stata spostata in una diversa sede poco prima dell’attacco. L’attentato, che ha provocato la morte di almeno 16 persone tra terroristi e forze di sicurezza, è stato rivendicato da Jama’a Nusrat ul-Islam wa al-Muslimin, il Gruppo per il Sostegno dell’Islam e dei Musulmani (GSIM), un’organizzazione terroristica nata dalla fusione dei principali gruppi jihadisti operanti nel Sahel: al-Qaeda nel Maghreb Islamico (AQMI), il Fronte per la Liberazione di Macina (FLM), al-Mourabitoune e di Ansar al-Din. Nel messaggio con il quale il gruppo ha rivendicato gli attentati i violenti attacchi vengono definiti come la risposta per la morte di diversi leader in un raid dell’esercito francese nel nord del Mali.

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Fig. 1 – Alcuni soldati burkinabé presidiano il quarter generale dell’esercito nella capitale Ouagadougou, a poche ore di distanza dal violento attacco che ha colpito la capitale del Burkina Faso lo scorso 2 marzo 

2. PERCHÉ IL BURKINA FASO?

Il Burkina Faso è rimasto relativamente escluso dalle ondate di violenza jahadista della regione del sahel fino al 2016, anno in cui a soli due giorni dall’elezione del governo di Paul Kaba Thieba il Paese conosce il primo attentato di dimensioni considerevoli. Il 15 gennaio un commando jihadista ha assalito prima un locale nel centro della capitale e successivamente un hotel poco distante provocando la morte di 28 persone e il ferimento di altre 56. É stato il primo segnale della debolezza del governo nascente che non sembra avere la forza di creare una strategia antiterroristica convincente e che quindi vede spostare nel cuore del Paese quella che era una minaccia relegata alle zone del turbolento confine con il Mali. Il moltiplicarsi degli attacchi nel Paese è probabilmente l’effetto di una pluralità di fattori regionali e interni al Paese. La difficile transizione democratica del Burkina Faso consequenziale alla caduta del regime di Blaise Compaoré ha destabilizzato il Paese che ha perso parte del suo apparato di sicurezza, legato in maniera personalistica al ex presidente, e ha visto contemporaneamente venire meno i complessi legami che Compaoré aveva nel tempo instaurato con i diversi gruppi operanti nella regione fornendo supporto logistico e armamenti in cambio della neutralità del Paese. Ma il Burkina Faso non è soltanto un obiettivo relativamente semplice per i gruppi jihadisti. Non bisogna sottovalutare, infatti, l’importanza simbolica di un’offensiva contro questo Paese esemplificata anche dalla scelta degli obiettivi dell’attentato del 2 marzo. Nel Paese infatti sono presenti numerosi stranieri compresi diversi militari francesi all’ambito dell’Operazione Barkhane che si affianca alla task force dei Paesi del G5 Sahel nel contrastare l’attività dei gruppi terroristici. Attaccare il Burkina Faso significa quindi colpire indirettamente la Francia e ovviamente le forze militari africane impegnate nel contenimento e nel contrasto dell’avanzata di questi gruppi. Attaccare l’ambasciata francese e il quartiere generale dell’esercito rientra proprio in quest’ottica.

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Fig. 2 – L’ex Presidente del Burkina Faso Blaise Compaoré. La caduta del suo regime ha provocato la destabilizzazione del Paese negli ultimi anni

3. RISCHIO RADICALIZZAZIONE?

L’instabilità del Burkina Faso è tradizionalmente imputata alla sua posizione in una regione precaria e quindi alla possibilità di risentire delle minacce poste dai suoi vicini, primo fra tutti il Mali, “casa” di diversi gruppi armati islamici. Il rischio di una radicalizzazione sul territorio del Paese è sembrato per molto tempo un fenomeno residuale, gli attacchi nella capitale mostrano però come la situazione stia cambiando e il terrorismo stia diventando un problema anche interno al Paese. Nell’attentato di marzo le autorità burkinabé hanno dichiarato il sospetto del coinvolgimento di ex militari, mostrando come la minaccia sia sempre più complessa e sempre più vicina. La crisi in Burkina Faso ha infatti una dimensione anche locale collegata anche alla carenza di infrastrutture, la povertà diffusa e alla sfiducia sempre maggiore della popolazione per il governo che non sembra riuscire a risolvere le problematiche ereditate dell’era di Compaoré. Un terreno fertile per la diffusione di gruppi armati e fondamentalismo.

Marcella Esposito

 

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Qui puoi approfondire l’origine sociale della violenza jihadista in BurkinaFaso  [/box]

Foto di copertina di Jeff Attaway Licenza: Attribution License

Marcella Esposito
Marcella Esposito

Laureata in Relazioni e Istituzioni dell’Asia e dell’Africa, da anni mi occupo dello studio della situazione socio-politica in Africa Orientale e in particolare della Tanzania, paese che amo e che ho potuto conoscere in profondità grazie ai miei viaggi e alla conoscenza della sua splendida lingua, il swahili. Mi interesso di governance urbana, informalità e sviluppo locale, ma anche di come identità di genere, razza e classe si interfacciano nel contesto dell’Africa sub-sahariana. Per il Caffè Geopolitico mi occupo di Africa Meridionale.

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