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Verso il NAFTA 2.0? Il punto di vista degli USA

In 3 sorsiDa mesi sono in atto negoziati per la riforma del NAFTA. Trump cerca di ottenerne i più vantaggi possibili, anche minacciando di imporre dazi sui due partner storici.

1. TRATTATO IN RINEGOZIAZIONE: GLI OBIETTIVI DEGLI USA

Trump non ha mai fatto mistero di voler gestire la politica commerciale degli USA in maniera diversa rispetto al passato, con l’intenzione, innanzitutto, di ridurre il deficit commerciale del Paese. Tra i bersagli di questo cambio di direzione c’è sempre stato il NAFTA, definito fin dalla campagna elettorale «il peggior trattato mai fatto».
Da agosto l’Amministrazione ha avviato dialoghi con le controparti canadese e messicana per rinegoziare il trattato, con l’obiettivo in realtà non di far crollare il NAFTA, quanto piuttosto di modificarlo per ottenerne i più vantaggi possibili. Il capo dei negoziatori statunitensi è Robert Lighthizer, con la carica di Trade Representative. Insieme a Peter Navarro, importante consigliere del Presidente, e a Wilbur Ross, segretario al Commercio, Lighthizer rappresenta i cosiddetti “falchi commerciali” dell’Amministrazione, ovvero quegli esponenti favorevoli a una linea di protezionismo, o comunque intenzionati a rivedere gli accordi di cui gli USA fanno parte.
Nonostante l’allontanamento di Bannon, dunque, a Washington le voci a favore del nazionalismo economico sono rimaste e questo potrebbe essere il loro anno. Sono stati loro tre infatti a spingere per la politica di dazi che sta animando questi primi mesi del 2018.
Cosa vuole esattamente rivedere Trump del NAFTA? Innanzitutto, punta a modificare la cosiddetta “regola d’origine” per le auto, che attualmente prevede che il 62,5% del materiale di cui è fatta un’automobile provenga dall’area nordamericana. Nel corso dei negoziati, Washington ha spinto non solo per un innalzamento di questa percentuale – al fine di ridurre le importazioni di componenti da Stati al di fuori dell’area NAFTA, quali la Cina, – ma ha anche proposto una norma secondo cui il 50% di una vettura debba essere prodotto con materiali statunitensi. Tuttavia, di recente gli Stati Uniti hanno ammorbidito queste richieste, proponendo invece un sistema che imporrebbe che certe parti delle automobili dell’area NAFTA siano prodotte da lavoratori aventi una certa soglia di salario. L’idea è che, così facendo, si possano ridurre i vantaggi produttivi del Messico, i cui salari medi sono più bassi, e frenare la delocalizzazione di industrie statunitensi.
In aggiunta, Washington richiede una sunset clause, ovvero una norma che faccia decadere il trattato se le parti decidono di non prorogarlo entro cinque anni, e modifiche nelle procedure di risoluzione delle controversie.
Con particolare riferimento al Canada, ci sono inoltre delle annose dispute tra i due Paesi riguardo all’industria degli aerei, dove Ottawa contesta alcuni dazi imposti da Washington, e a quella del legname, dove invece gli Stati Uniti si lamentano per i sussidi che il Governo canadese fornisce alle sue industrie, reclamando dunque una distorsione nella concorrenza.

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Fig. 1 – Wilbur Ross e Robert Lighthizer (al centro e a destra), i due esponenti del nazionalismo economico

2. RELAZIONI COMMERCIALI STRETTISSIME: IMPATTO SU OGNI LIVELLO

Il Presidente deve però fare i conti con le opinioni del suo stesso Partito. Il GOP è stato infatti più volte chiaro nella sua determinazione a difendere il libero commercio e a frenare le tentazioni protezionistiche dell’Amministrazione. È notevole la dichiarazione di un deputato repubblicano, Pete Sessions, che ha esortato Ottawa a rimanere salda nelle sue posizioni sul NAFTA, affermando che sarebbe inaccettabile un accordo che non fosse giusto per il Canada.
Il NAFTA ha creato relazioni commerciali così capillari da avere un forte impatto anche sul livello locale. Per esempio, Stati quali Michigan, Nord Dakota e Montana devono gran parte delle loro esportazioni e importazioni al Canada, e questo frutta una consistente percentuale del loro PIL. Inoltre, Ottawa è il maggior cliente per 36 Stati. Infatti, la volontà di difendere il trattato è presente non solo tra i repubblicani del Congresso – che hanno inviato a gennaio una lettera al Presidente, esortandolo a preservare il NAFTA, – ma anche tra i Governatori, specie di quegli Stati che hanno massicci scambi commerciali con Canada e Messico, e che quindi temono amare conseguenze nel caso in cui l’accordo naufragasse. Non per niente, il Governo di Trudeau e quello di Pena Nieto intrattengono da tempo negoziati non solo fra le tre capitali, ma anche al livello inferiore, dialogando con membri del Congresso e Governatori.
Il tema è particolarmente delicato perché il NAFTA non solo rappresenta una delle più grandi aree di libero scambio del mondo, ma ha anche creato una supply chain transnazionale. Il che vuol dire, per fare un esempio, che un’auto può essere prodotta in Messico con materiali statunitensi e poi commercializzata in Canada − o addirittura una stessa auto può essere fabbricata in parte in un Paese e in parte in un altro, essendo la catena produttiva così integrata. Non per niente, il ministro degli Esteri canadese Chrystia Freeland ha affermato che l’intento di rinegoziare il NAFTA non deve causare «lo smantellamento delle supply chain transnazionali che hanno reso la nostra industria automobilistica invidiata in tutto il mondo».
Questi aspetti, insieme al fatto che il trattato coinvolge un gran numero di materie – solo sei su trenta dossier si considerano completati dai negoziati – spiegano perché le trattative sono così lunghe e complesse.

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Fig 2. – L’industria automobilistica è uno dei dossier fondamentali dei dialoghi in corso

3. VERSO UN’ACCELERAZIONE? LE MOSSE RECENTI

In questo contesto si è aggiunta la nota decisione di Trump di imporre dazi sulle importazioni di acciaio e alluminio, una mossa che sostanzialmente vuole essere uno strumento di pressione su Messico e Canada per ottenere vantaggi dalla rinegoziazione del NAFTA. Infatti, per i due partner era stata prevista un’esenzione, con scadenza inizialmente fissata al primo maggio e in seguito estesa al primo giugno, che Trump – non a caso – ha detto che renderà permanente se i tre Paesi troveranno un accordo per un nuovo NAFTA.
Negli ultimi tempi, la determinazione da parte degli USA ad accelerare con i negoziati è aumentata: se Trump riuscisse a concludere un accordo più vantaggioso potrebbe avere il vento in poppa non solo in vista delle midterm, ma forse anche in caso di una nuova corsa per la Presidenza. D’altro canto, con le elezioni di novembre c’è il rischio che i repubblicani perdano diversi seggi al Congresso, mettendo quindi in pericolo la ratifica dell’eventuale nuovo accordo: anche da questo deriva la volontà di affrettare i tempi. C’è da tenere a mente, infine, l’esistenza di una “guerra commercialein atto con la Cina, ed è anche per dedicarsi a questa che Washington vuole risolvere in maniera rapida la questione NAFTA, sebbene le persistenti complicazioni rendano improbabile una chiusura delle trattative persino entro quest’anno.

Antonio Pilati

[box type=”shadow” align=”aligncenter” class=”” width=””]Un chicco in più

Per meglio caratterizzare i “nazionalisti economici” dell’Amministrazione: Ross era un investitore che ha guadagnato molto nella ristrutturazione di industrie siderurgiche – della Rust Belt – e Peter Navarro ha scritto un libro eloquentemente intitolato “Death by China”, criticando la relazione commerciale con Pechino.  [/box]

“USA Flag, US Flag,” by Mike Mozart is licensed under CC BY 2.0

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Antonio Pilati
Antonio Pilati

Da Brescia, classe 1995, laureato in relazioni internazionali. Amo da sempre la storia e la geografia, orientandomi soprattutto sugli Stati Uniti. Sono inoltre appassionato di calcio, videogiochi strategici e viaggi, che adoro preparare con la massima precisione.

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