In 3 sorsi – Dopo la nomina di Scott Pruitt a capo dell’EPA, il clima sembra essere davvero cambiato all’interno dell’agenzia statunitense e, se il pianeta va incontro al riscaldamento, l’operato dell’ente sembra andare verso il congelamento.
1. L’EPA
L’E.P.A. – L’ Environmental Protection Agency (EPA) è l’agenzia governativa statunitense che ha tra i suoi scopi principali la protezione dell’ambiente e quella della salute umana. L’ente, creato dal Presidente Nixon nel dicembre del 1970, ha a capo un Amministratore, nominato dal Presidente degli Stati Uniti con successivo voto di approvazione del Congresso. A ricoprire tale carica è attualmente il discusso Scott Pruitt, precedentemente Procuratore Generale (Attorney General) dell’Oklahoma. Pruitt è noto per le sue posizioni negazioniste riguardo al ruolo dei gas serra nel riscaldamento globale, per la sua contrarietà alla posizione presa da Barack Obama negli Accordi di Parigi del dicembre 2015 e per i suoi legami con alcuni lobbisti dell’industria energetica. Se, la scelta di un amministratore con tali trascorsi a capo dell’agenzia che si occupa della salvaguardia dell’ambiente e della salute dei cittadini statunitensi, non può non suscitare ironica perplessità e critiche tra gli ambientalisti e chi non condivide le posizioni prese da Pruitt, per chi osserva dall’esterno viene almeno spontaneo chiedersi che aria tiri all’EPA e come sia cambiato il clima al suo interno dall’era Obama a quella Trump. Partiamo con ordine.
Fig. 1 – LAmministratore dell’EPA Scott Pruitt
2. L’ACCORDO DI PARIGI
Il 12 dicembre 2015 è stato firmato da ben 195 Paesi di tutto il mondo, l’Accordo sul clima di Parigi. Ne sono rimasti fuori solo la Siria e il Nicaragua. L’accordo, entrato in vigore dal novembre 2016, prevede tra i suoi punti principali, di limitare l’aumento della temperatura globale entro i 2° e non oltre gli 1,5°; di cessare di aumentare le emissioni di gas serra al più presto, di raggiungere (entro la seconda metà del secolo) un livello a cui la nuova produzione di tali gas sia naturalmente assorbibile dal pianeta, di monitorare costantemente il livello delle emissioni in ogni Paese e di versare circa 100 miliardi di dollari ai Paesi meno sviluppati per permettere loro di investire in energie pulite e rinnovabili. Per raggiungere tale obiettivo è stato fissato un tetto massimo alle emissioni di CO2 pari a 56 miliardi di tonnellate per il 2030 (invece dei 69 mld che verrebbero liberate se nessun provvedimento venisse adottato); gli USA, secondo produttore al mondo di gas serra dopo la Cina, si sono impegnati con Obama a dare un contributo di primo piano, sancito nel Clean Power Plan. Quest’ultimo prevede la riduzione del 32% entro il 2030 (rispetto al 2005) delle emissioni di CO2, grazie ai limiti di stato e a stimoli verso nuovi investimenti in energie pulite. Contemporaneamente, l’impiego di carbone per la produzione di energia elettrica dovrebbe declinare di ¼ entro il 2020 ed entro il 2030 il 28% dell’energia elettrica dovrebbe venir prodotta tramite fonti rinnovabili come eolico e solare, contro il 13% attuale. Se tale piano era ambizioso sotto la presidenza Obama, determinata a mettere al primo posto la salvaguardia dell’ambiente con l’EPA a svolgere un ruolo di controllo fondamentale, lo è ancora di più adesso, nell’era Trump.
Fig. 2 – Trump firma le de-regolazioni per l’industria mineraria, in particolare quella del carbone
COSA STA ACCADENDO ALL’EPA?
Il nuovo inquilino della Casa Bianca, nel giugno del 2017, ha infatti annunciato di voler ritirare la nazione dagli accordi di Parigi, sostenendo che gli impegni presi penalizzerebbero molto lo stato a stelle e strisce, sia in termini di produttività che di posti di lavoro, riducendoli entrambi.
Le fortune dell’EPA nell’amministrazione Trump sembrano destinate dunque ad essere messe in crisi. Oltre ad un’annunciata riduzione del budget del 31% per l’anno 2018, la maggiore prevista tra le agenzie governative, e un taglio del personale di circa il 25% per il medesimo anno, è inoltre prevista una ristrutturazione del sito web dell’agenzia per limitare le discussioni relative al cambiamento climatico. A quanto pare, la love story tra questo Presidente e l’EPA sembra non essere tutta “rose e fiori”.
Altrettanta è la maretta al di fuori dell’agenzia governativa per i provvedimenti ultimamente annullati o ritardati per volere della nuova amministrazione. Tra questi: l’abolizione del divieto all’uso commerciale dell’insetticida Clorpirifos (della famiglia degli organofosfati, la stessa delle componenti del gas nervino), la revoca del Clean Power Plan ed i ritardi tra uno e due anni per i provvedimenti presi dall’agenzia in merito all’età minima per maneggiare pesticidi come l’arsenico e il bromo metano. Nonostante le numerose critiche giunte per i suddetti provvedimenti e ritardi, ciò che sembra far maggiormente vacillare la nomina di Pruitt poco ha a che fare con l’ambiente; si tratta infatti principalmente di questioni etiche riguardanti spese di affitto troppo basse per un appartamento in un lussuoso condominio a Washington, penne troppo costose (avrebbe speso circa 1,500$ per 12 penne), e sistemi di sicurezza troppo cari, molti viaggi aerei in prima classe e diverse conoscenze nella lobby del carbone. Molti dei dipendenti senior dell’agenzia la stanno abbandonando, causa i dissapori con il nuovo amministratore. Se l’E.P.A. sarà ancora capace di aiutare gli Stati Uniti ed il mondo ad arginare il cambiamento climatico resta da vedere. Intanto, sembra essere impegnata a fronteggiare un repentino cambiamento climatico interno che pare metterla a rischio di estinzione. Sul fronte del clima dunque, come su tutti gli altri, dagli accordi internazionali alla politica interna, si attendono i risultati prodotti dal cambiamento di prospettiva attuato della Presidenza Trump.
Eleonora Fabbri