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Yemen: stallo o svolta?  

In 3 sorsi – Lo Yemen, “il Paese più bello del mondo”, “il sogno” di Pasolini, è da anni sconvolto da scontri che hanno reso l’appendice della penisola arabica un Stato fallito, dove la situazione umanitaria è disperata.  L’ennesima tappa è l’assalto alla fortezza ribelle di Hodeidah: cambierà qualcosa?

1. LA STORIA DEL CONFLITTO

Sei guerre fra il presidente Ali Abd’Allah Saleh e i ribelli Houthi fra il 2004 e il 2009, la sostituzione del capo di Stato con il suo vice Abd Rabbo Mansour Hadi e il fallimento di una transizione democratica nel post Primavera Araba sono solo i principali eventi che hanno minato la stabilità yemenita, suscitando la preoccupazione delle potenze regionali. Quando il 25 Marzo 2015 l’Arabia Saudita, a capo di una coalizione internazionale, lanciò l’operazione “Decisive Storm”, l’obiettivo era una risoluzione a breve del conflitto in Yemen. L’iniziativa aveva due scopi primari: ripristinare il governo legittimo di Hadi e prevenire l’acquisizione di una posizione strategica del gruppo sciita Houthi, allora alleato con Saleh. I ribelli, invece, dopo Sanaa, occuparono Aden per circa tre mesi, costringendo Hadi in esilio. A dicembre 2017, l’alleanza Houthi-Saleh venne rotta da quest’ultimo (poi ucciso) per cercare di trattare una resa con Riyadh. Le forze di Hadi, supportate da Riyadh e Abu Dhabi, riuscirono così a riconquistare la provincia di Shabwah e parte della regione di Hodeidah. A inizio 2018 17 milioni di Yemeniti vivevano sotto la soglia di povertà, a causa di un conflitto che aveva causato 10.000 morti e 40.000 feriti.

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Fig. 1 – La città di Sa’da, roccaforte Houthi, bombardata dagli attacchi Sauditi

2. GLI ATTORI DEL CONFLITTO

Gli Houthi emersero inizialmente come movimento, politico prima e armato poi, per combattere la marginalizzazione politica ed economica sofferta dalla provincia di Sa’da e la “sunnizzazione” attuata da Saleh. Il gruppo sfruttò poi le Primavere Arabe per mobilitare la popolazione contro Saleh, salvo poi allearvisi in opposizione a Hadi, auspicando una svolta federalista dello Stato. Il gruppo ha dovuto fronteggiare numerosi attori interni: le milizie tribali del Sud, i movimenti separatisti, le forze di sicurezza nazionali e le truppe del vice-presidente Ali Moshen. Il Regno Saudita ha scommesso molto sulla guerra in Yemen, considerata un’occasione per affermarsi come potere regionale, in particolare nell’aspra “Guerra Fredda” mediorientale contro l’Iran. Ed è proprio la Repubblica Islamica a essere stata accusata di supportare militarmente e logisticamente i ribelli. Nonostante il limitato ma evidente supporto, è inappropriato dare al conflitto una connotazione solo settaria, considerando le diverse concezioni dello sciismo e l’alleanza con il sunnita Saleh.

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Fig. 2 – Forze governative dirette a Hodeidah nel Giugno 2018

3. GLI ULTIMI AVVENIMENTI: QUALE FUTURO?

Il 2018 è stato caratterizzato da numerosi attacchi aerei (circa 500 al mese), in particolar modo sauditi, e da raid missilistici ribelli. La svolta nel conflitto può invece essere rintracciata in una massiccia operazione da parte di Arabia Saudita e UAE per riconquistare il porto di Hodeidah. L’attacco, lanciato nella notte del 13 giugno, ha portato al ripiegamento Houthi e a combattimenti per entrare in controllo dell’aeroporto cittadino. La città costiera costituisce un’area chiave per tutte le forze in gioco. Hodeidah rappresenta il punto di ingresso di oltre l’80% degli aiuti umanitari per lo Yemen. Per Riyadh prendere la città consentirebbe di indebolire i ribelli, privandoli delle provviste e guadagnando un punto di appoggio da cui poter colpire Sa’da. Quali scenari dunque per il futuro? Carenza di fanteria, divisioni interne all’alleanza saudita-emiratina, impazienza di terminare un conflitto estenuante e volontà di assumere un ruolo chiave in Medio-Orientale sono tutti fattori che potrebbero minare la coalizione anti-Houthi. I ribellipossono invece contare sul controllo del territorio settentrionale e su una forza stimata di 50.000 unità. Con le due coalizioni arroccate sulle proprie posizioni, la fine del conflitto pare un miraggio e la conquista di Hodeidah sembra solo l’ennesima operazione dai costi, umani e non, incalcolabili.

Francesco Teruggi

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Francesco Teruggi
Francesco Teruggi

Sono nato nel 1993 in un piccolo paese immerso nelle risaie novaresi. Terminato il Liceo Classico, mi sono trovato di fronte a un bivio: ingegneria fisica o filosofia? Ho così optato per psicologia. Mi sono dunque trasferito a Milano, dove ho frequentato sia la triennale sia la magistrale, a parte l’ultimo semestre in cui ho scritto la tesi in Olanda. Insieme a nicotina e caffè (geopolitici e non), mi sono avvicinato alle relazioni internazionali, con particolare attenzione al Medio Oriente. Mi sono così iscritto a un Master in Middle Eastern Studies per comprendere al meglio la regione. Sono particolarmente interessato alle narrazioni circa le dinamiche di potere e di desiderio che intercorrono fra attori non-statali e società civile (se vi sembra strano, ricordate che ho pur sempre fatto psicologia).

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