In 3 sorsi – A circa due mesi dalle elezioni parlamentari, la situazione politica in Iraq è quanto mai in divenire: tra risultati inaspettati, sospetti di frode, tensioni e tentativi di creare una maggioranza, un equilibrio sembra ancora ben lontano.
1. RISULTATO INASPETTATO
Le elezioni parlamentari in Iraq si sono tenute lo scorso 12 maggio. Nonostante il forte significato simbolico – trattasi della prima consultazione elettorale dopo la proclamata vittoria contro il Califfato – e l’alto numero di aventi diritto registratisi, l’affluenza non ha raggiunto il 45%. Il risultato elettorale ha sorpreso quanti si aspettavano una vittoria del premier in carica Haider al-Abadi, a capo della coalizione Nasr al-Iraq: la sua lista non è invece giunta che terza, preceduta di I’tilaf al-Sa‘irun, capitanata da Moqtada al-Sadr, e da I’tilaf al-Fatih di Hadi al-Amiri. A pesare di più contro il premier, nonostante la vittoria contro IS, sembra sia stato il malcontento verso l’establishment politico, percepito come altamente corrotto, tanto da determinare un voto di protesta e rottura quale quello espresso in favore dell’alleanza tra sadristi e comunisti. Quanto al Kurdistan iracheno, il Kurdistan Democratic Party (KDP) ha riportato tanti seggi quanti nel 2014, confermandosi come partito di maggioranza nella regione – e questo nonostante il fallimento del referendum per l’indipendenza tenutosi a settembre 2017.
Fig. 1 – Le elezioni in Iraq
2. FRODI, TENSIONI E RICONTEGGIO
I risultati sono stati accompagnati da numerosi sospetti di frode e irregolarità, secondo molti facilitate dall’inedito sistema elettronico impiegato nelle elezioni – e ciò nonostante la società coreana che ha fornito il sistema non ha rilevato anomalie. Numerose voci politiche hanno sollecitato un riconteggio manuale dei voti su base nazionale, e non sono mancate anche le proposte di ripetere la consultazione. Al-Abadi ha ordinato la formazione di un comitato per investigare le irregolarità elettorali, mentre Sadr e al-Amiri si sono inizialmente mostrati piuttosto cauti, forse temendo che il riconteggio possa ridurre il loro vantaggio. Il Parlamento ha emendato la legge elettorale, per far sì che la Commissione elettorale irachena (International High Elections Commission – IHEC) fosse tenuta a procedere a un recounting dei voti su base nazionale. Per adempiere a questo compito, i vertici IHEC sono stati sostituti da nove giudici, che hanno poi deliberato che solo i voti delle aree dove si sono verificate irregolarità devono essere conteggiati di nuovo. Questi eventi si sono susseguiti in un clima di tensione, esacerbato dall’incendio nella capitale di un deposito elettorale, per il quale sono stati arrestati tre poliziotti e un membro IHEC. Inoltre, il giorno seguente l’annuncio del riconteggio, un’autobomba è esplosa nei pressi di un magazzino contenente materiale elettorale a Kirkuk, causando un morto e numerosi feriti. I controlli sono ufficialmente iniziati il 3 luglio, in presenza di personale ONU e rappresentanti di istituzioni locali ed internazionali, e stanno ulteriormente ritardando la formazione del nuovo governo, per la quale sarà necessario aspettare la fine della procedura. La necessità di un governo è peraltro resa ancora più impellente dalle proteste popolari scoppiate l’8 luglio a Basra, che si sono rapidamente diffuse in tutta la parte meridionale del Paese, per poi coinvolgere anche Baghdad. Tra le cause che stanno spingendo gli iracheni a sfidare la repressione della polizia, manifestando tramite gesti anche piuttosto plateali quali la temporanea occupazione dell’aeroporto di Najaf, figurano disoccupazione, corruzione dilagante, e mancanza di servizi di base quali acqua pulita e elettricità.
Fig. 2 – Moqtada al-Sadr e Haider al-Abadi durante il loro recente incontro
3. ALLEANZE IN THE MAKING
La scelta del futuro PM sarà successiva alla formazione di una maggioranza che possa governare il Paese. Non essendo Sadr in corsa per tale carica, il suo ruolo sarà prevalentemente quello di king-maker della politica irachena. In questa fase post-elettorale, si osserva per ora una certa volontà di convergenza delle parti, ognuna desiderosa di ritagliarsi uno spazio nel futuro governo. All’inizio di giugno, il leader di al-Sa‘irun ha annunciato un’alleanza con Ammar al-Hakim di al-Hikma e Iyad Allawi di al-Watanyia. I tre leader hanno elaborato delle linee guida condivise per un ipotetico programma di governo; tuttavia, una tale alleanza non raccoglie che 94 seggi in parlamento, e risulta ben lontana dai 165 necessari per ottenere la maggioranza. Successivamente, e senza annullare le precedenti dichiarazioni, Sadr ha annunciato un’alleanza con al-Fatih di al-Amiri, definendola come ‘una coalizione nazionale, fondata sul patriottismo’ e aperta a tutte le forze politiche. Il KDP e l’Unione Patriottica del Kurdistan (PUK) hanno commentato positivamente questa inedita convergenza, che unisce sadristi, comunisti, nazionalisti, sunniti, sciiti e le frange più filo-iraniane dello spettro politico iracheno. Il potenziale consenso curdo porterebbe così questo ipotetico blocco dai 141 ai 185 seggi. Un trait d’union in questa bizzarra compagine potrebbe essere rappresentato proprio da al-Abadi: a fine giugno, Sadr ha incontrato il leader di Nasr al-Iraq, e i due politici hanno posto le basi per un’alleanza, che a sua volta non annulla il precedente impegno con al-Amiri. Non è dunque da escludere un secondo mandato di al-Abadi, in uno scenario di coalizione come quello che si sta idealmente profilando a Baghdad. Di certo, la figura di al-Abadi sarebbe ben gradita agli attori internazionali, e costituirebbe fonte di rassicurazione in particolar modo per Stati Uniti e Arabia Saudita; d’altra parte, è da considerare che in questa fattispecie il suo spazio di manovra risulterebbe estremamente ridotto rispetto al precedente mandato. Inoltre, le proteste popolari che si stanno diffondendo nel Paese, e che testimoniano un evidente malcontento contro l’establishment, potrebbero giocare a sfavore di una rielezione del precedente premier.
Lorena Stella Martini
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