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Il problema della pirateria in Africa Occidentale

Analisi – La pirateria è un problema che in Africa storicamente ha colpito soprattutto la zona del Golfo di Aden e le coste della Somalia. Negli ultimi dieci anni l’hub principale è però diventato il Golfo di Guinea, dove si concentrano interessi commerciali ed energetici di molti Paesi, tra cui l’Italia. Le origini del fenomeno sono piuttosto chiare, ma le soluzioni complesse e di difficile attuazione.

PASSATO E PRESENTE DELLA PIRATERIA IN AFRICA

La pirateria è definita nell’art. 101 della Convenzione delle Nazioni Unite sul Diritto del Mare (UNCLOS) un atto di violenza, sequestro o rapina commesso dall’equipaggio o dai passeggeri di una nave contro un’altra nave in alto mare per “fini privati” (o commesso da un aeromobile contro altro aeromobile o da un aeromobile contro una nave). È quindi escluso il movente politico. Oltre la pirateria, la criminalità marittima può includere traffico di esseri umani o contrabbando di merci illecite, droghe e armi, pesca illegale, furto di carburante e altro ancora. Da un punto di vista economico la pirateria è una azione violenza che pregiudica il normale svolgimento degli scambi di beni e merci, in quanto interrompe la catena produttiva e commerciale internazionale, aggravando i costi e andando a danneggiare l’economia globale.
Fino circa al 2011 il principale teatro di queste attività è stato il Golfo di Aden – soprattutto nella zona vicina alle coste somale, – con l’apice di casi raggiunto proprio nel 2011, con ben 276 attacchi. La neutralizzazione del fenomeno, che ha messo a dura prova per anni le Autorità somale e i loro partner, è avvenuta anche grazie alle missioni antipirateria Ocean Shield (NATO) e EU NAVFOR Somalia-Operazione Atalanta (UE), simbolo dell’impegno congiunto di diversi Paesi interessati.
Dal 2012 l’attenzione verso la pirateria, in calo a livello globale, si è spostata dall’altra parte del continente africano, verso il Golfo di Guinea, che ha registrato un aumento di attività criminali.

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Fig. 1 – Membri dell’incrociatore USS Anzio (CG68) nell’ambito della Combined Joint Task Force 151, una task force multinazionale istituita per condurre operazioni di contrasto alla pirateria al largo della Somalia, 15 ottobre 2009

LA NATURA STRATEGICA DEL GOLFO DI GUINEA

Secondo l’International Maritime Bureau (IMB), dei 135 rapimenti in mare a scopo di riscatto registrati nel 2020, 130 sono avvenuti nel Golfo di Guinea – in cui è uno dei crimini marittimi più diffuso. L’ultimo rapporto dell’IMB sulla pirateria nel mondo (del periodo gennaio-settembre 2021) parla di 97 incidenti marittimi collegati a tali attività, un dato in calo rispetto al passato, ma che riconferma le acque del Golfo di Guinea – con circa trenta episodi totali – come quelle più colpite nel continente africano. Circa il 90% dei prodotti e delle materie prime commerciate in Africa occidentale transita attraverso il Golfo, dove migliaia di navi cargo si muovono ogni anno trasportando merci di tutti i tipi da e verso l’Africa centrale e meridionale: soprattutto petrolio greggio e gas estratti nel delta del Niger. Da questo hub partono le rotte più importanti al mondo per il trasporto destinato alle raffinerie europee e statunitensi. Il furto di petrolio è storicamente uno dei problemi dell’area, che ha registrato un salto di qualità da parte dei pirati con l’assalto alla petroliera Curacao Trader al largo del Benin a circa 370 chilometri (210 miglia nautiche) dalla costa nigeriana da un commando che ha rapito tutto il corpo ufficiali, liberato dopo un mese di prigionia dietro riscatto. Un episodio che ha mostrato una grande capacità di raggiungere distanze notevoli. Tra il 2018 e il 2019 il numero di membri dell’equipaggio rapiti nel Golfo di Guinea è aumentato del 50%, portando la regione a registrare il 90% dei rapimenti globali in mare, a testimonianza di un cambio di strategia negli attacchi. Come conferma un report dell’Osservatorio di Politica Internazionale, mentre il mercato nero del petrolio diventava sempre meno appetibile, nuove opportunità emergevano dal mutamento dei flussi commerciali. L’aumento del traffico mercantile lungo le coste, unito alla congestione dei porti e alla necessità delle navi di procedere a velocità ridotte o a rimanere ancorate per giorni, ha ampliato significativamente il numero di bersagli potenziali per le milizie. Dal furto di petrolio si è passati ai rapimenti diffusi e il Golfo di Guinea si è trasformato in uno dei principali hotspot della pirateria a livello mondiale.

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Fig. 2 – Insenature e vegetazioni devastate per le fuoriuscite di petrolio a causa di furti e di guasti operativi della compagnia Shell nel delta del Niger, 22 marzo 2013

CHI SONO I PIRATI, COME E PERCHÉ AGISCONO

Le radici di questo problema sono soprattutto di carattere socioeconomico e, come spesso accade, profonde.
La maggior parte dei pirati proviene dal delta del Niger, nel sud della Nigeria, una regione impoverita che ospita vaste riserve di petrolio, ma dove le trivellazioni hanno contaminato terra e acqua locali, distrutto le popolazioni ittiche, rovinato l’ecosistema e contribuito all’alienazione sociale e all’emarginazione economica di molte persone. Poiché pesca e agricoltura, due settori importanti, sono stati penalizzati, numerosi individui disoccupati hanno cercato altre fonti di reddito, facendo anche scelte disperate, unendosi a bande criminali dedite alla pirateria, legata spesso anche ai movimenti di rivolta armata nigeriani (per esempio nel Biafra) contro il controllo delle risorse del Governo federale. Per questo motivo negli anni si è reso necessario prestare attenzione alle fasce di popolazione emarginate.
L’esigenza per queste persone di un canale di sussistenza alternativo, data la miopia nella redistribuzione delle risorse da parte degli Stati, diventa poi strumento di propaganda e reclutamento anche di gruppi separatisti e fondamentalisti. Il disinteresse per le marginalità sociali e l’uguaglianza e la presenza di clientelismi tra le élite nazionali e internazionali sono i sintomi di una malattia che riguarda più parti dell’Africa Occidentale. Aree che risentono ancora inoltre delle divisioni coloniali e del dominio di Governi centralizzati. Dal punto di vista strategico, infatti, anche i pirati agiscono spesso dove i confini delle acque territoriali sono incerti e oggetto di rivendicazioni conflittuali tra Paesi. Una dinamica analizzata da Peter Lehr, esperto di terrorismo e di studi sulla pirateria, che riferisce di comportamenti simili nel XIX secolo, quando molti pirati sfuggirono alla cattura approfittando degli scontri sui confini tra le potenze coloniali europee. Confini che diventano un problema dal punto di vista della giurisdizione, soprattutto riguardo all’inizio e alla fine dell’inseguimento, come codificato dall’art. 111 della Convenzione dell’UNCLOS. Contenziosi, distruzione di ecosistemi, povertà, conflitti. In questo caos molti seguono la legge del più forte – o furbo – nell’ibridazione tra insorgenza e criminalità, anche organizzata, che storicamente non ha prodotto una risposta efficace da parte dei Paesi vittima.

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Fig. 3 – Molti Paesi partecipano alle esercitazioni per aumentare la capacità di rispondere al fenomeno della pirateria, ai traffici illeciti e ad altre minacce marittime nel Golfo di Guinea

INTERVENTI E INTERESSI INTERNAZIONALI NELL’AREA

Dal 2013 gli Stati del Golfo di Guinea hanno adottato il Codice di Condotta di Yaoundé, con lo scopo di attuare misure cooperative per debellare il crimine organizzato transnazionale marittimo, con particolare focus sugli atti di pirateria. Oltre a danneggiare i Paesi rivieraschi il fenomeno è direttamente connesso agli interessi di attori internazionali sia in termini di sicurezza delle strutture all’estero, sia per ciò che riguarda la deviazione dalle normali rotte marittime e il generale aumento dei costi – si pensi alle assicurazioni navali – e dei prezzi finali dei beni commerciati. L’Unione Europea importa la gran parte del petrolio africano dalla Nigeria e la stessa Italia ha interessi strategici che corrispondono alle attività di sfruttamento di idrocarburi da parte di ENI e Saipem nel delta del Niger. Attraverso vari decreti l’Italia ha disposto proprio la protezione delle piattaforme offshore e degli impianti ENI insieme alle compagnie armatoriali, la sicurezza delle rotte di commercio marittimo nell’area, la cooperazione e il coordinamento con gli Stati africani affacciati sul Golfo e la sorveglianza navale da parte della Marina Militare con la fregata Federico Martinengo prima e la Luigi Rizzo poi, alla quale ora è subentrata la Antonio Marceglia nell’ambito dell’Operazione Gabinia.
Nel recente decreto missioni approvato dalla Camera è stata riconfermata la presenza aeronavale nel Golfo di Guinea, dove sono attualmente attivi 394 unità di personale militare, due mezzi navali e due mezzi aerei, insieme all’operazione europea Atalanta, che conta 388 unità di personale militare, due mezzi aerei e quattro mezzi navali. Sforzi notevoli per l’Italia, per cui l’Africa occidentale si conferma una regione fondamentale con una presenza terrestre nel Sahel (nell’ambito della Task Force Takuba) e marittima, nel contesto del Mediterraneo allargato, un tentativo di rispondere a sfide securitarie spesso interconnesse. 
Sul versante europeo anche la Danimarca ha enormi interessi ed è attiva nella sorveglianza soprattutto a seguito degli attacchi subiti dalle navi della società A.P. Møller-Mærsk. Riguardo ai Paesi locali la Nigeria è tra i maggiori interessati al fenomeno, e nel 2019 si è dotata di una legge che riconosce l’illegalità della pirateria e offre gli strumenti necessari ai tribunali per procedere contro questi crimini anche se commessi in acque internazionali, in linea con la convenzione UNCLOS sul diritto del mare. A questo si affianca un programma di sicurezza da oltre 160 milioni di euro, chiamato Deep Blue e sostenuto dal Governo degli Stati Uniti, che prevede l’impiego di droni, elicotteri e motoscafi armati per scoraggiare gli attacchi dei pirati e proteggere le navi mercantili in partenza dal porto di Lagos.
Sicuramente misure simili a queste saranno utili nel breve e medio periodo insieme alla cooperazione delle Marine Militari internazionali, data l’importanza di questo hotspot commerciale e considerate le difficoltà delle Autorità dei Paesi locali di controllare spazi di mare così vasti, supportare i navigli in difficoltà e contrastare rapidamente pirati dalle buone capacità – sia di mobilità in alto mare che di corruzione dei funzionari. Per debellare il fenomeno, oltre alla cooperazione sul piano operativo, sarà necessario uno sforzo politico maggiore di prevenzione e risoluzione delle dispute, andando a intercettare la povertà e le diseguaglianze causate dal consumo incontrollato di risorse, limitando il bacino di reclutamento per i gruppi criminali e cercando di ricomporre quelle fratture sociopolitiche foriere di vulnus governativi e giuridici.

Daniele Molteni

140402-N-AP176-038” by CNE CNA C6F is licensed under CC BY-ND

Dove si trova

Perchè è importante

  • Il fenomeno della pirateria coinvolge da anni molte aree dell’Africa: praticamente debellato nel Golfo di Aden, ora interessa altre zone.
  • Il principale hub della pirateria in Africa occidentale è progressivamente diventato il Golfo di Guinea, un’area oggi altamente strategica e contesa.
  • Molte le ragioni profonde del fenomeno: devastazione ambientale, accesso alle risorse, povertà e confini contesi.
  • Gli interessi economici in gioco, regionali e internazionali, sono molteplici, per cui è necessaria una cooperazione maggiore sia dal punto di vista securitario che sociopolitico.

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Daniele Molteni
Daniele Molteni

Nato in provincia di Como, ha conseguito la laurea triennale in Scienze Internazionali e Istituzioni Europee e quella magistrale in Relazioni Internazionali all’Università degli Studi di Milano, con tesi relative alla Responsibility to Protect e al terrorismo internazionale. Le sue aree di interesse sono Africa e Medio Oriente, con un particolare focus su questioni legate a sicurezza e rule of law. Dal 2018 è redattore di La Beula, rivista culturale indipendente della Brianza comasca, e in passato ha scritto per alcune Onlus specializzate in politica internazionale e diritti umani. È appassionato di cinema d’autore e libri, principalmente saggistica e reportage.

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