Ristretto – In Sudan continua il tentativo dei militari di consolidare il golpe del 25 ottobre, ma le opposizioni restano mobilitate e la comunitĂ internazionale ha intrapreso le prime misure per riportare la normalitĂ a Khartoum.
Il 25 ottobre il Sudan ha subito un colpo di Stato con il quale i militari fedeli al generale Abdel Fattah al-Burhan, capo del Consiglio Sovrano, hanno preso il potere, arrestando il Primo Ministro Abdalla Hamdok e diversi esponenti del Governo. A distanza di due giorni, pur rimanendo in vigore lo stato di emergenza proclamato da al-Burhan, Hamdok è stato rilasciato «sotto stretta sorveglianza» e nel Paese proseguono le manifestazioni contro il golpe per la liberazione dei leader civili imprigionati – una richiesta condivisa dalla diplomazia occidentale, dalla Lega Araba e dall’Unione Africana. La tensione in Sudan resta elevata, anche considerando che l’intervento dei militari è giunto al culmine di una profonda crisi politica-economica, dopo settimane di contrapposizione tra le componenti del Governo e di forti proteste da parte della cittadinanza. Nel frattempo, nonostante Russia e Cina abbiano posto il veto nel Consiglio di Sicurezza dell’ONU all’eventualità di sanzioni contro il Sudan, la comunità internazionale sta minacciando di interrompere la cooperazione con il Paese: se da un lato l’Unione Africana ha provvisoriamente sospeso Khartoum, dall’altro lato la Banca Mondiale, gli USA e l’UE hanno minacciato il blocco dei finanziamenti e degli aiuti economici. Il panorama è quindi al momento molto complesso, con il rischio di una deriva violenta ancora presente: al-Burhan ha confermato la volontà di governare la transizione verso le elezioni del 2023 (previste dalla Dichiarazione Costituzionale del 2019 dopo la caduta di al-Bashir), mentre l’opposizione, in particolare l’Alleanza per la Libertà e il Cambiamento, la principale coalizione politica civile, sta mantenendo alta la mobilitazione, con presidi e manifestazioni.
Beniamino Franceschini
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