Caffè Lungo – Siamo finalmente giunti a un punto di svolta nel travagliato legame tra Corea del Nord e Corea del Sud? Nonostante le tensioni si registra infatti qualche passo in avanti verso il pensionamento del concetto di pace armata.
L’ULTIMA APERTURA DIPLOMATICA DI SEUL
È ormai assodato che il rapporto tra i leader delle due Coree, il Leader Supremo nordcoreano Kim Jong-un e l’inquilino della Casa Blu Moon Jae-in, abbia di fatto aperto le porte verso un dialogo nel lungo e altalenante processo di pace tra Pyongyang e Seul, ancora formalmente in guerra nonostante l’armistizio del 27 luglio 1953.
A confermarlo sono le ultimissime dichiarazioni di Moon, rilasciate lunedì scorso nel corso del suo discorso di inizio anno ai cittadini sudcoreani. “L’obiettivo del Governo sarà di completare il processo di normalizzazione nelle relazioni all’interno della penisola coreana, in modo da percorrere un irreversibile cammino di pace”. Parole di speranza e apertura quelle del sessantottenne a capo del Partito Democratico sudcoreano che danno seguito a diversi altri interventi che si sono succeduti sin da quando ha conquistato la carica presidenziale nel maggio 2017. Certo, il termine “riunificazione” non è stato utilizzato.
La valenza storica del summit bilaterale dell’aprile 2018, tenutosi in quella Panmunjom di confine già testimone dell’accordo del 1953, è stata immensa. Nel momento in cui Kim Jong-un si apprestava a stringere la mano a Moon Jae-in a ridosso del 38° parallelo, l’intero mondo diplomatico celebrava tale avvenimento, augurandosi che il programma nucleare della Corea del Nord potesse subire un arresto. Per Kim e Moon si trattò del loro primo passo nei territori sudcoreano e nordcoreano, un atto sorprendente che molti paragonarono alla caduta del Muro di Berlino nel 1989. Un parallelismo non casuale, perché la Corea conobbe, come la Germania post-nazista, una traumatica divisione nel secondo dopoguerra, riflettendo la spaccatura internazionale tra blocco sovietico (Nord) e atlantico (Sud).
Il clamoroso, per quanto surreale, avvicinamento nello stesso frangente storico (giugno 2018) tra il Presidente statunitense Donald Trump e Kim Jong-un innescò un cauto ottimismo a Seul. Una narcisa alleanza tra due uomini che fino a qualche settimana prima si erano scambiati insulti senza filtri diplomatici avrebbe potuto guidare lo scacchiere dell’Asia orientale verso binari inaspettati, con il Sud chiaramente alla porta in attesa di un risvolto positivo.
Fig. 1 – Kim e Trump durante il loro storico incontro a Panmunjom nel luglio 2019
COSA È CAMBIATO DAL 2018, TRA COVID-19…
Ma si sa, il gioco di forze geopolitico è fluido, ancor di più nel mondo contemporaneo. E la questione coreana ha risentito di due stravolgimenti: l’outbreak pandemico e la sconfitta di Trump nelle elezioni del 2020.
La pandemia ha reso la Corea del Nord ancora più chiusa in se stessa. Ai primissimi segnali di diffusione del virus, Kim fu il primo ad adottare una politica ultradifensivista, serrando i confini nel tentativo di arginare un’ondata che il suo disastrato sistema sanitario non avrebbe potuto reggere. Fonti del Daily NK – blog di dissidenti stanziatisi a Seoul e in costante contatto con informatori sotto copertura – confermarono una news secondo la quale cinque persone persero la vita a Sinŭiju per sintomi attribuibili al SARS-CoV-2 già nel febbraio 2020. L’attuale messaggio “zero contagi” della stampa di regime pare pertanto poco credibile, e sembra che lo stesso dittatore sia stato colpito dal virus tra marzo e aprile 2020, quando sparì improvvisamente dalla circolazione, saltando addirittura la sacra celebrazione del Giorno del Sole in memoria del nonno Kim Il-sung. Kim Jong-un ricomparve poi in pubblico diversi giorni dopo, visibilmente dimagrito e insolitamente rattristato per le sorti del suo Paese, tanto da far aumentare le speculazioni su un passaggio di poteri a vantaggio della sorella Kim Yo-jong.
La resilienza del popolo nordcoreano, unita alla maniacale politica autarchica dei suoi vertici, non hanno tranquillizzato l’opinione pubblica internazionale. Il continuo rifiuto di aiuti dall’alleato cinese – inclusi alcuni milioni di vaccini Sinovac – costituisce solamente l’ultima delle mosse conservative e inspiegabili del regime.
Fig. 2 – Il Presidente sudcoreano Moon Jae-in durante la sua recente visita in Australia, dicembre 2021
…E L’ELEZIONE DI BIDEN
Nel contempo l’insolito alleato di Kim a Washington ha lasciato il passo a Joe Biden. Il rapporto pregresso tra il Leader Supremo e l’ex vice di Obama non si può dire propriamente felice, a causa delle parole al vetriolo che la precedente Amministrazione democratica ha più volte riservato nei confronti di Pyongyang, nonostante la pazienza strategica che Obama improntò nell’area a causa della concomitante escalation siriana e della lotta all’ISIS.
I primi mesi di dialogo tra il nuovo Presidente statunitense e Kim Jong-Un non hanno apportato significativi progressi. Biden pare interessato a recuperare il gap a stelle e strisce nei confronti della Cina, alzando i toni con Xi Jinping soprattutto riguardo alla potenziale crisi di Taiwan. Pertanto il suo sguardo sull’Indo-Pacifico – con il rafforzamento del Quad e la nascita dell’AUKUS – potrebbe indurre a pensare che gli Stati Uniti torneranno a dire la loro sul disarmo nucleare a Pyongyang.
L’argomento risulta alquanto spinoso, addirittura più complesso rispetto all’intricato revival del JCPOA con l’Iran, stretto alleato di Kim. La Corea del Nord ha chiuso completamente alle visite dell’IAEA (Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica) e i test missilistici, sebbene meno frequenti, procedono con soluzione di continuità. Gli ultimi, in ordine di tempo, sono avvenuti in questo inizio gennaio: due missili ipersonici, il secondo lanciato alla presenza dello stesso Kim, si sarebbero inabissati nel Mar del Giappone, almeno secondo quanto riportato dai media nordcoreani.
Tornando all’incipit: come ha reagito Kim alle parole di Moon? Al momento, con un secco no comment. Il Presidente sudcoreano avrà poco tempo per raggiungere il proprio nobile scopo, magari bissando la sunshine policy che un suo predecessore, Kim Dae-jung, adottò con Kim Jong-il nel 2000 e che gli valse il Nobel per la Pace. A marzo si terranno le presidenziali a Seul e un’altra incognita potrebbe aggiungersi nel puzzle della penisola. More to come, usando un’azzeccata espressione anglosassone. Sarà un sofferente mondo post-pandemico l’ambiente giusto per chiudere una diatriba lunga quasi settant’anni?
Stefano Ermini
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