Analisi – Il 3 gennaio scorso, la dichiarazione congiunta sulla prevenzione della guerra nucleare sottoscritta da Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti. Un segnale di distensione, in vista degli appuntamenti al vertice di questa settimana: USA-Russia, NATO-Russia e OSCE. Ma la situazione in Ucraina resta delicata.
LA DICHIARAZIONE DEI ‘CINQUE GRANDI’
A quasi un anno dal rinnovo del New START – l’accordo sulla limitazione degli armamenti nucleari strategici tra Washington e Mosca, che aveva fatto tirare un respiro di sollievo a chi temeva di veder cadere l’ultimo limite formale (e sostanziale) alla proliferazione verticale delle due maggiori potenze nucleari del mondo – Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti hanno sottoscritto una dichiarazione congiunta sulla prevenzione della guerra nucleare e delle corse agli armamenti.
Così i “Cinque Grandi”, il 3 gennaio scorso, hanno lanciato un messaggio ambizioso, quasi inaspettato – a conferma di quanto in realtà il timore di un conflitto generale tra grandi potenze sia sentimento diffuso. Una dichiarazione che sogna il disarmo, condanna le corse agli armamenti e rinnega la guerra nucleare. Una guerra che, si legge nel testo, “non può essere vinta” e (quindi) “non deve essere combattuta”. E ancora: gli arsenali nucleari, “finché continueranno a esistere”, “serviranno solo a scopi difensivi” e di deterrenza. L’escalation nucleare va evitata sempre, ad ogni costo. Neanche a parlarne. Mai più.
Parole pubblicate con un certo, non casuale tempismo, proprio quando il conflitto nel Donbas, la crisi dei migranti in Bielorussia e la crescente assertività russa nella regione sembrano, sempre più spesso, far cedere la realtà al gusto del déjà vu. Mentre la variante Omicron riempie le prime pagine dei giornali, infatti, nella porzione orientale del bacino del Donec cresce la tensione: “Il rischio di conflitto è reale”, ha dichiarato venerdì 7 gennaio il Segretario Generale della NATO in conferenza stampa, dopo la riunione straordinaria dei ministri degli Esteri dell’Alleanza atlantica. Il mondo torna dunque a dividersi lungo le pianure centroeuropee, ma più a est.
Fig. 1 – I Presidenti Biden e Putin durante il summit USA-Russia di Ginevra, Svizzera, 16 giugno 2021
GINEVRA, BRUXELLES E VIENNA
E difatti, al di là dell’alto valore politico, letta sotto questa luce la dichiarazione assume un (non tanto) implicito significato tattico: importante, positivo segnale di distensione, giunto a pochi giorni dai vertici del 10, 12 e 13 gennaio, nei quali si sta discutendo proprio di Ucraina e sicurezza in Europa. Nell’ordine: USA-Russia, NATO-Russia e OSCE, rispettivamente a Ginevra, Bruxelles e Vienna. Al centro, la crisi ucraina. Attori principali, Stati Uniti, Nato e Federazione russa, con Kiev e l’UE relativamente al margine in questa fase. L’Ucraina sarà però presente in quanto Stato partecipante al Consiglio permanente dell’OSCE di giovedì 13, che tra l’altro vedrà il debutto della presidenza polacca. Sembra quindi prevalere ancora la via diplomatica, e la dichiarazione congiunta dimostra buon senso e unità sui fondamentali, il che potrebbe di per sé consentire moderato ottimismo circa i negoziati.
Ma le apparenze nascondono realtà contraddittorie. La Russia modernizza i propri arsenali nucleari, pianifica esercitazioni militari, ammassa soldati ai confini orientali dell’Ucraina e mostra i muscoli in Kazakistan – facendo capire che non tollererà alcuna ulteriore intromissione nel proprio “estero vicino”. Al contempo Mosca chiede garanzie formali di non allargamento a est e propone un “trattato di pace” a USA e NATO. L’Alleanza, in risposta, chiede di ritirare le truppe e smorzare la tensione, supportando la sovranità, l’indipendenza e l’integrità territoriale di Kiev. Appello alla de-escalation anche da Washington, come ribadito nei colloqui di lunedì con la delegazione russa dalla Deputy Secretary statunitense, Wendy R. Sherman.
E Bruxelles? L’Europa torna al centro del mondo, ma non da protagonista. L’Unione europea, non considerata da Putin interlocutore strategico, almeno non dal punto di vista politico-militare, è di fatto esclusa dalla partita – che pure la riguarda, e non poco. Circostanza emblematica, ma che potrebbe spingere l’UE – come nel 2014 – a trarne un’opportunità e realizzare più ambiziosi programmi di integrazione, soprattutto nel campo della politica estera, di sicurezza e difesa. E la presidenza francese del Consiglio potrebbe rivelarsi in questo senso decisiva.
Fig. 2 – Un segnale di “pericolo mine” nella regione di Lugansk, Ucraina orientale, dicembre 2021
SPAZIO AL DIALOGO, MA IL RISCHIO PERMANE
La crisi in Ucraina sembra avviarsi verso un nuovo capitolo, facendo ventilare foschi presagi di guerra tra bar e cancellerie. Al momento, tuttavia, non sembrerebbe realistico pensare a un conflitto generale in Europa. Più probabile un lungo braccio di ferro. La Russia sarà pure un avversario strategico, ma resta un interlocutore tattico fondamentale per NATO, USA e UE su una vasta serie di temi globali. Dalla crisi climatica alla sicurezza energetica, passando per la pandemia. Senza menzionare quella che si predispone a essere la vera sfida del prossimo decennio: l’incognita cinese, con tutto ciò che ne deriverebbe se Pechino facesse coppia con Mosca. Tuttavia – e sorprendentemente, o forse non così tanto – saranno le scelte dell’Occidente (USA e NATO in primo luogo, ma, in prospettiva, anche l’UE potrebbe giocare un ruolo maggiore, soprattutto grazie al peso commerciale) a determinare se la Russia sarà europea, asiatica o nessuna delle due. In questo senso distensione, negoziato e dialogo restano gli strumenti migliori. Il Cremlino e la Casa Bianca, in particolare, nonostante le divergenze, si sono dimostrati in più occasioni capaci di agire pragmaticamente nell’affrontare sfide comuni, improntando in via di fatto le proprie relazioni a una forma di proficua cooperazione selettiva, pur nel quadro di una più ampia competizione strategica. E questa sembra, apparentemente, la strada che si intende continuare a percorrere.
Ciononostante il rischio è concreto e non va sottovalutato. Dinanzi all’assertività di Mosca gli Alleati proseguono nell’ormai consolidato “approccio dual-track”: deterrenza (“robusta”) e dialogo, menzionando questa volta anche la difesa – a sottolineare che, pur prediligendo soluzioni politiche, l’Organizzazione si prepara a ogni evenienza. Su questo punto siano concesse alcune libere riflessioni e ovvietà. Deterrenza e difesa sono due concetti complementari, ma distinti. Così l’azione è ben altro dalla minaccia dell’azione. Preparativi a difesa possono facilmente apparire manovre offensive al nemico che guarda, e viceversa. Il nodo sta nell’informazione, per definizione imperfetta, e nella percezione delle intenzioni dell’avversario, per definizione distorta. Come nei giochi matematici, ma più pericolosi. E per la Russia, più che per altri Paesi, lo spazio non è soltanto un accidente geografico. La narrazione di sé non è solo esercizio propagandistico. È elemento identitario, intriso di senso storico e introspezione. È l’inconfessabile, atavico terrore dell’accerchiamento. È istinto di sopravvivenza. Cose per le quali gli uomini sono disposti a fare la guerra. E il Vecchio Continente non si può permettere un tale rischio.
Julian Colamedici[1]
Cover Photo by Bru-nO is licensed under Pixabay License
[1] Le opinioni espresse dall’autore non sono in alcun modo riconducibili all’Amministrazione di appartenenza e non ne rappresentano necessariamente il pensiero. Ogni posizione è da considerarsi solo ed esclusivamente personale.