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Washington, Islamabad e gli equilibri asiatici: storia di un’alleanza giunta al bivio

Caffè Lungo – Il lungo e turbolento rapporto tra Stati Uniti e Pakistan sembra aver raggiunto un bivio. Il ritiro americano dall’Afghanistan, le nuove priorità di Islamabad e l’influenza economica cinese sembrano esserne alla base. Solo un cambio di rotta da entrambe le parti potrà portare a un riavvicinamento.

PAKISTAN: CROCEVIA DI INTERESSI GEOPOLITICI

La storia del Pakistan, Stato “di mezzo” in Asia meridionale, si lega a doppio filo con le proiezioni strategiche americane fin dalla sua fondazione, nel 1947: la visione americana del containment del Comunismo passò anche e soprattutto da lì. Washington, in seguito a un repentino riconoscimento e all’invio di aiuti umanitari, riorientò prontamente questo nuovo legame verso l’ambito militare. Un passo decisivo in questa direzione fu la nascita dell’ISI, l’Inter-Services Intelligence pakistano, così potente da essere poi definito uno “Stato nello Stato”. Il medesimo, ampliamente sovvenzionato dalla CIA, fu fondamentale per il respingimento dell’invasione sovietica dell’Afghanistan, tra il 1979 e il 1989. E lo è stato anche durante tutta la missione Enduring Freedom e la successiva lotta ai Talebani, conclusasi con il precipitoso ritiro americano dell’agosto scorso. Il fallimento della ventennale spedizione ha portato alla luce le zone d’ombra di questa lunga collaborazione. Washington incolpa il Pakistan di un supporto spesso carente e ambivalente, combattendo sì i ribelli, ma facendo anche da porto sicuro per gruppi come Lashkar-e-Taiba (LeT) e i Talebani Pakistani (TTP). Islamabad, di contro, punta il dito agli americani sottolineando l’esistenza di un rapporto meramente strategico-militare, senza altri vantaggi. E mentre nell’era Trump i colloqui erano frequenti e ad ampio spettro, l’avvento di Joe Biden ha riportato sul “vecchio percorso” le relazioni, riducendo al minimo i contatti ufficiali e non aprendosi ad altre possibilità. Tra tutti i segnali, l’assenza del premier Imran Khan al Summit per la Democrazia, indetto da Biden nel dicembre scorso e rivolto a 110 Paesi, sembra esserne il più chiaro: il rapporto è giunto a un bivio, e le motivazioni sono molteplici.

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Fig. 1 – Discorso (registrato) del premier pakistano Imran Khan all’ultima Assemblea Generale dell’ONU, 24 settembre 2021

NUOVE PROSPETTIVE, ANTICHI DISSIDI E CAMBI DI VERTICE

In primo luogo il Pakistan aspira a un’estensione verso altri campi della relazione con Washington. Al recente Margalla Dialogue Forum 2021 a Islamabad il premier Khan e il Ministro degli Esteri Shah Mahmood Qureshi hanno sottolineato la necessità di modificare l’alleanza da geopolitica a geo-economica, in base alle rinnovate priorità del Paese. Nei confronti delle sfide di un mondo sempre più multipolare, l’esigenza di riorientare le scelte in politica estera verso partner economici chiave è divenuta di primaria importanza, così da assicurare una sicurezza regionale non solo attraverso lo strumento militare. Le richieste di Khan hanno un motivo ben fondato: il Pakistan sta attraversando un’ingente ondata inflazionistica, che si è riflettuta sul prezzo del greggio, delle forniture elettriche e dei beni di prima necessità, scatenando le ire dell’opinione pubblica. La medesima crisi, se non risolta, potrebbe essere una spina nel fianco del partito al potere per le future elezioni generali del 2023. Nel dossier interno la questione talebana ha subito una repentina recrudescenza, a seguito della fortificazione dei quasi 3mila chilometri di confine conteso con Kabul, denominato Durand Line. Il gruppo qaedista del TTP, attaccando una posizione difensiva in dicembre, ha reso noto che non accetterà ulteriori avanzamenti del progetto. Infine si è realizzato un cambio di vertice all’interno dell’ISI che, data la mancata ratifica iniziale del premier, ha fatto tremare l’apparato istituzionale e sollevato molte speculazioni: dalla volontà di non inimicarsi Washington fino a una concreta ingerenza della Cina, volta a favorire un candidato “più consono” ai futuri rapporti bilaterali. Ed è proprio tra Cina e Stati Uniti che il Pakistan assume oggi la posizione di fulcro.

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Fig. 2 – Bandiere cinesi e pakistane nel porto di Gwadar, snodo strategico delle iniziative di Pechino nel Paese confinante

OBIETTIVO: BILANCIARSI TRA I DUE BLOCCHI

In definitiva l’allontanamento strategico tra Stati Uniti e Pakistan può avere come base il rinvigorimento dei rapporti economici con Pechino.  Dal 2014 la Cina ha investito circa 60 miliardi di dollari nel progetto CPEC (China-Pakistan Economic Corridor), costruendo moderne linee ferroviarie e potenziando il porto strategico di Gwadar: ciò permetterà a Pechino di avere contatti commerciali più rapidi con l’Occidente e diagevolare il trasporto del greggio dai Paesi del Golfo. Il premier Khan, sebbene sia ben conscio delle vaste proteste di dicembre proprio a Gwadar, con cui le popolazioni locali hanno lamentato la mancata realizzazione delle promesse cinesi (costruzione di scuole, ospedali e creazione di posti di lavoro), sembra non avere altre scelte: orientarsi ancora verso Pechino, anche alla luce del raffreddamento dei rapporti con Washington. E nonostante il CPEC sia completo al 90%, serviranno ulteriori e frequenti contatti, semplificazioni burocratiche per gli investitori e maggiore inclusione della popolazione pakistana per far sì che il progetto dia reciproci benefici. Dall’altro lato abbiamo l’Amministrazione Biden. È manifesto che l’importanza del Pakistan si sia ridimensionata a seguito del ritiro dall’Afghanistan, e al Paese venga oggi attribuita una grande responsabilità per la sconfitta militare a Kabul. Il clima di diffidenza che si è venuto a creare è alimentato dal consolidamento dei rapporti geopolitici USA-India. Lo scopo? Creare un contrappeso all’espansione regionale cinese, supportando il suo rafforzamento militare e “chiudendo un occhio” sulla situazione del Kashmir occupato. Sembra che un riavvio delle relazioni non sia semplice: il risentimento da entrambe le parti è diffuso. Quali saranno i prossimi passi per un riavvicinamento, saranno le alte cariche e i reciproci interessi a deciderlo. Chi tenderà per primo la mano verso l’altro?

Leonardo Vittori

7/23/2019 One Year In: A Conversation with Pakistani Prime Minister Imran Khan” by U.S. Institute of Peace is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • La storica alleanza tra Pakistan e Stati Uniti sembra giunta a un bivio cruciale.
  • Il Governo di Islamabad è insoddisfatto degli attuali rapporti con Washington e vorrebbe che l’alleanza diventasse di tipo geo-economico, così da sostenere le sue necessità di sviluppo interno.
  • Ma l’amministrazione Biden vede il Pakistan come partner secondario dopo la fine della guerra afghana, mentre la Cina sta acquisendo sempre maggiore influenza sull’economia del Paese vicino.

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Leonardo Vittori
Leonardo Vittori

Classe 1990, laureato in Relazioni Internazionali presso l’Università Lumsa, ho scelto di specializzarmi ulteriormente completando un Master in Studi Diplomatici presso la SIOI di Roma. L’innata curiosità e voglia di scoprire mi hanno portato a intraprendere questa strada, e ad esplorare fin da ragazzo l’Europa, il Nord Africa e l’Asia. L’estremo Oriente è la mia grande passione, e l’oggetto dei miei interessi giornalieri! Quando non mi informo di attualità internazionale, amo passare il tempo libero facendo trekking, suonando la batteria o programmando il mio prossimo viaggio! A colazione? Rigorosamente caffè espresso!

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