Le recensioni del Caffè – Una memoria modesta, così la definiscono gli autori, ma ricca di contenuto è ciò che “Libia 110 anni dopo. Appunti per ricordare (e non sbagliare)” offre ai propri lettori a 110 anni dal conflitto italo-turco e dalla conseguente annessione della Libia.
GHEDDAFI E L’ITALIA
La prima parte del volume Libia 110 anni dopo. Appunti per ricordare (e non sbagliare) di Andrea Camaiora e Mario Nanni ripercorre alcune fasi salienti della storia libica concentrandosi sopratutto sull’operato del leader libico Muammar Gheddafi. Il libro ci svela e ci racconta passo dopo passo il destino umano e politico di un uomo che a 27 anni conquistò il potere e lo conservò per 42 lunghi anni, un leader che riuscì a portare alla luce una Libia rimasta per troppi anni all’ombra della scena politica araba e mondiale.
La lettura del volume risulta chiara e scorrevole, gli eventi ci vengono narrati in maniera fluida e si aprono con il colpo di Stato del 1969, quando Gheddafi depose l’anziano Re Idris. A seguire gli autori passano in rassegna l’attacco che subì Gheddafi nel 1986 da parte degli Stati Uniti, con il relativo (e misterioso) salvataggio da parte di Craxi, fino ad arrivare alla sua morte avvenuta nel 2011, preceduta da disordini e guerra civile alimentati dalle onde delle Primavere Arabe che per prime infiammarono la vicina Tunisia. Muammar Gheddafi ci viene raccontato attraverso il suo lato più umano, descritto in maniera mai scontata. Gli autori ci parlano dei i suoi numerosi, molteplici e complessi rapporti con i politici italiani, da Craxi — che una volta disse agli americani: “Gheddafi dialoga, con lui si può ragionare” — fino a Berlusconi, dei suoi pittoreschi viaggi a Roma dove con sé portava sempre una tenda dove alloggiare, il suo modello abitativo preferito. Come riportato anche nel suo Libro Verde: “L’uomo non è libero se non possiede la casa in cui abita e il mezzo con cui si muove”.
Fig. 1 – Il leader libico Muammar Gheddafi nel 1992
IL TRIANGOLO USA-ITALIA-LIBIA
Due delle sezioni più interessanti del volume riguardano da una parte l’operato di alcune aziende italiane in ambito petrolifero che hanno lavorato e lavorano tuttora in Libia, e dall’altra le trattative politiche e diplomatiche lungo il triangolo USA-Italia-Libia.
La Libia, un Paese di 3 milioni di abitanti, ha bisogno di infrastrutture e servizi. Le aziende italiane pubbliche e private che arrivarono nel Paese — come per esempio per il petrolio E-ni, Snam Progetti, Edison, Tecnimont, Saipem, per le costruzioni e opere civili Impregilo e Bonatti, poi Garboli-Conicos, Maltauro, Enterprise, per l’ingegneria Techint e Technip e per i trasporti Iveco, Calabrese, Tarros, gruppo Messina, Grimaldi, Alitalia — furono tante e l’interscambio tra i due Paesi era di 4mila miliardi di lire. L’Italia divenne il primo partner commerciale della Libia e il 30% delle importazioni libiche provenivano dall’Italia. Ma nel 1986 i rapporti italo-libici si raffreddarono quando Craxi e Andreotti decisero di fare una scelta di campo, rafforzando l’alleanza politica con gli americani. Questo cambiamento investì seriamente le relazioni economiche italo-libiche, sopratutto quando Craxi decise di non rinnovare il contratto per l’acquisto di greggio libico da parte dell’ENI. A partire da quel momento i rapporti rimasero tesi per alcuni anni fino al 1991, quando tra Tripoli e Roma si stipulò un’intesa. Il Governo italiano venne incaricato di fare da tramite nei negoziati tra la Libia e gli altri Paesi europei.
Alcune delle pagine più accattivanti del volume riportano in modo assolutamente dettagliato i colloqui molto spesso tesi tra Craxi e Andreotti da una parte e Reagan dall’altra. Gli USA, ci ricordano gli autori, più e più volte furono riluttanti nell’ascoltare i consigli di moderazione della politica e della diplomazia italiana e furono più propensi invece al passaggio ad azioni militari concrete contro Tripoli. Gli Stati Uniti non credettero mai nella necessità e nell’urgenza di dialogare con Gheddafi. Gli USA consideravano Gheddafi il leader del terrorismo internazionale e a partire dagli anni Sessanta la Libia era il punto nevralgico nel Mediterraneo per il contrabbando di armi. Ma non erano solo queste le minacce per gli USA. Gheddafi, attenendosi alla linea “prima i libici” e “prima la Libia”, giudicò corrotto il regime di Idris, aderì al movimento dei non allineati, rivendicò posizioni anticolonialiste e antimperialiste e sostenne l’OLP di Arafat. Questo sostegno agli occhi degli americani era un modo di camuffare un vero e concreto appoggio ai terroristi.
Per questo gli USA non esplorarono mai seriamente la disponibilità della Libia al dialogo e insistettero invece nel chiamare Gheddafi “terrorista”. L’Italia invece, ci dicono gli autori, fu abile nel mantenere insieme atlantismo e autonomia, un gioco di equilibri complessi che aveva come scopo ultimo quello di frenare la deriva rappresentata dall’utilizzo della forza contro la Libia.
Interessante notare il taglio che gli autori danno all’azione diplomatica italiana. Ne tratteggiano e ne creano una cultura, una scuola quasi, fatta di persuasione, pragmatismo e realismo in cui si avverte, filtrata, l’azione di realismo politico di Machiavelli, l’arte del dialogo di Moro e del suo discorso di Helsinki del 1975, in cui l’esponente democristiano ampliò lo spettro della politica estera italiana verso la Libia. La strategia italiana enunciata nel corso della conferenza di Helsinki era quella del dialogo e della cooperazione pacifica con i Paesi arabi e con i Paesi affacciati sul Mediterraneo. Anche perchè l’Italia ambiva ad avere un ruolo autonomo proprio nell’area mediterranea.
Pagine che stimolano molta curiosità sono anche quelle che ci raccontano Andreotti, quando contrappose alla fretta americana di bombardare la Libia l’esempio di De Gasperi, che aveva avuto a che fare con analoghi rapporti difficili sia con l’Austria, per via del terrorismo altoatesino, che con la Jugoslavia di Tito.
Il lettore viene condotto e accompagnato nella rete delle fitte e interessanti conversazioni tra i governanti italiani e il Rais libico insieme al suo braccio destro Jallud, quasi a voler sottolineare la netta contrapposizione con la diplomazia americana, che di dialogo con Gheddafi proprio non voleva sentir parlare.
Fig. 2 – Gheddafi insieme a Silvio Berlusconi nel 2010
LA GUERRA ITALO-TURCA DEL 1911-12
La seconda parte del volume, composta di 6 articoli più una premessa, un’introduzione e le conclusioni, traccia un’analisi storica della guerra in Libia del 1911-12 nel rapporto tra la Prima, la Seconda e la Terza Roma (Italia, Impero ottomano e Russia). Gli autori danno particolare rilievo al contesto internazionale in cui si collocò il conflitto, contesto in cui non tramontarono mai le aspirazioni coloniali delle potenze europee e in cui restarono in primo piano i progetti di insediamento lungo le sponde mediterranee e nordafricane. Ma non solo, si parla anche del gioco di Vienna e della sua decisione di annettere la Bosnia-Erzegovina, sbarrando di fatto la strada alle aspirazioni serbe sull’area, dei rapporti italo-russi e dell’amicizia tra la Prima e la Terza Roma. L’Austria è importante in questa fase perchè con i suoi movimenti e le sue azioni politiche ruppe l’equilibrio balcanico ponendovisi al centro, accese i nazionalismi balcanici e l’ostilità di Belgrado. Questa decisione non fu vista di buon grado né da Roma né da Pietroburgo. Nonostante queste due appartenessero a due schieramenti distinti (Triplice Alleanza e Triplice Intesa), esse si trovarono comunque unite nel biasimo per le decisioni dei rispettivi alleati. Ne conseguì, ci spiegano gli autori, una convergenza italo-russa concretizzatasi in un incontro ai massimi livelli a Racconigi nel 1909. A partire da questo periodo diverse intese crearono un rapporto nuovo fra Italia e Russia, come una sorte di ponte italo-russo originato dalle delusioni dei propri alleati con l’obiettivo di soddisfare aspirazioni urgenti nelle aree nordafricane, balcaniche e di transito militare e marittimo.
Durante il 1908-1909 e il 1912-1913 nacquero nei Balcani difficoltà per il risveglio dei nazionalismi locali ostili alla permanenza dell’Impero ottomano e all’ingerenza di Stati stranieri, sopratutto dell’Austria in Bosnia e della Grecia a Creta. Rivolte e agitazioni riguardarono però anche lo scenario mediterraneo, che entrò in una nuova fase di tensioni politiche. La progressiva ingerenza francese in Marocco provocò la reazione di Berlino, che intendeva esercitare liberamente attività economiche e commerciali nel Paese, non escludendo anche di pressare le altre potenze coloniali per ottenere compensi in nelle aree africane. È in questo contesto delle regioni mediterranea e balcanica, ci spiega l’autore, che maturò la decisione da parte dell’Italia di aprire le ostilità contro l’Impero ottomano nel settembre del 1911. L’Italia si attivò militarmente in Tripolitania e Cirenaica, nel Mar Mediterraneo e nel Mar Rosso, e occupò sia Rodi che le Isole del Dodecaneso. La mossa si spiega con la necessità per Roma di bilanciare l’invadenza francese in Marocco, impedire che il Governo turco potesse ottenere aiuti per bloccare l’iniziativa italiana ed evitare che Berlino cercasse sbocchi nel Nord Africa. Roma, dopo aver ottenuto il controllo della Libia insieme ai riconoscimenti internazionali dell’annessione, rimase all’interno della Triplice alleanza. Queste vicende non modificarono i rapporti più importanti fra le grandi potenze, ma riscrissero un nuovo equilibrio. Questa storia ci aiuta a capire due cose: la prima come l’Italia abbia prevalso sull’Impero ottomano, e la seconda i tentativi della Turchia di oggi di entrare nella partita libica e nel riequilibrio del Mediterraneo. Nella teoria nulla è cambiato. La partita nel Mediterraneo si giocava e si continua a giocare ancora oggi tra Roma, Londra, Parigi, Mosca, Istanbul e Berlino. Ma nella pratica nulla è immutabile, perchè oggi non ci sono solo gli USA come “grande attore”, ma anche Pechino al massimo della sua corsa. Gli equilibri e la cura dei legittimi interessi nazionali quindi, richiedono da parte degli Stati un ingegno quotidiano e una raffinatezza politica adeguata alla complessità della realtà.
In conclusione questo volume è quindi un invito a ricordare ciò che l’Italia è stata e ciò che è oggi, uno spunto per farci trovare pronti davanti ad un mondo che cambia e un incoraggiamento ad evitare gli errori del passato guardando con attenzione e curiosità a rotte nuove del tutto inesplorate.
Per l’acquisto del volume potete cliccare su questo link:https://www.lafeltrinelli.it/libia-110-anni-dopo-appunti-libro-andrea-camaiora-mario-nanni/e/9788832247190
Desiree Di Marco
“Muammar al Gaddafi R.I.P. Mouammar Kadhafi Colonel Quaddafi painted portrait _DDC6346” by Abode of Chaos is licensed under CC BY