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La Serbia e la crisi ucraina: i dolori del Presidente Vučić

Caffè LungoLa guerra in Ucraina pone la Serbia in una difficile posizione. Il Paese simpatizza infatti per la Russia, ma deve anche tenere conto dei suoi delicati e vitali rapporti economici con l’Occidente. Per il Presidente Vučić si tratta di un nodo non facile da sciogliere, anche in vista delle elezioni di inizio aprile.      

CAMBIANO LE CARTE IN TAVOLA

La guerra in Ucraina ha cambiato le carte in tavola non solo in Europa, ma anche nei Balcani. In Serbia il Presidente Aleksandar Vučić ha preso tempo prima di prendere posizione e si è espresso apertamente solo dopo aver convocato il Consiglio Nazionale di Sicurezza. Nel suo messaggio alle nazione, andato in onda in diretta la sera del 2 marzo, ha ammesso di aver ricevuto pressioni fortissime sia dai diplomatici russi sia da quelli occidentali, che avrebbero voluto che la Serbia si schierasse in maniera chiara per l’uno o per l’altro campo. Per ora Belgrado si è limitata a condannare l’aggressione russa nei confronti dell’Ucraina ma non ha imposto sanzioni a Mosca: la compagnia aerea di Stato serba, la Air Serbia, è l’unica a volare regolarmente sulla capitale russa e le merci serbe che vengono esportate in Russia arrivano a destinazione, seppur lentamente e faticosamente, via Bielorussia o Lituania.

Fig. 1 – Bandiere serbe nel quartiere Liman di Novi Sad, che nelle ultime elezioni ha votato contro Vučić | Foto: Christian Eccher

RUSSIA O OCCIDENTE?

La posizione di Vučić è delicata: il 3 aprile, fra meno di un mese, ci saranno le elezioni locali, politiche e presidenziali e Vučić rischia grosso, perché è rimasto senza sponsor internazionali. Angela Merkel è andata in pensione (nella sua tournée di addio si è congedata dalla politica proprio a Belgrado) e Vladimir Putin ha altre gatte da pelare e chissà se perdonerà al Presidente serbo il fatto di non essersi apertamente schierato dalla parte della Russia. Come osserva la giornalista Jasmina Lukač, per la prima volta Vučić dovrà vincere le elezioni solo con le proprie forze. L’opinione pubblica serba, inoltre, è divisa in due: la maggioranza, soprattutto nelle campagne, è filorussa, più per tradizione che per convinzione. Le città, invece, sono filoccidentali, più perché contro Vučić che per amore verso l’Ucraina. In ogni caso la popolazione urbana a favore dell’Occidente è una minoranza nel Paese. In Voivodina, inoltre, le componenti etniche – soprattutto quella rutena, che è molto legata alla terra di origine, l’Ucraina appunto – potrebbero non sostenere più il partito di Vučić, l’SNS, nel caso il cui il Presidente appoggiasse la Russia: ciò comporterebbe la perdita di un consenso faticosamente costruito da Vučić grazie a finanziamenti a pioggia alle istituzioni delle minoranze e a massicce politiche clienteliste. Il Ministro degli Esteri tedesco, Annalena Baerbock, si è precipitata a Sarajevo e a Belgrado, dove ha promesso la “corsia preferenziale“ di ingresso nell’Unione ai Paesi del Balcani. Basterà una simile proposta a convincere i serbi? La Russia è molto popolare non solo nei territori controllati direttamente da Belgrado, ma anche nella Republika Srpska (RS), l’entità federale autonoma della Bosnia in cui abitano i serbi. L’ex Presidente della RS e attuale membro del Consiglio di Presidenza della Bosnia ed Erzegovina Milorad Dodik ha già sentito, come fosse un capo di Stato, Putin al telefono e non ha nascosto il proprio totale appoggio nei confronti della Russia. L’opinione pubblica filorussa e le pressioni dei serbi di Bosnia potrebbero giocare un brutto scherzo a Vučić nel caso in cui si schierasse con l’UE e introducesse sanzioni a Mosca. Senza contare che la Russia è presente in Serbia con molti progetti infrastrutturali (come la linea ferroviaria Belgrado-Budapest, che le Ferrovie Russe costruiscono insieme alla Cina), la Gazprom possiede l’azienda serba del gas (Nis) e molti piccoli e medi agricoltori esportano i propri prodotti proprio in Russia. Insomma, se Vučić appoggiasse apertamente Mosca, perderebbe l’appoggio dell’UE, i finanziamenti che l’Unione garantisce a Belgrado e, soprattutto, gli investimenti degli imprenditori occidentali che delocalizzano le proprie aziende in Serbia. Se si schierasse dalla parte dell’Occidente, Vučić perderebbe i crediti russi, un’ampia fetta di mercato su cui piazzare i prodotti agricoli e il gas che l’amico Putin garantisce a buon mercato. Senza contare che la Russia è l’unica grande potenza a sostenere che il Kosovo debba tornare sotto il controllo serbo. Il rischio non è tanto che Vučić perda le prossime elezioni, dato che al momento non ci sono candidati davvero credibili, ma che una larga fetta dell’elettorato indirizzi i propri voti all’estrema destra dell’eterno Vojislav Šešelj, un ex criminale di guerra non candidabile che potrebbe, con l’aiuto dei russi, tirare fuori dal cappello un nuovo Vučić, meno diplomatico, più nazionalista e quindi più pericoloso. L’attuale opposizione di sinistra, molto divisa al proprio interno, è inesistente da un punto di vista politico: non prende assolutamente posizione sull’Ucraina nella speranza di guadagnare i voti di tutti colori che sono stanchi dello strapotere di Vučić. Il rischio, per l’attuale Presidente, è quello di perdere terreno e soprattutto di perdere il controllo delle grandi città, come Novi Sad e Belgrado, cosa che comportebbe anche la perdita della grande macchina finanziaria-mediatica che ha garantito per anni allo stesso Vučić un potere assoluto.

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Fig. 2 – Manifestazione a Novi Sad contro l’attacco russo all’Ucraina, 3 marzo 2022

CHE FARE?

I media occidentali sostengono che la politica dei non allineati (o delle due sedie, come viene definita con un certo – ingiustificato – disprezzo) che la Serbia ha promosso negli ultimi vent’anni mostra le corde. In realtà la continuazione di tale politica è possibile a patto che il conflitto non si allarghi anche ad altri Paesi e a patto che la diplomazia serba agisca in maniera astuta e chirurgica, con accordi bilaterali con entrambe le parti volti a favorire vantaggi di tipo economico e politico sia per l’Occidente sia per la Russia. Non è un segreto che attraverso la Serbia, dall’introduzione delle prime sanzioni dopo l’occupazione da parte di Mosca della Crimea, siano passate molte merci occidentali destinate al mercato russo che non potevano essere vendute direttamente. L’Occidente continuerebbe così a sciacquarsi la coscienza con la propria opinione pubblica grazie alle sanzioni e continuerebbe a commerciare con la Russia attraverso Belgrado. La domanda vera è se Belgrado abbia una classe diplomatica pronta a un compito così delicato e la risposta sembra essere negativa: Vučić si è circondato di servitori che di politica internazionale capiscono davvero poco. Un’eventuale fine della politica dei non allineati, però, potrebbe deludere l’Occidente, attualmente convinto che la Serbia passerà dalla sua parte. Se Belgrado in futuro dovesse appoggiare la Russia, la Republika Srpska potrebbe proclamare l’indipendenza, la Bosnia si disintegrerebbe e i Balcani potrebbero nuovamente esplodere.

Christian Eccher

Aleksandar Vucic-0219” by VIPevent is licensed under CC BY-SA

Dove si trova

Perchè è importante

  • La Serbia è alla vigilia delle elezioni politiche e presidenziali. Un brutto momento per il Presidente Aleksandar Vučić, che per la prima volta dovrà presentarsi alla corsa elettorale senza i suoi tradizionali sponsor internazionali, Angela Merkel e Vladimir Putin.
  • La crisi ucraina complica ulteriormente le cose: la Serbia sembra dover scegliere fra Oriente e Occidente e rinunciare alla tradizionale politica dei “non allineati”.
  • La politica dei “non allineati” potrebbe ancora essere una carta da giocare, ma la Serbia in questo momento non sembra avere politici e diplomatici all’altezza della situazione.

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Christian Eccher
Christian Eccher

Sono nato a Basilea nel 1977. Mi sono laureato in Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove ho anche conseguito il dottorato di ricerca con una tesi sulla letteratura degli italiani dell’Istria e di Fiume, dal 1945 a oggi. Sono professore di Lingua e cultura italiana all’Università di Novi Sad, in Serbia, e nel tempo libero mi dedico al giornalismo. Mi occupo principalmente di geopoetica e i miei reportage sono raccolti nei libri “Vento di Terra – Miniature geopoetiche” ed “Esimdé”.

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