Caffè Lungo – L’economia del Laos sta fallendo. Il Paese, guidato da un regime mono-partitico di ideologia marxista-leninista, è già il più povero del Sud-est asiatico e la crisi rischia di mettere in ginocchio la popolazione. Gli ingenti investimenti cinesi hanno permesso la costruzione di diverse importanti infrastrutture che il Governo laotiano, però, non riesce a ripagare. Senza un aiuto della Cina stessa o di un organismo internazionale il Laos potrebbe presto dichiarare default.
IL LAOS A UN PASSO DAL BARATRO
È difficile che il Laos faccia notizia. Il Paese è poco considerato da studiosi e analisti poiché lo si ritiene poco rilevante dal punto di vista economico e geopolitico. Al contrario, il Laos è più importante di quel che si crede e la Cina lo ha capito da tempo. È per questo che il piccolo Stato comunista oggi compare nelle pagine di vari quotidiani internazionali: si trova pericolosamente vicino a dichiarare default perché incapace di saldare l’enorme debito che ha collezionato nei confronti di Pechino. L’ammontare del debito laotiano è dibattuto. Secondo la Banca del Laos, alla fine del 2021 il debito esterno totalizzava circa 10,20 miliardi di dollari pari al 53,81% del prodotto interno lordo (PIL). La Asian Development Bank (ADB) fornisce altre cifre. Mentre non ci sono dati disponibili per il 2021, già nel 2020 il Governo laotiano aveva un debito esterno di circa 18 miliardi di dollari pari a circa il 94,6% del PIL. La Banca Mondiale, similmente, stima tale numero a circa 17 miliardi di dollari. Altri parametri sono molto preoccupanti. Il tasso d’inflazione è aumentato vertiginosamente, dal 6,25% di gennaio al 23,61% di giugno. L’indice dei prezzi al consumo, relativo al medesimo intervallo di tempo, è passato dal 121,12% al 144,53%. La valuta locale, il kip laotiano, ha perso il 23% circa del suo valore rispetto al dollaro da fine marzo a oggi. È difficile che a Vientiane riescano a districarsi da questa situazione senza l’assistenza di un organismo internazionale o senza la volontà della Cina di “scontare” parzialmente i miliardi che il Laos deve restituire.
Fig. 1 – Un cantiere della China-Laos Railway, ambizioso e costosissimo progetto infrastrutturale che ha finito per aggravare i problemi di debito del Laos
LA CINA IN LAOS
L’influenza della Cina nel Sudest asiatico si manifesta principalmente attraverso un forte flusso di investimenti, diretti soprattutto alla costruzione di infrastrutture per ampliare la “nuova via della seta” o Belt and Road Initiative (BRI). Gli investimenti diretti esteri (IDE) provenienti dalla Cina e destinati ai Paesi dell’ASEAN sono aumentati del 65% negli ultimi dieci anni, da una media annuale di 6,9 miliardi di dollari nel 2011-2015 a una media annuale di 11,5 miliardi di dollari nel 2016-2020. Il Laos, insieme alla Cambogia, è il maggior recipiente di IDE cinesi. Nel 2017 e nel 2018 la Cina è stata la fonte del 77% e del 79% degli IDE in entrata in Laos, rispetto all’1,5% del 2003. Questo drastico aumento è stato trainato da investimenti infrastrutturali, direttamente o indirettamente collegati alla BRI, per finanziare circa 815 progetti per un totale di oltre 16 miliardi di dollari. I due progetti più noti, quelli che hanno causato maggiormente l’accrescere del debito laotiano nei confronti di Pechino, sono la costruzione della China-Laos Railway (costo: 5,9 miliardi di dollari) e l’erezione di numerose dighe lungo il fiume Mekong (costi imprecisati ma nell’ordine di diversi miliardi di dollari). L’ammontare del debito verso la Cina sarebbe compreso tra i 7,2 e i 12,2 miliardi di dollari, in quanto non ci sono cifre ufficiali. “La restituzione del debito da questo momento fino al 2025 totalizzerà in media 1,3 miliardi di dollari all’anno” – afferma Carl Thayer, Professore Emerito all’Università del Nuovo Galles del Sud ed esperto di Sud-est asiatico. “Le possibilità” – continua Thayer – “che il Laos dichiarerà default sono estremamente alte” (enfasi aggiunta, n.d.r.).
Fig. 2 – Il Presidente cinese Xi Jinping durante un incontro con una delegazione del Governo laotiano nel gennaio 2020
LE POSSIBILI SOLUZIONI
La Cina si trova nuovamente ad affrontare pesanti critiche riguardo l’utilizzo della cosiddetta “trappola del debito.” Questa consisterebbe nel prestare soldi ad altri Paesi i quali, non potendo restituire le enormi somme ricevute, sono poi costretti a cedere il controllo di importanti infrastrutture strategiche come porti, aeroporti, dighe, centrali elettriche eccetera. Pechino ha sempre rifiutato le accuse. In realtà la verità sta nel mezzo. Da un lato, la Cina utilizza da anni il suo soft power per influenzare il potere economico, politico e militare di altri Stati. Dall’altro, però, i Governi dei Paesi che ricevono gli investimenti cinesi sono spesso incapaci di gestire tale flusso di denaro e fanno il passo più lungo della gamba. Il Governo laotiano non ha fatto eccezione e ora si ritrova ad affrontare una crisi senza precedenti in un Paese che era già il più povero della regione. La popolazione sta apertamente protestando contro il regime forse per la prima volta, non essendo mai esistito un vero movimento di resistenza in Laos. Dal canto suo, Vientiane ha ammesso le grosse difficoltà economiche. Secondo la portavoce del Governo, Thipphakone Chanthavongsa, la prossima mossa sarà trattare con i creditori (Cina in primis) per posticipare il rimborso del capitale e degli interessi, oltre che cercare nuovi prestiti a basso interesse. Intanto, il Governo si impegna a combattere l’inflazione, a riprendere il controllo del tasso di cambio del kip e dei prezzi delle materie prime. L’impressione è che ciò non basterà. Il Laos avrà bisogno di un intervento esterno. Le opzioni più percorribili sembrano essere due: trattare con la Cina o per posticipare il risanamento del debito o per ottenere uno “sconto” sulle cifre da restituire, oppure chiedere aiuto al Fondo Monetario Internazionale (FMI) per ristrutturare i restanti debiti non dovuti alla Cina. Di certo difficilmente Pechino lascerà cadere il regime laotiano in bancarotta per timore che le accuse sulla “trappola del debito” si facciano ancora più insistenti, con la conseguenza di influenzare negativamente i prossimi investimenti cinesi in altri Paesi.
Andrea Pezzati
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