In Egitto cresce l’intensità degli scontri, con il Paese ormai attraversato da un clima di guerra civile imminente. I rappresentanti dei maggiori attori politici stanno negoziando per la nomina del nuovo Primo Ministro, ma gli islamisti pongono un veto assoluto su el-Baradei, sia come capo del Governo, sia come vice-premier. Probabile che l’incarico spetti a un economista, forse a el-Din, già collaboratore di Mubarak dimessosi prima della caduta del rais.
SCONTRI E TENSIONI – La situazione in Egitto diviene più critica di ora in ora: nei soli scontri di questa notte, secondo il ministero della Sanità , sarebbero morte almeno 42 persone, tra militari e sostenitori di Morsi. Il campo di battaglia principale è stato la sede della Guardia Repubblicana, dove il Presidente destituito è trattenuto. Da parte sua, la Fratellanza Musulmana ha invitato gli egiziani all’insurrezione e al ripristino del contesto precedente l’intervento dell’esercito. Ancora non è chiara la dinamica delle violenze del primo mattino, poiché da un lato i manifestanti affermano che siano stati i soldati ad aprire il fuoco, mentre dall’altro lato i militari sostengono che la loro sia stata una reazione all’uccisione di un ufficiale.
LA SCELTA DEL PRIMO MINISTRO – Nel frattempo, però, continuano le negoziazioni per l’individuazione del nuovo Primo Ministro. Nelle ore successive alla destituzione di Morsi sembrava che l’incarico potesse essere assegnato al Governatore della Banca Centrale egiziana, Ramez, quindi a emergere con sempre maggiore insistenza è stato il nome di el-Baradei, premio Nobel e portavoce del fronte “30 Giugno”. Tuttavia, su quest’ultimo grava il veto delle formazioni salafite, cosicché adesso si sta trattando per la nomina a Primo Ministro di Ziad Bahaa el-Din, economista già collaboratore di Mubarak, ma dimessosi prima della rivoluzione del 2011, al quale dovrebbe essere affiancato come vice lo stesso el-Baradei. Anche questa soluzione, comunque, è sgradita alle componenti islamiste, proprio per la presenza nel Governo del premio Nobel, ritenuto imparziale a causa del suo ruolo nella destituzione di Morsi. Oltretutto, in seguito alle violenze di stanotte, i delegati di al-Nour, partito con forti note dell’Islam estremistico, ma che non aveva aderito al blocco di Tagarrud (a sostegno del Presidente), si sono ritirati in segno di protesta.
A UN PASSO DAL BARATRO – L’Egitto è davvero sull’orlo di una guerra civile, a meno che nei prossimi giorni non si giunga a una decisione che sia compresa dalla popolazione. Trovare un equilibrio tra i vertici degli opposti schieramenti non è sufficiente, poiché il Paese è percorso da un reale sentimento di contrapposizione e scontro, sul quale grava l’ostilità di un’ampia parte di egiziani nei confronti dell’esercito e delle Forze di sicurezza. Inoltre, il richiamo della Fratellanza Musulmana all’insurrezione potrebbe convincere i manifestanti rimasti in disparte a entrare nella contesa, mentre sta salendo di ora in ora l’allerta per il rischio di azioni condotte da gruppi dell’Islam combattente. Probabilmente, l’incarico di Primo Ministro spetterà a un economista o, comunque, a un tecnico del settore, sia per un riscontro verso le istanze economiche dei manifestanti di Tamarrud, sia per gestire aiuti stranieri ed eventuali interventi del FMI. L’aspetto geopolitico è un altro campo di scontro: da un lato il Qatar, sostenitore di Morsi, si trova a fronteggiare questa sconfitta proprio nel pieno della transizione, dall’altro lato l’Arabia Saudita, così come Assad in Siria, vedono favorevolmente il cambio di regime politico nel Paese. Il tutto con gli Stati Uniti che mantengono una posizione ambigua, formalmente neutra, sebbene in realtà favorevole al fronte del “30 Giugno”, soprattutto se a garantire la transizione fosse el-Baradei. In sostanza, l’Egitto è a un passo dal baratro: la direzione del cammino inciderà sul futuro dell’Africa settentrionale e del Vicino Oriente.
Beniamino Franceschini