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La regola del tre a uno

Editoriale A riguardo della guerra in Ucraina avete forse letto più volte della cosiddetta “regola del 3 a 1” (scritta anche 3:1 o 3-1, non cambia nulla): per avere successo, un attaccante dovrebbe avere una superiorità di 3 a 1 rispetto al difensore. Ma è davvero un principio utile?

UNA REGOLA MOLTO SPESSO CITATA

La cosiddetta “regola del 3 a 1” è citata molto spesso durante i conflitti convenzionali come l’attuale guerra in Ucraina: per avere successo, un attaccante dovrebbe avere una superiorità di 3 a 1 rispetto al difensore. Per alcuni forse è un concetto nuovo, per chi ad esempio gioca wargames da una vita invece è qualcosa di ben conosciuto (ricordate i giochi con le CRT che avevano i risultati più favorevoli dal rapporto 3-1 in poi?).
A prescindere dall’essere conosciuto o meno, intuitivamente il concetto sembra avere senso: attaccare è più difficile di difendersi perché devi uscire allo scoperto, contro un nemico magari al riparo e inevitabilmente subirai più perdite. Per questo motivo devi avere più uomini e mezzi di lui o rischi di non avere abbastanza forze per riuscire.
Eppure… se ci pensiamo bene, la storia è piena di casi in cui qualcuno ha attaccato e vinto anche senza avere un tale vantaggio (o addirittura avendo uno svantaggio in termini di uomini e mezzi)…
E allora? Questo 3-1 vale o non vale? E poi perché 3-1 e non 2-1, non basterebbe il doppio? Da dove viene questo 3-1?

ORIGINE SCONOSCIUTA

In realtà sembra che nessuno sappia da dove venga questo numero. Non è uno scherzo, ogni studio al riguardo (almeno tra quelli reperiti) afferma che l’origine del concetto è “sconosciuta e non attribuibile a qualcuno di specifico” (“unknown and unattributed”)
Il Dupuy Institute, che porta avanti la memoria e gli studi del Colonnello Trevor N. Dupuy – storico militare autore di libri (ad esempio Elusive Victory, sulle guerre arabo-israeliane) che ha lavorato molto su questo concetto – suggerisce che forse la prima menzione di qualcosa del genere si trovi in una lettera che il Presidente USA Lincoln inviò al generale Halleck il 19 settembre 1863 durante la guerra civile americana, notando che, avendo il generale Meade 90.000 uomini contro i 60.000 del nemico (rapporto 3:2), non poteva attaccare perché “the three can’t safely attack the two”.
Il Dupuy Institute ipotizza che forse Lincoln lo avesse letto da qualche parte alla biblioteca del Congresso, magari derivato dai concetti del teorico militare ottocentesco Antoine de Jomini… ma prove certe non ce ne sono.
La cosa curiosa è proprio che il concetto del 3-1 è stato preso per buono (tanto da farne un concetto base nelle FF.AA. USA) per decenni… senza però avere una chiara idea delle sue origini e quindi del perché fosse da considerarsi valido.

Fig.1 – Il libro forse più famoso di Dupuy: “Elusive Victory”. Fonte: autore

UN DIBATTITO LUNGO DECENNI

Nel secondo dopoguerra ci sono stati vari studi volti a cercare di dimostrarne in maniera scientifica il fondamento, in particolare analizzando battaglie del passato e usando come base il rapporto tra gli uomini impiegati dalle due parti. Era l’epoca nella quale negli USA si pensava che l’esito di una guerra potesse essere determinato a priori con calcoli sufficientemente precisi e sistematici e che quindi bastasse calcolare il giusto quantitativo di ogni cosa per essere sicuri di vincere (cosa che portò all’eccesso della dottrina McNamara e al disastro in Vietnam).
I risultati di tutti quegli studi furono però diversi da quanto atteso.
Per esempio uno dei lavori maggiori fu proprio di Dupuy, che nel 1984 con il suo team compilò un database di battaglie dal 1600 al 1973, mostrando come i risultati fossero ben poco univoci e ponessero più domande di quante ne provassero a rispondere: contando solo i rapporti tra il numero di truppe impiegate, un attaccante con un vantaggio di 3-1 vinceva il 74% delle volte… ma con un vantaggio tra 1.5-1 e 3-1 vinceva tra il 58% e il 63%. Inoltre, solo in poche delle battaglie esaminate (il 17.7%) l’attaccante riusciva ad avere un vantaggio 3-1. In altre parole Dupuy stesso notava che l’intero concetto, basato solo sul numero di truppe, aveva poco senso: impiegare il triplo degli uomini del nemico era difficile, raro e, pur utile, non appariva per nulla così indispensabile come indicato nei manuali.
Ci furono anche altri studi simili da parte di altri, con risultati altalenanti e conseguenti grandi discussioni (nel 1989 ci fu un botta e risposta tra John J. Mearsheimer e Dupuy) ma incredibilmente la regola rimase ampiamente citata. Lo abbiamo visto noi stessi anche oggi.
Eppure il dibattito rimane, tanto che un articolo del 2020 cita già nell’abstrat che “(…) Contrary to what has been stated by numerous researchers and by official publications, this study comes to the conclusion that the 3:1 rule has little applicability
Ma se è così, se così tanti dubitano della validità di questa regola, perché usarla?

A COSA SERVE ALLORA?

In effetti potremmo non farlo. Il punto però è che il rapporto 3-1 come indicatore del successo magari in sé non ha una grande utilità, ma ci aiuta comunque a capire alcuni concetti – che proprio esperti come Dupuy e il “padre” del wargaming moderno Dunnigan avevano ben chiaro e che è utile avere chiari anche noi.
In guerra non contano solo il numero di uomini, la storia ce lo insegna in mille casi. Ci sono infatti altri aspetti da considerare: l’addestramento, il morale, l’avere a disposizione mezzi, armi o equipaggiamento adeguato alla situazione specifica, l’appoggio di artiglieria, di aviazione, buoni comandanti, fortificazioni (per i difensori), ecc…
Sono tutti elementi che funzionano da “moltiplicatori di forza” (“force multipliers”), cioè permettono a un certo numero di soldati di avere un’efficacia in combattimento molto maggiore rispetto a quanto il loro semplice numero implicherebbe. La capacità russa di usare artiglieria per esempio, che come detto tante volte “nasconde” altri loro problemi. O le fortificazioni che permettono a relativamente pochi ucraini di resistere anche contro attacchi ripetuti.
E non dimentichiamo che tra gli aspetti non tangibili esiste anche l’impiego di tattiche adeguate: avere molti soldati è poco utile se ne diluisco la forza su un largo fronte, mentre concentrarli significa ottenere una superiorità locale anche quando non ho quella globale, mentre la superiorità nemica può essere negata da terreno, imboscate, logistica…

Fig.2 – un esempio di Combat Results Table creata dalla SPI di Jim Dunnigan. Fonte: http://chuckgame.blogspot.com/2012/10/wargame-wednesdays-combat-results-table.html

Ne deriva quindi che la regola del 3-1 non va presa letteralmente, ma ci ricorda che quando si attacca, e il difensore ha un vantaggio intrinseco, serve che l’attaccante possegga una combinazione di uomini ed elementi moltiplicatori di forza tali da poter sovrastare il nemico.
In breve, chi attacca deve avere una qualche superiorità marcata rispetto a chi difende, o è molto difficile (non impossibile, ma molto difficile) che riesca. Per cui se vedete un attacco che ha successo e il rapporto di uomini non appare significativo, cercate quali possano essere gli elementi che lo hanno reso comunque possibile. Analogamente se un attacco fallisce nonostante un vantaggio di uomini, forse era il difensore ad avere sufficienti elementi moltiplicatori di forza. Cercate quali.
Capire come queste cose esistano, evolvano e interagiscano tra loro è una delle tante chiavi che permettono di osservare e capire lo svolgimento di un conflitto.

Lorenzo Nannetti

Fonti:

  • Il dibattito Mearsheimer-Dupuy:
    1. J. J. Mearsheimer, Assessing the Conventional Balance: The 3:1 Rule and Its Critics, International Security, Vol. 13, No. 4 (Spring, 1989), pp. 54-89 (36 pages), https://doi.org/10.2307/2538780
    2. T. N. Dupuy, Combat Data and the 3:1 Rule, International Security, Vol. 14, No. 1 (Summer, 1989), pp. 195-201 (7 pages), https://doi.org/10.2307/2538771

    Immagine di copertina: plancia del wargame WOT 2025, foto dell’autore

    Dove si trova

    Perchè è importante

    • Nei primi mesi di guerra in Ucraina si è spesso citata la “regola del 3 a 1” quando si parla della probabilità di un attacco di avere successso.
    • Questa “regola” non ha origini chiare ed esistono studi che hanno provato a verificarne l’attendibilità dal secondo dopoguerra a oggi.
    • La regola non ha particolare valore se presa letteralmente: serve invece comprenderne il significato

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    Lorenzo Nannetti
    Lorenzo Nannetti

    Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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