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Afghanistan, a vent’anni da Bamiyan

In 3 sorsi – Nel marzo del 2001 le statue dei Buddha di Bamiyan vennero fatte esplodere dai talebani e le immagini furono diffuse globalmente dai media. L’evento rappresentava una risposta al crescente isolamento dell’Emirato afghano sulla scena internazionale, e, al contempo, esprimeva una volontà di riposizionamento di potere sul territorio. Nonostante la riapertura del Museo di Kabul a dicembre 2021, a vent’anni da tali eventi, la conservazione del patrimonio afghano permane nell’incertezza.

1. IL CASO DEI BUDDHA DI BAMIYAN

L’Unesco annovera sulla World Heritage List due siti archeologici in territorio afghano: il paesaggio culturale della valle di Bamiyan e il minareto e i resti archeologici di Jam. Grazie alla sua posizione di centralità nel continente asiatico, fin dall’antichità l’Afghanistan rappresentava un importante tassello sull’antica via della seta. Questa centralità era rispecchiata dalla mescolanza del suo patrimonio culturale, bagaglio storico andato a perdersi lentamente nel tempo a causa dei numerosi conflitti e della situazione di instabilità nel Paese. Il caso esemplificativo di tale processo ebbe luogo nel 2001 e venne diffuso globalmente attraverso i media internazionali. Il 26 febbraio 2001 il mullah Mohammed ʿOmar, leader talebano all’epoca, emise un decreto che ordinava la distruzione del patrimonio preislamico sul territorio afghano. I primi obiettivi vennero individuati nelle statue dei Buddha di Bamiyan, situati nella valle omonima nella regione dell’Hindu Kush. Si trattava di due statue rappresentanti la figura di Buddha scavate nella roccia all’interno di due nicchie, alte rispettivamente 38 e 55 metri. Nella valle erano altresì presenti numerosi monasteri e santuari di tradizione buddhista, eretti tra il terzo ed il quinto secolo d.C., testimonianze della mescolanza artistico-culturale della regione.

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Fig. 1 – Turisti afghani visitano il sito che ospitava le statue dei Buddha a Bamiyan, 6 ottobre 2001

2. LA DISTRUZIONE ATTRAVERSO LE IMMAGINI

Nel marzo 2001 le statue vennero fatte esplodere dai militanti talebani. La distruzione fu intenzionalmente registrata attraverso foto e video poi diffusi dai media internazionali. Giornalisti stranieri furono invitati sul luogo per testimoniare direttamente l’accaduto. Tale evento rappresentò un chiaro esempio di distruzione del patrimonio culturale volutamente raccontata attraverso immagini, un atto iconoclasta che diventa strumento di guerra. Quali sono i motivi che possono essere letti alla base di questo atto? Pauline Verger, in Bamiyan, vingt ans après – Retour sur l’ambiguité de l’émotion patrimoniale après la destruction des Bouddhas en 2001, riflette su tre questioni. Nel 1999 la comunità internazionale stabilì delle sanzioni nei confronti dell’emirato afghano: tali sanzioni entrarono in vigore nel gennaio del 2001. I talebani, ostacolati nella loro legittimazione politica, attaccarono simboli che sapevano avere valore per la comunità internazionale. Parallelamente, i Buddha di Bamiyan erano divenuti nel tempo emblemi dell’identità del popolo Hazara, che durante gli anni Novanta aveva acquisito una maggiore autonomia. La distruzione delle statue poteva pertanto risultare in un riposizionamento di superiorità da parte dei talebani sul territorio. Infine, l’autrice analizza l’evento come un atto politico di negazione di una determinata interpretazione della storia del Paese, in quanto Bamiyan ha da sempre rappresentato un centro archeologico di rilevanza per gli studiosi occidentali.

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Fig. 2 – AFGHANISTAN – Miliziani nel Museo di Kabul, Novembre 2001

3. IL MUSEO DI KABUL

Sebbene il caso di Bamiyan sia stato cruciale nel rivelare la strumentalizzazione del patrimonio culturale per fini politici e bellici, non si è trattato di un evento circoscritto. Nel tempo il patrimonio culturale afghano è stato esposto ai danni collaterali dei conflitti. In tal senso, nel 2002 l’Unesco ha istituito l’International Coordination Committee for the Safeguarding of Afghanistan’s Cultural Heritage (ICC) allo scopo di coordinare le attività di salvaguardia del patrimonio. Il ritorno dei talebani al potere ha riportato un velo di incertezza sulla questione. Tuttavia, a dicembre dello scorso anno, i media hanno riportato la notizia della riapertura del museo di Kabul, dopo la chiusura ad agosto 2021. Fondato nel 1911, ospitava al suo interno preziosi reperti appartenenti alla tradizione battriana, buddhista e indù. Si stima che tra il 1996 e il 2001 circa il 70% della collezione del museo sia stata saccheggiata o danneggiata. In seguito agli eventi del 2021, a vent’anni da Bamiyan il futuro del patrimonio culturale afghano rimane imprevedibile.

Egle Milano

Immagine di copertina: “Giant standing Buddhas of Bamiyan still cast shadows [Image 2 of 8]” by DVIDSHUB is licensed under CC BY

Dove si trova

Perchè è importante

  • Il patrimonio culturale afghano, testimonianza della mescolanza di popoli e tradizioni nella storia del Paese, ha subìto nel tempo le ripercussioni dei conflitti e dell’instabilità politica.
  • La distruzione dei Buddha di Bamiyan nel 2001 ha rappresentato un atto di volontaria distruzione del patrimonio culturale, diffuso attraverso i media a livello internazionale.
  • Il museo di Kabul ha riaperto le porte a dicembre 2021, ma il futuro del patrimonio culturale in Afghanistan rimane incerto.

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Egle Milano
Egle Milano

Classe 1996, Cuneo. Ho conseguito nel 2020 la laurea magistrale in Lingua, economia e politica dei Paesi Arabi presso l’Università Ca’ Foscari di Venezia. Nel 2019 ho avuto occasione di trascorrere un periodo di studio all’Université Saint-Joseph di Beirut. Grazie al mio percorso di studi, coltivo un grande interesse per l’area mediorientale e nordafricana, in particolare circa le questioni relative al patrimonio culturale.

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