Analisi – A febbraio 2015 i militanti di Daesh distruggono le statue del museo di Mosul e diffondono le immagini attraverso un video. L’episodio racconta da un lato una volontĂ iconoclasta nei confronti di simboli storici, dall’altro un atto performativo che intende mettere in scena la distruzione.
DISTRUZIONE INTENZIONALE E ICONOCLASTIA
Nell’ottobre del 2003, nel corso della trentaduesima Conferenza Generale dell’Unesco tenutasi a Parigi, veniva fortemente sottolineato il rinnovato impegno internazionale nel contrastare la distruzione del patrimonio storico e culturale, in ogni sua forma. Gli Stati aderenti garantivano il rispetto di tale impegno che prevedeva la tutela dei siti di interesse storico nel corso di eventuali ostilitĂ , l’assunzione della responsabilitĂ delle condizioni del patrimonio e la garanzia di sanzioni adeguate nei confronti dei colpevoli di atti di distruzione intenzionale. Una dichiarazione che emergeva in seguito agli eventi del 2001, quando nel mese di marzo alcuni terroristi distrussero le due statue dei Buddha di Bamiyan risalenti al Sesto secolo. Localizzati nell’Afghanistan centro-settentrionale, le statue vennero fatte esplodere con la dinamite dai Talebani. Secondo Michael Falser, nel report ICOMOS The Bamiyan Buddhas, performative iconoclasm and the “Image of Heritage” (marzo 2009), all’epoca l’episodio venne condannato come atto di vandalismo nei confronti del patrimonio culturale. Tuttavia, a gennaio dello stesso anno, il Mullah ĘżOmar aveva dichiarato l’intenzione di distruggere le statue raffiguranti gli idoli degli infedeli su tutto il territorio dell’Afghanistan. I Buddha erano un’immagine del patrimonio culturale, la loro distruzione un atto iconoclasta.
Per definizione storica, con il termine iconoclastia si intende la distruzione di figure e immagini sacre: in senso figurato rappresenta una sorta di avversione nei confronti di determinati principi e dottrine. Il patrimonio culturale viene frequentemente coinvolto nei conflitti armati non soltanto in maniera accidentale: i siti storici e culturali vengono trasformati in obiettivi bellici e la loro distruzione intenzionale diviene un vero e proprio strumento di guerra.
Fig.1- Un soldato delle forze irachene all’interno del museo di Mosul ad aprile 2017
LE STATUE DEL MUSEO DI MOSUL
Una dinamica alla quale si assiste anche in Iraq. A partire dal 2014 Daesh si afferma sul territorio e in particolare nella cittĂ di Mosul. Le distruzioni si susseguono e causano la perdita di numerosi siti di interesse storico, tra cui la moschea Nur al-Din e il suo caratteristico minareto al-Hadba’, esplosi nel 2017. Per i militanti di Daesh l’iconoclastia si trasforma in strumento di guerra. Un caso esemplificativo è la vicenda del mausoleo Imam al-Dur, nei pressi della cittĂ di Samarra: Daesh distrugge il sito nel 2014, in quanto la scuola hanbalita (tra le quattro scuole giuridiche dell’Islam sunnita) non prevedeva l’incisione delle lapidi. L’apice di questo processo distruttivo viene raggiunto con l’episodio del museo di Mosul. A febbraio 2015 i militanti di Daesh entrano nelle sale del museo e distruggono statue e opere risalenti agli imperi assiro e accadico, simboli di un politeismo da condannare. La devastazione viene registrata in un video poi diffuso a livello globale. Le immagini piĂą significative mostrano uomini dal volto coperto distruggere a martellate opere di vario genere e gettare a terra le statue del museo. Irina Bokova, allora direttrice generale dell’Unesco, condannò pesantemente la distruzione del patrimonio archeologico ripresa dal video di Daesh, definendola un’istigazione all’odio e alla violenza.
LA DISTRUZIONE DI SIMBOLI
Il video riprende un vero e proprio atto di distruzione intenzionale. Attraverso l’utilizzo di immagini Daesh crea una rappresentazione di propaganda, riproducendo i codici di comunicazione occidentali. La distruzione è finalizzata all’annullamento di un’identitĂ altra e al danneggiamento di icone e simboli legati a una determinata realtĂ . L’impatto della visualizzazione della distruzione assume un significato piĂą forte, trasformandosi in iconoclastia performativa. Falser, nel report citato precedentemente, commenta come l’iconoclastia, a differenza di un puro atto vandalico, presupponga l’esistenza di una motivazione: la distruzione intenzionale di un luogo o un oggetto intende colpire le istituzioni, le dottrine e i valori che risiedono al di lĂ dell’oggetto concreto. L’iconoclastia cela pertanto un’aggressione a una struttura di valori. Infine, l’effetto internazionale dei moderni canali di comunicazione e la vasta circolazione di immagini e video hanno permesso la diffusione globale di tale episodio, imprimendolo in maniera piĂą incisiva.
Embed from Getty ImagesFig. 3 – I danni all’interno del museo di Mosul nel 2017
SEGNI DI RINASCITA
Si può tuttavia delimitare l’evento all’interno della definizione di iconoclastia? Ă–mĂĽr HarmanĹźah, specialista di archeologia del Vicino Oriente antico, approfondisce la questione nell’articolo ISIS, Heritage, and the Spectacles of Destruction in the Global Media. HarmanĹźah sottolinea come il concetto di iconoclastia implichi un’aggressione volta a rimuovere un potere effettivo che risiede in determinate immagini. Secondo l’autore, nel caso della vicenda del museo di Mosul, l’iconoclastia può valere unicamente come riferimento storico: la distruzione delle statue non vuole significare un singolare evento contro simboli e figure, bensì oltrepassa tale limite per sfociare in un atto performativo che mette in scena la violenza e viene trasmesso al pubblico attraverso gli strumenti della modernitĂ . Il vero scopo sarebbe dunque produrre uno spettacolo che, seppur reale, viene messo in scena. L’analisi intende pertanto attribuire all’episodio del museo di Mosul una doppia valenza: da un lato la volontĂ di scalfire simboli di una certa importanza storica, dall’altro la messa in scena dello spettacolo della distruzione. Il museo ha riaperto le sue porte al pubblico il 22 novembre scorso con una mostra di sculture dell’iracheno Omar Qais. Precedentemente, nel gennaio 2019, era stata ospitata un’esibizione di arte contemporanea della durata di sei giorni dal titolo Return to Mosul. Proseguono intanto i lavori di ripristino delle opere del museo: nel 2018 la fondazione svizzera ALIPH, impegnata nella tutela del patrimonio culturale nelle aree di conflitto, ha stanziato fondi dal valore di 1,3 milioni di dollari per un progetto quinquennale (2018-2023) in collaborazione con il museo del Louvre, lo statunitense Smithsonian Institution e il Consiglio iracheno per le AntichitĂ e il Patrimonio (SBAH).
Egle Milano
Immagine di copertina: “the scope of devastation in Mosul, Iraq. Full story: http://apne.ws/2usocTs” by Lion Multimedia Production U.S.A. is licensed under CC BY