In 3 sorsi – Bukele governa il Paese in maniera sempre più autoritaria, confortato da alti tassi di gradimento della popolazione. A partire dalle violenze registrate a marzo El Salvador è in continuo stato di emergenza, ma la repressione rappresenta una strategia insostenibile nel lungo periodo.
1. IL ‘PLAN DE CONTROL TERRITORIAL’
Sin dalle prime settimane successive alla sua elezione, nel 2019, il Presidente di El
Salvador Nayib Bukele ha fatto della lotta alla criminalità uno dei capisaldi della propria
agenda di Governo. Sotto la sua presidenza, in effetti, il Paese centramericano ha vissuto i
il periodo meno violento dalla fine della guerra civile nel 1992, con un calo netto degli
omicidi negli ultimi anni. Nel 2015 il tasso era di 103 ogni 100mila abitanti (a scopo
comparativo, in Germania è mediamente di 0,3), ma da allora ha cominciato a diminuire
a una velocità sorprendente soprattutto a partire da giugno 2019, all’indomani
dell’elezione dell’attuale Presidente. Nel 2021 era arrivato a 18 ogni 100mila abitanti. I
funzionari governativi attribuiscono tale successo agli effetti delle politiche securitarie del
Governo – il cosiddetto Plan de Control Territorial, – ma secondo molti rapporti di stampa e
ONG (tra cui Human Rights Watch) alla base del trend decrescente ci sarebbe piuttosto una
sorta di accordo tra Governo e gang criminali (MS-13 e Mara 18 su tutte). L’esasperazione
della popolazione salvadoregna di fronte alle violenze sempre più diffuse nel Paese
contribuisce a spiegare perché la politica di Bukele nel campo della sicurezza gli è valsa
una popolarità molto ampia, con punte addirittura dell’80%, fattispecie che lo pone al
comando del piccolo Stato centroamericano in una posizione molto solida.
Fig. 1 – Membri di “Mara 18” e “MS-13” in un carcere di massima sicurezza a Izalco, Sonsonate, il 4 settembre 2020
2. LE VIOLENZE DEL MARZO 2022 E LA REPRESSIONE
Prima del marzo 2022 il dibattito pubblico si soffermava quindi perlopiù sugli
atteggiamenti autoritari di Bukele, piuttosto che sulle violenze sempre più sporadiche delle
gang. Il 26 marzo segna tuttavia la fine dell’idillio: 62 persone vengono uccise nello stesso
giorno, il bilancio peggiore della storia salvadoregna. Anche negli anni più bui (2014-2015)
il numero di omicidi giornaliero superava al massimo i 50. La risposta del Governo è dura,
immediata, imperniata su detenzioni di massa e sospensione dei diritti. In un tweet (suo
mezzo di comunicazione preferito) Bukele chiede al Parlamento di dichiarare
immediatamente lo stato di emergenza nazionale. Il Congresso, dominato dal partito al
potere, approva la misura per 30 giorni, durante i quali vengono sospese alcune libertÃ
garantite dalla Costituzione, come quella di associazione, e viene eliminato il divieto sul monitoraggio delle telecomunicazioni. Già 3 giorni dopo, Human Rights Watch avvertiva
che lo stato di emergenza potesse favorire abusi di vario genere. Lo stesso verrà poi
rinnovato per sei volte (l’ultima a settembre), anche con un certo supporto popolare.
In sei mesi il bilancio parla di 55mila arresti, ai quali, secondo l’organizzazione per i diritti
umani Cristosal, si accompagnano almeno 80 detenuti morti e tra le 2.700 e 3mila
denunce per arresti arbitrari.
Fig. 2 – Un soldato di guardia a un posto di blocco in una zona dominata dalla MS-13 a San Salvador subito dopo la dichiarazione dello stato di emergenza, il 27 marzo 2022
3. IL FUTURO TRA PUGNO DURO E RIABILITAZIONE
La Mara 18 si è da subito dichiarata estranea agli omicidi del 26 marzo, incolpando i rivali
della MS-13. El Faro, giornale salvadoregno online, ha avvalorato tale tesi sostenendo
che i pandilleros della MS-13 accusano il Governo di non aver rispettato i patti in piedi da
almeno due anni e mezzo. Più nello specifico, e secondo quanto lo stesso giornale
riferisce di aver appreso da portavoce della pandilla, il Governo avrebbe portato a termine
una serie di arresti ai danni di personalità rilevanti della MS-13 tramite uno stratagemma.
Nonostante la popolarità che riscuote il pugno duro di Bukele presso la popolazione, nel
lungo termine tale strategia potrebbe rivelarsi controproducente. Le maras potrebbero
disgregarsi, riorganizzandosi poi in una miriade di attori il cui controllo sarebbe ancora più
difficile. Piuttosto, nonostante le Forze dell’Ordine e il rispetto della legge continueranno
a essere i fari nella lotta alla violenza tra gang, si rende necessario un approccio più
sostenibile alla questione, includendo forme di riabilitazione e reintegrazione a beneficio di
coloro i quali vogliano chiudere con il proprio passato criminale.
Michele Pentorieri
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