In 3 sorsi – Nel 2022 lo Yemen ha registrato il periodo di tregua piĂą lungo mai raggiunto, ma le aspettative circa l’avvio di un processo di pace sono venute meno all’ennesimo fallimento. Gli Stati Uniti, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti, nel frattempo, hanno interessi sempre piĂą contrastanti.
1. LA TREGUA PIĂ™ LUNGA ED EFFICACE
Lo scorso aprile lo Yemen aveva visto uno spiraglio di luce con l’inizio di una nuova tregua, la piĂą lunga mai raggiunta dall’inizio del conflitto. L’interruzione delle ostilitĂ , infatti, ebbe inizio il 2 aprile 2022, terminando lo scorso 2 ottobre. L’accordo mediato dalle Nazioni Unite e discusso in Kuwait comprendeva l’arresto di tutte le operazioni militari offensive all’interno e all’esterno del Paese, l’ingresso di navi carburante nei porti di Hodeidah, l’apertura dell’aeroporto di Sanaa a determinati voli commerciali e la gestione dell’accesso stradale a Taizz e a altri governatorati.
Come riportato dal ACLED’s Yemen Truce Monitor i sei mesi di tregua hanno portato benefici tangibili alla popolazione yemenita, tra cui un migliore accesso agli aiuti umanitari e una significativa riduzione della violenza e delle vittime in tutto il Paese. Il rapporto dell’ACLED ha evidenziato che ad aprile e maggio 2022 si sono registrati i livelli piĂą bassi di morti per violenza politica in Yemen dal gennaio 2015, tendenza continuata per tutto il periodo di tregua. Nello stesso periodo grazie all’ex Presidente dello Yemen Abed Rabbo Mansour Hadi, entrato in carica nel 2012, si è registrato un altro punto di svolta con l’emergere di un nuovo organo che, per la prima volta, comprendesse all’interno gruppi anti-Houthi in competizione, tra cui meridionali indipendentisti, sostenitori dell’ex presidente Ali Abdullah Saleh, alti ufficiali militari e governatori, al quale si è aggiunto un comitato militare che ha unito anche i gruppi armati e le forze militari opposte.
Fig. 1 – L’inviato speciale delle Nazioni Unite per lo Yemen, Hans Grundberg, tiene una conferenza stampa durante la sua prima visita per parlare con i funzionari del movimento Houthi, aprile 2022
2. IL FALLIMENTO DELLA TREGUA: LA RICADUTA
Questi progressi ovviamente non escludono che non vi siano stati scontri su fronti secondari e che la violenza politica non abbia continuato a colpire lo Yemen. Infatti, i bombardamenti sulle principali linee del fronte sono aumentati in modo significativo, diventando l’unico luogo di sfogo e di dimostrazione. Il rapporto dell’ACLED “Violence in Yemen During the UN-Mediated Truce: April-October 2022” individua quattro fattori principali che hanno contribuito al protrarsi della violenza politica durante la tregua: tensioni tra le forze Houthi e il Governo riconosciuto internazionalmente (IRG); competizione all’interno del campo anti-Houthi; ripresa delle attivitĂ di Al Qaeda nella Penisola Arabica; aumento della violenza tribale.
L’atteggiamento ostile degli Houthi al diniego di una nuova proposta sull’apertura di strade a Taiz e sul pagamento dei lavoratori pubblici, nonchĂ© dal sorvolo di loro droni sui terminali petroliferi controllati dal governo ha determinato la fine della tregua.
Fig. 2 – Uomini armati e fedeli ai ribelli Houthi durante il corteo funebre per i combattenti uccisi nelle battaglie contro le truppe governative sostenute dai sauditi nella regione di Marib, marzo 2021
3. ARABIA SAUDITA, EMIRATI ARABI UNITI E STATI UNITI NON PIĂ™ AMICI
Anche tra i paesi che all’inizio del conflitto potevano essere considerati alleati iniziano i primi contrasti.
In particolare, gli Emirati Arabi Uniti che negli anni del conflitto hanno dimostrato una forte alleanza con la coalizione saudita, le hanno ora girato le spalle. Nonostante l’interesse comune a neutralizzare le milizie Houthi, gli EAU si sono discostati dal piano di azione comune per un obbiettivo più particolaristico che vuole assicurarsi il controllo dello Yemen del sud, a sostegno del Southern Transitional Council (STC), un’entità governativa per l’indipendenza della parte meridionale dello Yemen e che condivide la visione di un islam apolitico dell’EAU, totalmente contrario agli interessi di Riyad.
Inoltre, l’Arabia Saudita si vede abbandonata anche dagli Stati Uniti, i quali ad oggi favoriscono la realizzazione della tregua come mezzo per raggiungere un cessate il fuoco e porre fine alla guerra. Sembra ormai delineato che la guerra “non conviene più” e infatti il Congresso si è opposto a ulteriori vendite di armi statunitensi all’Arabia Saudita. Ciò lascia pensare a una possibile fine del coinvolgimento degli Stati Uniti nella guerra.
Di fatto, la coalizione saudita si sta sgretolando: il Governo sunnita centrale appoggiato dall’Arabia Saudita non presenta i presupposti per poter gestire un Governo federale: l’80% della popolazione dello Yemen è controllata dagli Houthi, i quali trovano terreno fertile nella conquista tanto territoriale quanto più simbolica nel conflitto poiché non vi è una vera fazione unita in opposizione. La divisione interna degli avversari gioca direttamente a favore degli Houthi.
Per l’ottavo anno consecutivo la guerra in Yemen rientra nell’elenco delle principali crisi del mondo dell’International Rescue Committee, e sulla scia di tregue fallite e interessi strategici discordanti delle fazioni e paesi coinvolti, probabilmente sarĂ tra i primi posti anche nel 2023.
Erika Russo
Immagine di copertina: “Militärparade der Huthis in Sanaa, 21. Sept. 2022 – Houthi military parade at Sanaa, Sep. 21, 2022” by dietrich19 is licensed under CC BY-SA