In 3 sorsi – Iran e Cina si impegnano nel superare le differenze reciproche maturate negli ultimi anni affrontando congiuntamente una situazione geopolitica sempre più polarizzata. Il Dragone potrebbe rappresentare una delle ultime carte nel mazzo iraniano. Teheran, dunque, nell’attirare capitale cinese, potrebbe essere costretta ad accettare condizioni economiche non particolarmente convenienti.
1. RAISI IN VISITA A PECHINO COL CAPPELLO IN MANO
Lo scorso 14 febbraio, il Presidente iraniano, Ebrahim Raisi, è stato accolto ufficialmente a Pechino. Il viaggio, il primo di un Presidente iraniano in Cina in un lasso di venti anni, sembra essere l’occasione giusta per ragionare sulle attuali condizioni internazionali del Paese, aggravate peraltro da una situazione interna di forte agitazione. Il motivo ufficiale della visita è legato all’Accordo di Cooperazione Strategica firmato il 27 marzo 2021 dal Ministro degli Esteri cinese Wang Yi e dalla sua controparte iraniana Mohammad Javad Zarif. Si tratta di un programma dalla durata di venticinque anni con il quale la Cina si impegna a investire una somma di circa 400 miliardi di dollari nell’economia iraniana, ottenendo in cambio rifornimenti di petrolio a prezzo fortemente scontato e prodotti agricoli di interesse strategico. L’accordo del 2021 è ancora in fase di rodaggio e la visita di Raisi si è posta quindi l’obiettivo di offrirgli una ulteriore spinta. Nonostante, difatti, la Cina si confermi il maggiore partner commerciale iraniano, gli investimenti diretti esteri su suolo persiano prodotti durante il primo anno di ufficio di Raisi ammontano a soli 162 milioni di dollari. In un momento in cui Teheran, ostracizzata dalla comunità economica internazionale, soffre fortemente sotto il peso delle sanzioni americane, Pechino e le aziende cinesi, meno integrate nei mercati statunitensi, appaiono come una delle poche opzioni al momento viabili per trovare respiro.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Ministro degli Esteri cinese Wang Yi e quello iraniano Mohammad Javad Zarif nel 2019
2. NEL MOMENTO PEGGIORE, L’IRAN GUARDA A EST
La strategia del “Look to the East”, voluta nel 2005 dall’allora Presidente Mahmoud Ahmadinejad, resta ancora una nave ferma in porto e in attesa di segnali rassicuranti. La particolare condizione di isolamento geopolitico e geoeconomico, aggravatasi nel 2018 dopo la brusca uscita degli Stati Uniti di Donald Trump dal Joint Comprehensive Plan of Action (JPCOA), costringe l’Iran, adesso più che mai, a voltarsi a est. La Cina resta un partenariato viabile, nonostante i rallentamenti e alcuni complicati punti di frizione. La presenza cinese nel Golfo Persico, in particolar modo, si è intensificata in maniera importante nel recente periodo e il Dragone pare intenzionato a una crescente collaborazione con i Paesi del Consiglio di cooperazione del Golfo (GCC). Nonostante, allora, la Cina coltivi un dialogo sempre più intimo con l’arcinemico saudita, l’Iran si affida comunque a Pechino. La guerra in Ucraina, un anno dopo l’inizio degli scontri, ha contribuito all’intensificazione di un processo di polarizzazione internazionale. L’Iran, fornendo droni da combattimento alla causa russa, ha ulteriormente alienato l’Occidente accentuando la propria immagine di Stato paria. Il conflitto russo-ucraino sembra dunque dare vita a nuove intese, plasmate dalla volontà di alcuni attori di sottrarsi alle regole del gioco imposte dall’attuale ordine internazionale.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Il Presidente iraniano Ebrahim Raisi durante la sua visita a Pechino, 14 febbraio 2023
3. LA COOPERAZIONE CON PECHINO COMPORTA PER TEHERAN ALCUNI COMPROMESSI
Pechino si conferma alchimista di un nuovo ordine mondiale multipolare e multilaterale, strategia più che appropriata nell’attirare nuovi clienti nel visionario progetto delle Nuove Vie della Seta, ingolfatosi a causa della pandemia ma in fase di ripresa. Come riportato dall’agenzia Xinhua, la discussione tra i due Presidenti, Raisi e Xi, avrebbe interessato proprio una maggiore integrazione iraniana nel progetto, e la costruzione, dunque, di infrastrutture a esso dedicate.
Xi ha tenuto soprattutto a sottolineare come la Cina sia assolutamente contraria a qualsivoglia interferenza esterna nelle questioni di politica interna di un Paese sovrano. Il multilateralismo pubblicizzato da Xi è dunque la prima arma del vocabolario diplomatico cinese. Come confermato dalla recente visita di Wang Yi in Europa, la Cina cerca di ingraziarsi i suoi clienti occidentali nonostante il Paese sia, secondo il Segretario di Stato americano Antony Blinken, sul punto di impegolarsi ancor più concretamente nell’impasse ucraina fornendo armi all’esercito russo. Per quanto i buoni propositi avvicinino però Iran e Cina, in molti a Teheran vedono le condizioni degli accordi firmati dai due Paesi fortemente sbilanciati a favore di Pechino, come nel caso degli accordi sugli idrocarburi tra Cina e Russia. I prezzi sul petrolio proposti alla Cina, ad esempio, sono estremamente svantaggiosi per gli interessi iraniani, mentre le importazioni in materia di componenti elettroniche, non sono, secondo alcuni, all’altezza delle controparti occidentali. Per l’Iran, dunque, Pechino è tappa obbligata nel processo di disgelo che il Paese vuole per tornare a muoversi. Per la Cina, invece, Teheran è un’interessante alternativa soprattutto in materia di diversificazione nel mercato del greggio. Nel momento più delicato della crisi energetica Pechino estrae un altro coniglio bianco dal cilindro.
Vanni Filloramo
Foto di copertina: “Iranian flag” by blondinrikard is licensed under CC BY