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I riflettori del mondo si riaccendono su Taiwan

Analisi – Stati Uniti e Cina continuano a muovere i pezzi sullo scacchiere dell’Indo-Pacifico attraverso una serie di azioni diplomatiche, in concomitanza con una corsa al riarmo da ambedue le parti.

LE ATTUALI DINAMICHE DIETRO GLI IMPEGNI DI TSAI E MA

Il più importante evento in agenda, nei prossimi giorni, è senza ombra di dubbio la visita della Presidente di Taiwan Tsai Ing-wen negli Stati Uniti e in America Latina. Sebbene inizialmente alcune fonti ufficiali avessero messo in conto un bilaterale tra Tsai e il neo-speaker repubblicano della Camera Kevin McCarthy, tale incontro non è stato ancora ufficializzato. Un trait d’union è stato immediatamente ravvisato nell’approccio aperturista di McCarthy verso Taipei, sulla falsariga del viaggio che il suo predecessore, Nancy Pelosi, ha intrapreso lo scorso agosto sull’isola, esacerbando de facto l’escalation riguardo alla questione della sua eventuale indipendenza.
A inizio marzo il Ministro del Consiglio sugli Affari Comunitari d’Oltreoceano taiwanese Hsu Chia-ching ha affermato che, oltre a vari incontri programmati a New York e Los Angeles a fine mese, Tsai dedicherà del tempo per confrontarsi con alcuni rappresentanti diplomatici di Guatemala e Belize, storici alleati nella stretta cerchia di Taiwan, per cercare di raggiungere accordi di natura militare. L’impegno di Tsai oltreoceano si chiuderà con un veloce intervento alla Reagan Library, in California.
Il viaggio di Tsai nel continente americano sarà l’ultima occasione per l’attuale Presidente taiwanese per provare a ricevere ulteriore supporto logistico dall’Amministrazione Biden. Il suo mandato scadrà a gennaio 2024, data in cui gli elettori taiwanesi saranno chiamati a votare per il suo successore. Sulla base delle norme attualmente vigenti, Tsai non potrà correre per una rielezione. Ad oggi occorre ricordare che Washington non riconosce formalmente Taiwan come un’entità separata rispetto alla Cina continentale, sebbene in diverse uscite pubbliche l’attuale Presidente statunitense abbia intimato Xi Jinping a non oltrepassare la famigerata linea rossa dell’intervento militare. Nonostante ciò diversi diplomatici statunitensi hanno provato a stemperare la crescente tensione intorno alla visita di Tsai, sottolineando che si tratterà di una serie di incontri standard, senza alcuno specifico scopo strategico.

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Fig. 1 – Soldati taiwanesi durante un’esercitazione militare nel sud dell’isola, 25 marzo 2023

In parallelo desta sicuramente curiosità la prossima visita dell’ex Presidente di Taiwan Ma Ying-jeou nella Cina continentale. Sebbene tale viaggio, programmato dal 27 marzo al 7 aprile, sia presentato come un impegno strettamente privato, la sua valenza simbolica è comunque unica, in quanto Ma sarà il primo Presidente della Repubblica di Cina a varcare le soglie del territorio “nemico” dalla fine della guerra civile del 1949, che contrapponeva le truppe comuniste di Mao Tse-tung a quelle nazionaliste del Kuomintang, guidate dal primo Presidente di Taiwan Chiang Kai-shek. L’esito di tale scontro bellico ha portato allo status politico attualmente vigente.
Ma, anch’esso membro del Kuomitang, ha servito come Presidente a Taipei dal 2008 al 2016, delineando un’impronta maggiormente aperturista nei confronti della Repubblica Popolare Cinese, sebbene limitata al campo economico. Nonostante il suo deciso rifiuto al ritorno a “una sola Cina”, Ma viene attualmente malvisto da una fetta dell’opinione pubblica taiwanese per tale vicinanza a Xi. Il fatto che il suo imminente approdo nella provincia dello Hunan non sia stato osteggiato dalle Autorità cinesi ha rinvigorito questa tesi.
Nonostante il suo attuale smarcamento dalle vicende politiche taiwanesi, Ma continua a farsi indiretto portavoce della linea programmatica del Kuomintang, partito che da almeno due decenni non ha mai nascosto l’intento di riavvicinarsi lentamente alla Cina continentale. A riconferma di tale affermazione, lo scorso febbraio il chairman del Kuomintang Andrew Hsia ha incontrato Song Tao, il più alto rappresentante sulla questione taiwanese dell’esecutivo di Pechino. I due si sono ritrovati concordi sul cosiddetto Consenso del 1992, accordo che prevedeva un lento ma costante riallineamento degli interessi di Taipei con quelli della Repubblica Popolare Cinese, sebbene discostandosi per quanto concerne gli effettivi metodi.
Questo meeting rappresenta il chiaro riflesso della spaccatura interna a Formosa tra il partito del Kuomitang, attualmente all’opposizione, e il Partito Progressista Democratico (PPD), la cui leader Tsai è al potere da sette anni. Secondo il PPD non ci sono altre opzioni sul tavolo se non l’indipendenza senza compromessi di Taiwan verso Pechino.

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Fig. 2 – Intervento della Presidente taiwanese Tsai Ing-wen al Concordia Annual Summit di New York dello scorso settembre

LE REAZIONI DA PECHINO E LE CONTROMOSSE

La Repubblica Popolare Cinese continua a mantenere un atteggiamento profondamente irritato nei confronti di un avvicinamento, per quanto informale, tra Stati Uniti e Taiwan. Il Ministero degli Affari Esteri cinese, tramite le parole del portavoce Wang Wenbin, ha recentemente rimarcato il proprio disappunto a riguardo, avvertendo “le Autorità di Taipei che non c’è una soluzione per l’indipendenza di Taiwan. I tentativi di cercare un supporto esterno a tale proposito sono destinati a fallire”.
Dopo un apparente stallo sull’argomento, durato per diversi anni, Pechino ha ripreso vigorosamente a sostenere il modello del “una nazione, due sistemi”,  secondo il quale l’isola è una parte “sacra e inseparabile del territorio della Repubblica Popolare”.
Il clima piuttosto teso tra Washington e Pechino non sta di certo agevolando un’eventuale riapertura del dialogo sulla questione Taiwan. Il clamoroso abbattimento di un pallone spia cinese sui cieli della Carolina del Sud ha infatti portato al posticipo dell’atteso incontro tra il Segretario di Stato americano Antony Blinken e Xi. Blinken ha duramente condannato l’atto di spionaggio di Pechino, definendolo come una “chiara violazione della sovranità nazionale” statunitense. Al momento, non esiste nessun impegno, da entrambe le parti, a riprogrammare tale bilaterale.
Al contrario il recente summit tra Xi e Vladimir Putin, tenutosi a Mosca, ha contribuito ad accentuare le tensioni. Cina e Federazione Russa hanno confermato la propria unità d’intenti nel rafforzare l’esistente partnership per garantire un “forte ordine mondiale”, sebbene lo stesso leader cinese si sia astenuto dal voler schierarsi affianco alla Russia nella guerra in Ucraina, mantenendo un profilo soft e da potenziale peacemaker. Parole che comunque non hanno rassicurato la diplomazia di Washington che, ancora una volta tramite Blinken, ha accusato Pechino di voler fornire una “copertura diplomatica” ai crimini di guerra perpetrati dall’esercito di Putin, oltretutto all’indomani del mandato di cattura notificato al capo del Cremlino dalla Corte penale internazionale dell’Aia.
L’incontro tra Xi e Putin è stato visto da alcuni esperti di geopolitica come un potenziale apripista per un futuro impegno militare congiunto sul terreno taiwanese. A fine febbraio il direttore della CIA William Burns è tornato nuovamente a parlare di un’eventuale escalation intorno a Taiwan, rivelando che le Forze Armate di Pechino potrebbero essere pronte a sferrare un’offensiva contro l’isola “entro il 2027”. La deterrenza che le forze occidentali e del Pacifico stanno attualmente esercitando nei confronti della Cina, secondo Burns, si esplica in due punti chiave. In primis gran parte delle nazioni globali hanno trovato un solido punto d’incontro nella costituzione di un asse contro la Russia per via della sua campagna bellica in Ucraina, cautelando Xi circa un simile isolamento nel caso in cui decidesse di mettere piede a Taiwan. In secondo luogo i servizi di intelligence statunitensi sono fermamente convinti che Xi non si senta ancora sicuro per sferrare un attacco su larga scala contro l’isola, per via dell’attuale politica di rafforzamento delle proprie truppe che non gli permetterebbe di ottenere quella superiorità assoluta necessaria a sottomettere Taipei.

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Fig. 3 – Il direttore della CIA William Burns durante una recente audizione al Senato, 8 marzo 2023

IL RISVOLTO INEDITO: UNA POLITICA EUROPEA A TAIPEI

A destare sorpresa, già nel complesso intreccio di trame che si sviluppa intorno all’area dell’Indo-Pacifico, è stata la recente visita del Ministro dell’Educazione tedesco Bettina Stark-Watzinger a Taipei, la prima di un rappresentante della Cancelleria dal 1997. Anche in questo caso il viaggio della Stark-Watzinger è stato definito “di routine” dal portavoce governativo Steffen Hebestreit, chiarendo che la posizione comunitaria dell’Unione Europea nei confronti della questione taiwanese non cambia. È stata altresì evidenziata però la portata commerciale di tale azione. Si è difatti parlato di come la forte cooperazione tra Germania e Taiwan in materia di semiconduttori possa essere ulteriormente incrementata, “sulla base di valori democratici, trasparenza, apertura, reciprocità e libertà scientifica“.
Nonostante le diverse rassicurazioni da parte di Berlino, inclusa quella dello stesso Cancelliere Olaf Scholz nelle scorse settimane riguardo alla stabilità della relazione con Pechino, la Repubblica Popolare Cinese ha definito “vile” l’accordo commerciale firmato nella capitale taiwanese. L’ennesimo scontro frontale tra potenze occidentali e Xi che promette di non essere l’ultimo.

Stefano Ermini

Taiwan Grunge Flag” by Grunge Love is licensed under CC BY

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Perchè è importante

  • Le imminenti visite della Presidente taiwanese Tsai Ing-wen negli Stati Uniti e del suo predecessore Ma Ying-jeou nella Cina continentale riaprono il dibattito sulla questione dell’indipendenza di Taipei.
  • La dottrina del “Una sola Cina”, già così pesantemente contestata a Hong Kong, rischia di aprire un duro scontro interno a Taiwan tra gli aperturisti verso la Cina dell’opposizione e gli indipendentisti al Governo.
  • La Repubblica Popolare studia, nel frattempo, le contromosse per usare la leva diplomatica nelle intricate dinamiche della regione. Abbracciando cautamente l’alleato Putin.

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Stefano Ermini
Stefano Ermini

Classe 1987, grande appassionato di geopolitica ed economia, con un focus sulle aree medio ed estremo-orientale. Il mio percorso accademico include una laurea in Studi Orientali alla “Sapienza” di Roma e due master – di cui uno ottenuto a Tokyo, Giappone – in Economia e Relazioni Internazionali, con tesi relative all’impatto della Grande Depressione economica del 2007-2008 sull’Estremo Oriente e lo status della pace armata tra le due Coree. Nel mio tempo libero, adoro fare sport (2 ore al giorno!), suonare (il basso), leggere libri di ogni tipo e viaggiare in ogni angolo del mondo.

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