In 3 sorsi – In un clima politico rovente, la Serbia si prepara ad andare alle urne il prossimo 17 dicembre. Il Presidente Vučić è alla ricerca di un ampio consenso che gli permetta di continuare e governare e di mettere a tacere le opposizioni.
1. PRESIDENTE, VA TUTTO BENE?
“Presidente, va tutto bene? La guerra impazza a nord e a sud dell’Europa, le strade in Serbia sono bloccate da parte di coloro che ci dan da mangiare, i postini non lavorano, la sanità pubblica sta cadendo a pezzi, l’istruzione è praticamente distrutta, molti rapporti d’inchiesta nazionali e internazionali collegano il mondo della criminalità al Suo Governo. In Serbia non si respira a causa dell’inquinamento di aria e acqua, il Parlamento è un esempio di imbarazzo e vergogna (…)”. Con queste parole, l’avvocato Božo Prelević si è rivolto al Presidente serbo Aleksandar Vučić in una lettera aperta pubblicata sul quotidiano di opposizione Danas. Prelević ha inquadrato in maniera davvero efficace tutti i problemi che affliggono il Paese balcanico: il gioco di equilibrismo da parte delle élite belgradesi che non vogliono prendere posizione sulla guerra in Ucraina e in Palestina; lo sciopero, che dura da settimane, dei lavoratori delle Poste che chiedono paghe più alte; il blocco delle vie di comunicazione principali del Paese attuato dagli agricoltori, ridotti alla fame dalle accise sulla benzina e dalla mancanza di adeguati sussidi statali alla produzione di grano e girasoli; l’inquinamento atmosferico, che fa di quello serbo il territorio più inquinato d’Europa, con il più alto numero di morti per carcinoma polmonare; la sanità, non più in grado di curare i cittadini (urologi ed endocrinologi ricevono solo privatamente); i numerosi legami fra la criminalità organizzata e il Governo, ormai da tempo venuti alla luce del sole. In questo clima di insoddisfazione generale, Vučić, il padre padrone della Serbia, ha indetto per il 17 dicembre le elezioni parlamentari, regionali e locali: si tratta di un vero e proprio referendum sul Presidente, la cui credibilità è in calo dopo i fatti di Banjska in Kosovo e il massacro avvenuto alla scuola elementare “Vladislav Ribnikar”di Belgrado nel maggio scorso.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Il Presidente serbo Vučić
2. UN PO’ DI MATEMATICA
L’opposizione è divisa e sembra non trovare una lingua comune per opporsi alla politica di Vučić, che domina incontrastato grazie alla distribuzione dei posti di lavoro nell’amministrazione pubblica, alla continua presenza sui media di regime e alla ripartizione di prebende ai circoli intellettuali (soprattutto sotto forma di progetti di ricerca per professori universitari), che, se non si schierano per Vučić, neppure gli si oppongono. L’inflazione alle stelle però crea malcontento fra la popolazione e ciò preoccupa il Presidente che punta non solo a vincere le elezioni, ma a un vero e proprio plebiscito. Per questa ragione, Vučić si è già assicurato un surplus di un milione di voti. Come? Basta leggere i dati: la Serbia, secondo il censimento del 2022, ha 6.690.887 abitanti, di cui 1.204.000 sono minorenni. Nelle liste elettorali, ci sono 6.501.689 iscritti. Il partito al potere ha a disposizione 1.014.802 voti di riserva. Da dove vengono? Si tratta di gente che sposta ad hoc la propria residenza: dalla Republika Srpska in Bosnia e dalle città serbe in cui non si vota: da Niš è in corso un vero e proprio esodo di cittadini che si trasferiscono (almeno sulla carta) a Belgrado, naturalmente solo fino al 17 dicembre. Ci sono poi le “anime morte”, vale a dire di cittadini che da tempo giacciono nei cimiteri ma che, a quanto pare, risorgono puntualmente in occasione delle elezioni e che sono ancora iscritti alle liste elettorali.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Vučić insieme al Segretario Generale della NATO Jens Stoltenberg, 21 novembre 2023
3. VECCHIO SCARPONE, QUANTO TEMPO È PASSATO…
In vista delle elezioni politiche, Vučić ha rispolverato amici di vecchia data, con i quali si presenterà alle elezioni in coalizione: l’ex Presidente Tomislav Nikolić e il leader radicale Vojslav Šešelj, criminale di guerra, per più di un decennio ospite delle carceri dell’Aja. Šešelj e Nikolić sono i padrini politici del Presidente (e non solo politici, Šešelj è il padrino di battesimo dei figli diVučić). Insieme, facevano parte del Partito Radicale, prima che Vučić e Nikolić abbandonassero (tradissero?) Šešelj in un’operazione di pulizia politica caldeggiata dalle cancellerie occidentali. Per garantirsi il potere, Vučić e Nikolić (su suggerimento di Angela Merkel, che non voleva più appoggiare l’ex Presidente Boris Tadić) hanno fondato un nuovo partito, l’SNS (Partito Progressista Serbo); subito dopo, Vučić ha pensionato il collega ed è diventato il capo indiscusso della Serbia. Dopo i fatti di Banjska, l’appoggio occidentale vacilla e l’opinione pubblica, per quanto addomesticata e anestetizzata, comincia a dare cenni di nervosismo. Per dare spazio al malcontento ed evitare rivolte, Vučić potrebbe rinunciare al Comune di Belgrado, consegnandolo alle opposizioni ma mantenendo saldo il controllo del resto della nazione (esattamente come ha fatto il suo amico e collega ungherese Viktor Orbàn). Il problema principale della Serbia, in ogni caso, rimane sempre lo stesso: la totale incapacità, anche da parte delle opposizioni, di fare i conti una volta per tutte con i crimini e la politica imperialista degli anni Novanta. I traumi irrisolti generano mostri.
Christian Eccher
“Serbia-0316 – Petrovaradin Fortress” by archer10 (Dennis) is licensed under CC BY-SA