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Bielorussia: la nuova “cortina di ferro” dell’Europa

Gli specialiPrima parte di un lungo reportage di Christian Eccher dalla Bielorussia, realizzato nel corso dell’estate. Stretto tra Occidente e Russia, il Paese appare sempre più isolato mentre la repressione del regime di Lukashenko non riesce a mascherare fratture e contraddizioni interne.

Vi proponiamo qui in anteprima la prima parte del reportage, disponibile come contenuto esclusivo per i soci e gli iscritti del Caffè Geopolitico, oppure con un contributo editoriale.

LITUANIA: FIERI BOSCHI E SENTIMENTI AMARI

Fra la Bielorussia e l’Occidente ci sono solo due passaggi di frontiera aperti: quello di Grodno, al confine con la Lituania, e quello fra Brest e Terespol, in Polonia. Tutti gli altri sono stati chiusi per paura che i soldati della Wagner si infiltrino fra coloro che, quotidianamente, entrano nell’Unione Europea. Per andare da Bialystok, in Polonia, e Grodno, il microbus impiega circa 12 ore: deve raggiungere la Lituania, a 60 km da Vilnius prendere la strada dei boschi e dirigersi verso sud. Alla frontiera, i mezzi pubblici aspettano disciplinati il proprio turno per 6 ore, le automobili fra le 12 e le 24 ore.

A metà strada fra Bialystok e Grodno, in Lituania, il motore del minibus, vecchio e ammaccato, si ingolfa. Il mezzo arranca, prosegue a singhiozzo, fra abbrivi e brusche soste, fino a fermarsi del tutto. Intorno, poche case, un lago circondato da un bosco di abeti e il silenzio. È sera. Al margine sinistro della strada, una locanda: pochi clienti, giovani, seduti su panche di legno nel cortile che guarda al lago. I ragazzi, appena vedono l’autobus con targa bielorussa, lanciano strali e parole incomprensibili verso i passeggeri che nel frattempo sono scesi dal mezzo. Mi avvicino allo specchio d’acqua, ordino qualcosa da mangiare e alcuni degli avventori, con un boccale di birra in mano, visibilmente brilli, mi chiedono a che nazionalità appartenga. Rispondo che sono italiano e un altro, in maniera provocatoria, domanda: “Vuoi farmi credere che tutti gli altri che viaggiano con te sono italiani?”. Affermo che sono bielorussi; a quel punto, i ragazzi iniziano a insultare, sputano in direzione del pullmino. Mi sento in colpa per aver detto di essere italiano: la cittadinanza può essere un discrimine, un criterio per decidere chi si possa sedere a un tavolo a mangiare e chi no? Invito i passeggeri che guardano increduli a sedersi e a cenare con me. Con un cenno della testa, ringraziano e rifiutano. Rimangono nascosti dietro al microbus, fino a quando, da Bialystok, non giunge un furgone più moderno e confortevole. Si riparte per Grodno, con l’amarezza della consapevolezza che i popoli europei sono fra loro nuovamente nemici.

Fig. 1 – La Cattedrale di San Francesco Saverio a Grodno | Foto: Christian Eccher

GRODNO, LA RUSSIA E L’OCCIDENTE

Grodno è una città multietnica, abitata principalmente da bielorussi e polacchi. Da secoli, le due nazioni e i due popoli si intrecciano e vivono in completa simbiosi. Dall’inizio dell’invasione russa in Ucraina, i rapporti fra Minsk e Varsavia si sono fatti sempre più tesi. Nonostante la gente comune continui a vivere normalmente, senza odi e senza rancori, a livello istituzionale le relazioni fra i due Paesi sono ai minimi storici. La Bielorussia cerca anche di cancellare i legami storici con la Polonia: al museo del poeta Maksim Bogdanovich, un’antica ed elegante casa in legno a un piano nel centro della città, è arrivato l’ordine di eliminare tutte le fotografie e i testi che fanno riferimento alla scrittrice Eliza Orzeszkowa, di nazionalità polacca ma a tutti gli effetti cittadina di Grodno. Anche i notiziari di tutte le emittenti televisive accusano ininterrottamente la Polonia e la Lituania di armare le frontiere e di nutrire sentimenti di inimicizia nei confronti della Bielorussia. Il Presidente bielorusso Aleksandr Lukashenko, quotidianamente in visita a fabbriche e aziende agricole, sostiene che il suo Paese è pronto anche a difendersi, in caso di attacco. Nello stesso tempo, però, in un gioco di equilibrio per certi versi strabiliante, invita l’Occidente al dialogo.

Fig. 2 – Grodno: la casa natale di Eliza Orzeszkowa | Foto: Christian Eccher

LA POLITICA DELLE DUE SEDIE (SEMPRE PIÙ SCOMODE)

Il discorso tenuto dal Presidente l’11 agosto scorso all’aeroporto di Minsk, ha stupito non solo i media stranieri, ma anche l’opinione pubblica interna. Lukashenko era infatti in visita agli hangar che ospitano i velivoli della compagnia nazionale Belavia e ha sostenuto che la Bielorussia non può assolutamente permettersi di perdere i rapporti diplomatici ed economici con l’Occidente. “Lukashenko si trova fra l’incudine e il martello – dice E.P., economista di Brest – Da un lato deve fare ciò che dice il Cremlino, perché dipende in tutto e per tutto da Mosca. Dall’altro sa che la rottura definitiva con l’UE segnerebbe anche la fine dell’indipendenza della Bielorussia. Il Paese vive infatti degli scambi economici con i “nemici” dell’Ovest, scambi che ancora esistono nonostante le sanzioni. Da quando lituani e polacchi hanno chiuso quasi tutti i passaggi di frontiera, le autorità di Minsk hanno già perso la grande quantità di denaro che guadagnavano con il contrabbando, soprattutto di sigarette. Intendiamoci, anche polacchi e lituani traevano profitto da questi scambi: con la chiusura delle frontiere, i nostri vicini ci fan capire che loro possono vivere anche senza questi commerci; loro, non noi.” Aggiunge E.P.: “C’è poi anche un’altra ragione Le merci che dai Paesi CIS vanno in Europa e viceversa, passano anche per la Bielorussia. Se Varsavia e Vilnius dovessero chiudere le frontiere, la Bielorussia si troverebbe davvero a essere isolata: i camion e i treni per la Polonia (quelli merci possono passare il confine, quelli passeggeri sono sospesi, nda) troverebbero strade alternative e a quel punto a noi, senza royalties e diritti di passaggio, rimarrebbe una sola strada per sopravvivere economicamente: l’entrata nella Federazione Russa, che nessuno vuole, neanche Lukashenko”. In effetti, il Presidente bielorusso è finora riuscito a bilanciare le esigenze della Russia e quelle dell’Occidente ma sembra che questa politica mostri sempre più le corde, soprattutto dopo l’inizio dell’invasione russa in Ucraina: l’opinione pubblica interna, soprattutto i giovani, non appoggia più le autorità di Minsk, che governano solo grazie alla repressione politica. Il fatto che la Bielorussia abbia permesso e permetta ai soldati russi di usare il proprio territorio a piacimento e che adesso ospiti i mercenari della Wagner e le armi nucleari di Mosca, dimostra poi che il Paese è sempre meno autonomo. Nessuno crede alle affermazioni del Presidente, il quale sostiene che la Russia è presente solo per aiutare e che la Wagner e le armi nucleari servano esclusivamente a rafforzare l’esercito nazionale, che da solo non potrebbe affrontare un conflitto con la NATO.

Christian Eccher

Photo by jackal007 is licensed under CC BY-NC-SA

Dove si trova

Perchè è importante

  • Prima parte del reportage di Christian Eccher dalla Bielorussia, dove i popoli europei sembrano essere tornati nemici e il Presidente Lukashenko oscilla tra fedeltà alla Russia putiniana e dialogo con l’Occidente.
  • Il reportage è disponibile gratuitamente per i soci e gli iscritti del Caffè e per tutti con un piccolo contributo editoriale. Vedi qui per i dettagli.

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Christian Eccher
Christian Eccher

Sono nato a Basilea nel 1977. Mi sono laureato in Letteratura italiana moderna e contemporanea all’Università degli Studi di Roma “La Sapienza”, dove ho anche conseguito il dottorato di ricerca con una tesi sulla letteratura degli italiani dell’Istria e di Fiume, dal 1945 a oggi. Sono professore di Lingua e cultura italiana all’Università di Novi Sad, in Serbia, e nel tempo libero mi dedico al giornalismo. Mi occupo principalmente di geopoetica e i miei reportage sono raccolti nei libri “Vento di Terra – Miniature geopoetiche” ed “Esimdé”.

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