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Le caratteristiche del combattimento urbano

Analisi Quali sono le principali caratteristiche del combattimento in ambito urbano? Molte di queste si applicano sia in Ucraina sia a Gaza.

NON SOLO MURI E ANGOLI

Mentre continua il conflitto in Ucraina e si parla di possibile operazione di terra a Gaza, vale la pena spiegare alcuni concetti base che caratterizzano il combattimento urbano, tema vastissimo per il quale sono stati scritti paper accademici e libri interi. Ci limiteremo ad analizzare gli aspetti salienti.

Alcuni osservatori definiscono il combattimento urbano “the ultimate game of angles”, perché gli angoli sono forse l’elemento che più condiziona l’intero modus operandi: aiuto per ripararsi, ma anche soglia oltre la quale può nascondersi il pericolo – e per questo ugualmente utili e rischiosi.

Questo dualismo vale anche per un semplice muro, altro elemento apparentemente banale del combattimento urbano. Sono forse il più evidente dei ripari, purché l’avversario non abbia pallottole che possono attraversarlo – un aspetto cui si potrebbe non fare caso. E mentre l’istinto porterebbe a schiacciarsi addosso ai muri per ottenere il massimo della copertura, alcuni video di addestramento della polizia mostrano che un proiettile che colpisce un muro non rimbalza “a specchio”, ma lungo il muro stesso. Il che significa che una persona schiacciata sul muro ha più probabilità di essere colpita da un colpo che manca il bersaglio e gli rimbalza addosso rispetto a una un po’ distanziata. Per quanto ovviamente tutto dipenda da caso a caso (arma, angolazione, etc.), è anche sintomatico di un ambiente dove la complessità del combattimento si moltiplica esponenzialmente e non è sempre intuitiva.

Il combattimento urbano va quindi visto oltre agli aspetti generali che tutti abbiamo in mente. È possibile riassumere le dinamiche fondamentali raggruppandole in alcuni macro-temi: volumetria dell’ambiente, impiego della potenza di fuoco, movimento.

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Fig. 1 – Fumo sulla città di Gaza dopo un attacco aereo israeliano, 9 ottobre 2023

VOLUMETRIA DELL’AMBIENTE

Sembra scontato definire un ambiente urbano come tridimensionale, dato che tutta la realtà fisica lo è. Tuttavia in tale ambito la tridimensionalità non riguarda solo il fatto che siano presenti palazzi anche particolarmente elevati.

In primis esiste uno spazio sopra la città, dove operano le forze aeree (inclusi elicotteri e droni). Nel caso di battaglie dove una delle parti operi in forze con la propria aviazione, come Gaza, esiste la necessità di coordinare gli sforzi e i velivoli, per evitare incidenti tra forze amiche, collisioni o altri problemi.

Lo spazio aereo sopra una città è infatti generalmente settorializzato secondo una tecnica che gli USA chiamano HIDAC (High Density Air Control), impiegata anche da altre Forze Armate in maniera analoga (sebbene con variazioni specifiche da caso a caso) e utilizzata per le prime volte in Medio Oriente durante la guerra al terrorismo, nonostante l’origine del concetto sia precedente. Lo spazio aereo è sostanzialmente visto come un cilindro verticale immaginario, a sua volta diviso in strati immaginari ciascuno comprendente un certo intervallo di altitudine. Ogni strato può essere a sua volta diviso in settori, quadranti o corridoi.

L’idea è che lo spazio aereo non rimanga indefinito, ma sia sostanzialmente diviso virtualmente in una mappa che i controllori a terra possano utilizzare per organizzare l’entrata e l’uscita degli aerei o le sequenze di attacco evitando collisioni o problemi di sovrapposizioni indesiderate. Questo consente l’impiego ordinato di elevate quantità di aerei, droni, elicotteri, massimizzandone l’uso.

In termini terrestri invece va ricordato che gli ambienti urbani possiedono anche una dimensione sotterranea (e Gaza ne è un esempio eclatante, dati tunnel, bunker e passaggi costruiti negli anni da Hamas), cosa che moltiplica lo spazio utile a disposizione dei difensori e crea un reticolo più complesso da affrontare per gli attaccanti.

La dottrina USA per il combattimento in tunnel o aree sotterranee è relativamente nuova (“Small Unit Training in Subterranean Environments“, 2017) e gli israeliani hanno già qualche esperienza da scontri precedenti, ma sanno appunto anche quanto sia letale: spazi angusti, possibilità di trappole e imboscate – tutte le difficoltà tipiche del combattimento urbano all’interno di edifici in un ambito anche più claustrofobico. Inoltre esiste un problema addizionale: la topografia (anche verticale) di un centro urbano può essere mappata e controllata continuamente prima e durante il combattimento, ma non è possibile fare lo stesso con tunnel, passaggi e ambienti sotterranei, della cui esistenza, estensione o perfino modifiche rispetto al passato l’attaccante può non essere al corrente.

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Fig. 2 – Miliziani del Fronte Democratico per la Liberazione della Palestina (FDLP) sorvegliano un tunnel a Gaza

IMPIEGO DELLA POTENZA DI FUOCO

Dagli anni Novanta del XX secolo la potenza di fuoco degli eserciti moderni ha potuto progressivamente passare dalla “massa” alla “precisione”. Se durante la II Guerra Mondiale era necessario bombardare massicciamente una città per colpire pochi bersagli di valore, oggi un singolo missile guidato può colpire selettivamente il bersaglio, riducendo la quantità di ordigni necessari. Potenzialmente è perfino possibile colpire non solo un singolo edificio, ma un determinato piano all’interno dell’edificio. Eppure il primo aspetto che impressiona nella guerra urbana contemporanea è che la distruzione sia comunque estremamente estesa e ogni centro abitato nel quale si combatte venga generalmente devastato.

In alcuni casi esistono eserciti che non si preoccupano di minimizzare i danni “secondari” a edifici e popolazione. In altri, come spiegato da Anthony King nel suo Urban Warfare in the Twenty-First Century, il singolo colpo può essere preciso, ma il combattimento urbano richiede di colpire un numero elevato di bersagli, crescente man mano che l’avversario si sposta e occupa nuove posizioni, tale da rendere la distruzione complessiva comunque ingente. In altre parole la presenza di forze nemiche disperse attraverso l’ambiente urbano rende necessario colpire in molti luoghi diversi, con l’effetto cumulativo di una distruzione diffusa. E di fronte alla potenza di fuoco attuale a disposizione di molti eserciti la dispersione delle forze risulta uno degli elementi più comuni.

Sarebbe sbagliato però pensare che quando si parla di “potenza di fuoco” il discorso si limiti a quali armi impiegare e in quali quantità. Prima di fare fuoco infatti servono altri elementi: una mappatura completa dell’area, che permetta di identificare e classificare correttamente ogni edificio o altro elemento rilevante – questo per indicare precisamente non solo dove operare, ma soprattutto dove colpire senza ambiguità. Esiste poi la necessità di un lavoro costante (spesso iniziato mesi o anni prima) di intelligence che mappi sia le disposizioni e movimenti del nemico sia l’ambiente sociale e infrastrutturale dell’abitato: civili e loro organizzazione sociale, infrastrutture, utilities… – questo per poter identificare aree vulnerabili, come evitare eccessive vittime civili, quali punti risultino chiave per il controllo e la sopravvivenza dell’abitato, quali dinamiche locali poter sfruttare per appoggi o aiuti (ove possibile). Infine la definizione, derivante dai punti precedenti, di cosa sia bersaglio utile e cosa no.

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Fig. 3 – Un soldato ucraino del battaglione d’assalto Skala nei pressi della città di Orikhiv, nell’area di Zaporizhzhia

MOVIMENTO

Come muoversi all’interno di una città è un problema perfino più critico che altrove. Esso infatti ha sia dinamiche orizzontali (lungo strade, piazze, accanto a palazzi…) che verticali (piani di un edificio, aree e tunnel sotterranei). A questo si aggiunga il fatto che i percorsi sono sì delimitati da muri e costruzioni, ma durante i combattimenti la stessa topografia si modifica: ostruzioni di passaggi o strade causa barricate o macerie, aperture nei muri anche tra stanze dello stesso edificio (“mouseholing”) create per muoversi velocemente non visti, utilizzo di fognature o tunnel sotterranei per creare nuove direttrici di avanzata o ritirata…

Per l’attaccante a livello operazionale il come muoversi dipende fortemente dall’obiettivo finale dell’operazione e dalla dottrina di combattimento urbano di ogni esercito o forza armata. Attaccare una città per conquistarla è diverso dal cercare di eliminare selettivamente solo determinati leader avversari o determinate capacità avversarie. Allo stesso modo scacciare i nemici da un centro urbano comporta necessità differenti dal volerne impedire la fuga in ottica di eliminazione.

In Ucraina, soprattutto in centri urbani dall’estensione limitata, osserviamo linee che si contrappongono in maniera più statica, dove si combatte strada per strada ed edificio per edificio, ma sempre lungo un “fronte”, con capacità limitate di manovrare a causa dell’enorme potenza di fuoco reciproca in gioco. Questo rende lenta e difficile la progressione per chiunque. Proprio per questo i combattenti provano soprattutto a scontrarsi attorno ai centri urbani maggiori per tagliare le linee di comunicazione all’avversario e costringerlo a ritirarsi (o intrappolarlo dentro).

In un contesto come Gaza invece la priorità per le Israeli Defence Forces (IDF) è l’eliminazione selettiva del gruppo terrorista Hamas o almeno la significativa degradazione a lungo termine della sua capacità di minacciare Israele (cosa che, a dire il vero, può implicare diversi aspetti). Cinturare la città serve a impedirne la fuga, mentre la penetrazione di forze in più aree intende colpire l’avversario contemporaneamente in più parti per impedire possa coordinarsi.

In questi casi, a meno che Israele non opti per un’operazione metodica (e lenta) di “pulizia” della Striscia dalla presenza di miliziani blocco a blocco, lo spazio urbano non ha un fronte ben definito, e la battaglia si trasforma soprattutto in una serie di “mini-assedi” spesso incentrati su singoli edifici o isolati, dove una parte delle forze opera contro l’avversario e il resto controlla le vie di comunicazione per impedire alle proprie forze di essere aggirate. Questo è piuttosto comune nel combattimento urbano. Lo stesso movimento può essere tutt’altro che lineare e caratterizzato piuttosto da incursioni più o meno temporanee per colpire selettivamente. Va quindi lasciata da parte l’idea di fronti definiti: le linee sono porose e continuamente in evoluzione e sia per l’attacco che per la difesa valgono anche tecniche come il già citato “mouseholing” per aprire nuovi percorsi attraverso muri anche all’interno di edifici o lo “swarming” per soverchiare un bersaglio con forze superiori da diverse direzioni. Questo implica che tra l’equipaggiamento necessario per il combattimento urbano delle unità vadano sempre inclusi anche mezzi per scalare, esplosivi e attrezzi per scavare tunnel o buchi nei muri.

Il movimento continuo delle forze che combattono e i danni crescenti all’abitato rendono particolarmente critico aggiornare costantemente le informazioni. La mappatura dell’intelligence deve essere continua e la capacità di avere una kill chain particolarmente rapida è fondamentale, perché l’ambito così complesso riduce la “finestra temporale” utile per colpire un bersaglio una volta individuato. E il rischio di colpire civili rimane sempre alto.

Oltre agli aspetti “macro” di movimento esistono poi quelli “micro”: come ogni squadra o gruppo di soldati si muova all’interno dello spazio urbano. Il combattimento urbano è infatti brutale: dietro ogni porta, muro o stanza possono trovarsi trappole o nemici armati, pronti all’imboscata, o con vie di fuga preparate che permettono di sfuggire a cattura o uccisione. La frustrazione e il peso psicologico della tensione continua sono elementi reali e crescenti per chi è coinvolto, così come le brevi distanze che possono amplificare il senso di vulnerabilità. Le perdite (per ferite, decessi e crisi psicologiche) sono spesso elevate per entrambi.

Esistono tecniche – definite sotto la categoria di “Close-Quarters Battle” (CQB) – che vengono insegnate per inculcare nei militari moderni come ci si muova in ambito urbano, come si entri in una stanza quando si è in squadra (ad esempio il “Five Step Entry” drill) dove potrebbe esserci il nemico o altre situazioni. Ogni membro di una squadra è addestrato per sapere automaticamente cosa deve fare e come reagire e tale conoscenza deve diventare automatica (tramite addestramento e ripetizioni durante esercitazioni) perché siano efficaci in caso di combattimento reale.

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Fig. 4 – Unità delle forze speciali israeliane durante un addestramento in un kibbutz nel nord del Paese

L’APPROCCIO ISRAELIANO AL COMBATTIMENTO URBANO

Tradizionalmente, nei confronti di Hamas a Gaza, Israele si è ispirato a una dottrina basata sulla rapida distruzione delle capacità di colpire e nuocere alla sua popolazione, anche in assenza di distruzione completa. I recenti eventi di questi giorni potrebbero invece portare Israele a puntare a colpire in maniera più incisiva e determinante per eliminare (per quanto possibile) la presenza stessa dell’avversario nella Striscia di Gaza. Questo può dunque implicare una modifica degli obiettivi e della durata dell’operazione, ma non la base dell’approccio stesso.

In una intervista all’Urban Warfare Project Podcast del Modern War Institute, il Brigadier Generale (res.) Meir Finkel del Dado Center for Interdisciplinary Military Studies in Israele ha delineato le principali caratteristiche dell’approccio delle IDF al combattimento urbano.

L’intervista è del 2022 e va ricordato che ogni dottrina viene poi adattata alla situazione reale, ma può comunque essere un’indicazione utile per comprendere come le IDF possano affrontare una operazione di terra a Gaza.

L’approccio israeliano parte da due considerazioni:

  1. Il combattimento urbano si divide in micro-assedi che richiedono ciascuno piccole forze indipendenti, che però devono avere il massimo della capacità (in termini di assets e capabilities) di operare indipendentemente.
  2. Per quanto in ambito urbano la fanteria sia fondamentale, essa da sola rischia di essere distrutta. Ha sempre bisogno di un appoggio di mezzi corazzati.

L’approccio israeliano punta all’impiego di unità ad armi combinate a livello di compagnia. Dunque la base generalmente è costituita da una compagnia di fanteria equipaggiata con gli APC pesanti Namer, capaci non solo di fornire appoggio e protezione, ma anche di trasportare equipaggiamenti e munizioni per permettere all’unità di operare a lungo indipendentemente senza altri rifornimenti se necessario. Questo gruppo centrale va poi appoggiato da 2-3 carri armati Merkava e 2-3 bulldozer, oltre a un plotone di Combat Engineers (genio demolitori), tra cui, a seconda dei casi, una quadra di esperti nella lotta ai tunnel sotterranei. A Gaza ovviamente verrebbero impiegati numerosi gruppi così organizzati.

Le unità corazzate invece raramente operano in maniera massiccia per battaglioni, ma vengono piuttosto disperse perché i carri appoggino appunto le fanterie e controllino i principali incroci e strade, fornendo fuoco diretto ove necessario. L’appoggio aereo e di artiglieria terrestre fornisce invece potenza di fuoco secondo le modalità descritte sopra.

Non citato da Finkel, ma osservato comunque durante l’operazione Cast Lead del 2008-2009 (ultimo grande conflitto di terra all’interno della Striscia di Gaza), l’impiego massiccio di forze corazzate o meccanizzare non è necessariamente escluso: allora un battaglione “tagliò a metà” la Striscia, di fatto isolando la città di Gaza dalle zone meridionali. Il suo ruolo tuttavia era sempre quello di cordone per controllare il territorio e fisicamente impedire che Hamas potesse rinforzare o coordinare le sue posizioni. Non è possibile al momento dire se una soluzione analoga verrà messa in atto ora.

Lorenzo Nannetti

Fonti:

  • A. King, Urban Warfare in the Twenty-First Century, John Wiley and Sons, 2021
  • D. Richemond-Barak, Underground Warfare, Oxford University Press, 2017
  • D.Billingsley, Fangs of the Lone Wolf: Chechen Tactics in the Russian-Chechen Wars 1994-2009, Helion and Company, 2013
  • The Israeli Way of Urban Warfare – intervista al Brigadier Generale Meir Finkel, Urban Warfare Project Podcast, 13 maggio 2022: https://mwi.westpoint.edu/the-israeli-way-of-urban-warfare/

Sul dibattito circa la dottrina militare israeliana contro avversari come Hamas:

Sul concetto di kill chain:

Photo by tprzem is licensed under CC BY-NC-SA

Dove si trova

Perchè è importante

  • I combattimenti in centri urbani in Ucraina ed eventualmente a Gaza hanno caratteristiche peculiari.
  • Le caratteristiche fondamentali coinvolgono volumetria dell’ambiente, impiego della potenza di fuoco e movimento.
  • L’approccio israeliano al combattimento urbano coinvolge l’uso di unità ad armi combinate a livello di compagnia capaci di operare indipendentemente.

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Lorenzo Nannetti
Lorenzo Nannetti

Nato a Bologna nel 1979, appassionato di storia militare e wargames fin da bambino, scrivo di Medio Oriente, Migrazioni, NATO, Affari Militari e Sicurezza Energetica per il Caffè Geopolitico, dove sono Senior Analyst e Responsabile Scientifico, cercando di spiegare che non si tratta solo di giocare con i soldatini. E dire che mi interesso pure di risoluzione dei conflitti… Per questo ho collaborato per oltre 6 anni con Wikistrat, network di analisti internazionali impegnato a svolgere simulazioni di geopolitica e relazioni internazionali per governi esteri, nella speranza prima o poi imparino a gestire meglio quello che succede nel mondo. Ora lo faccio anche col Caffè dove, oltre ai miei articoli, curo attività di formazione, conferenze e workshop su questi stessi temi.

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