La nazione sudamericana ha compiuto duecento anni di vita lo scorso 25 maggio. Da una situazione di partenza, nella quale mancavano sia lo Stato che la nazione, l'Argentina è divenuta uno dei Paesi più sviluppati del pianeta all'inizio del XX secolo, salvo poi imboccare la via di un lento declino politico ed economico che continua ancora oggi. Le sfide che Buenos Aires ha di fronte a sé in questo momento sono cruciali
BICENTENARIO – La toponomastica argentina non è molto varia, giacchè in ogni città, dalla più grande alla più minuscola, i nomi delle strade coincidono per la maggior parte con i principali patrioti e personaggi politici nazionali. E con due date fondamentali: le “avenidas” o “plazas” 25 de Mayo e 9 de Julio sono immancabili. La prima data si riferisce al 25 maggio 1810, giorno in cui fu proclamato il primo governo indipendente dal vicereame della Plata, espressione della dominazione coloniale spagnola. La seconda sta invece per 9 luglio 1816, quando anche Madrid riconobbe ufficialmente l'indipendenza dell'Argentina e venne barata la prima costituzione.
Martedì 25 maggio, dunque, è stata grande festa: non solo per i quaranta milioni di argentini che vivono in patria, ma per i numerosi emigranti che si sono trasferiti in Europa. L'Argentina, un po'come tutti gli Stati sudamericani, è caratterizzata da un forte sentimento nazionale, frutto di un processo di formazione dello Stato e della nazione che non è stato immediato ma che ha richiesto circa un secolo per giungere a compimento. All'inizio del XX secolo, infatti, il controllo di Buenos Aires sul vastissimo e scarsamente popolato territorio si poteva dire acquisito, mentre le istituzioni politiche cominciavano ad assumere contorni tipici delle democrazie liberali del tempo e l'economia iniziava a decollare, portando presto il Paese ad essere uno degli Stati più ricchi del mondo grazie all'esportazione di prodotti agropecuari e ad attrarre milioni di emigranti provenienti da tutta Europa, ma soprattutto dall'Italia: basti pensare che oggi un argentino su due è originario del nostro Paese.

ED OGGI? – La “Presidenta” Cristina Fernández de Kirchner è stata la protagonista degli imponenti festeggiamenti che hanno avuto luogo nella capitale. Il Capo di Stato ha sostenuto come l'Argentina non sia mai stata “così democratica e sviluppata”: affermazione in parte vera, ma da ponderare in rapporto alle pagine oscure del passato – anche recente – della nazione sudamericana e alla situazione odierna, che non è idilliaca come la si vorrebbe fare apparire.
Dal secondo dopoguerra in avanti, l'Argentina ha in pratica volatilizzato la posizione di leadership a livello globale, complici anche élites politiche inadeguate e instabili. Il Paese è stato infatti in balia per due volte di dittature militari (la seconda, dal 1976 al 1983, costituisce probabilmente la pagina più buia della storia nazionale) e ha attraversato terribili crisi economiche (le più recenti sono state quelle di fine anni '80 e il clamoroso tracollo finanziario del 2001) crogiolandosi nella convinzione di essere il migliore del continente sudamericano. La verità, oggi, è purtroppo un'altra: l'Argentina ha perso la sua posizione di supremazia nell'area, schiacciata da una parte dalla crescita inarrestabile del Brasile (con cui non può reggere il confronto seguendo criteri demografici) e dall'altra dal dinamismo del Cile, un Paese strutturalmente simile ma che ha saputo emanciparsi dalla dipendenza delle materie prime come risorsa esclusiva dando vita ad ampi programmi di investimenti rivolti soprattutto all'estero.
L'Argentina, insomma, ha smesso di correre da troppo tempo anche se avrebbe le qualità per andare fortissimo, potendo contare su risorse umane di primo livello nel panorama latinoamericano e su una società civile culturalmente avanzata. L'esecutivo attualmente in carica, invece, non ha saputo ridare slancio al sistema Paese penalizzando da una parte le lobbies più influenti per l'economia nazionale (i grandi produttori agricoli) e rimanendo dall'altra nell'ottica di politiche assistenzialiste, tipiche dello statalismo di tradizione peronista, che mantengono basso il conflitto sociale eliminando però gli incentivi alla crescita e allo sviluppo di lungo periodo.
Le sfide per i prossimi duecento anni sono dunque tante e complesse. Comunque vada, auguri Argentina.
Davide Tentori