Analisi – Lula alla ricerca dell’unità in un Brasile polarizzato.
UN BRASILE ‘PIÙ TRANQUILLO’ CON LULA?
Da qualche tempo in Brasile regna una calma placida nel dibattito politico. A distanza di un anno e mezzo dall’assalto al Congresso Nazionale a Brasilia dell’8 gennaio 2023, il clima di polarizzazione e tensione che aveva accompagnato lo scontro per l’elezione presidenziale tra Lula e Bolsonaro in Brasile sembra essere un ricordo lontanissimo. La politica brasiliana è tornata a livelli di “normalità” da Paese stabilmente democratico, come il Brasile si era presentato sullo scenario internazionale dalla fine degli anni Novanta allo scandalo Lava Jato del 2014. Ma è davvero così?
Fig. 1 – Luiz Inacio Lula da Silva, Presidente del Brasile, in conferenza stampa al Planalto Palace nella capitale Brasilia
L’EREDITÀ DI BOLSONARO
Nei quattro anni del Governo Bolsonaro sono successe molte cose che hanno segnato profondamente il Brasile. Sulla spinta dell’indignazione pubblica verso il PT (Partido dos Trabalhadores) e del suo leader Lula a seguito dello scandalo Lava Jato, l’ex Presidente aveva promesso di eliminare la corruzione e di restaurare l’ordine morale. Presentatosi con un programma di estrema destra, Bolsonaro ha vinto le elezioni presidenziali del 2018 con l’obiettivo di trasformare radicalmente il Brasile. Il disegno politico di Bolsonaro, un ex paracadutista dell’esercito brasiliano, si caratterizzava per una forte impronta conservatrice dal punto di vista sociale, che ha attirato il consenso dell’elettorato evangelico, un gruppo in costante aumento numerico da anni e che potrebbe presto superare i cattolici. Sul piano economico Bolsonaro ha affidato a Paolo Guedes, un economista liberista della scuola di Chicago e co-fondatore della Banca d’Investimento BTG Pactual, il compito di ri-modellare l’architettura economica del Paese. La politica economica di Guedes, al quale fu affidato un superministero dell’Economia, si proponeva di implementare un ampio programma di privatizzazioni e di tagli alla spesa pubblica, abbinato a una riforma del Welfare in stile cileno (con un aumento della quota dei fondi privati o complementare) e un taglio delle tasse sui redditi e sul capitale. Il programma di Bolsonaro si sostanziava attraverso un mix di conservatorismo sociale ed economia liberista tipico dei Governi conservatori in America Latina. Come ha evidenziato il Bertelsmann Transformation Index (BTI), nel quadriennio bolsonarista il Brasile è stato sottoposto a un’elevata pressione autoritaria, che è stata tamponata grazie alla resilienza delle solide seppur giovani Istituzioni brasiliane. Bolsonaro ha inondato l’Amministrazione di figure militari, in un Paese in cui il ricordo della dittatura militare (terminata ufficialmente nel 1988 con la nuova Costituzione) era ancora nitido. Molte delle figure tecniche del Governo Federale e delle Amministrazioni sono state nominate secondo motivazioni ideologiche, piuttosto che sulla base del loro skill set. Bolsonaro ha alimentato negli anni un clima incendiario nei confronti di oppositori politici e della stampa, dividendo il Brasile e allo stesso tempo consolidando una base elettorale affezionata e granitica, analogamente a quello che è successo con Trump negli Stati Uniti. Numerose sono state le accuse di violazioni di diritti umani, soprattutto per quanto riguarda le popolazioni indigene dell’Amazzonia. Sotto questo punto di vista, Bolsonaro ha indebolito le agenzie ambientali federali e ha appoggiato misure legislative per allentare le protezioni del territorio in nome dello sviluppo economico, dando una forte spinta alla colonizzazione dei terreni da parte dei grandi latifondisti e alla conseguente deforestazione del Brasile. E poi la Covid-19 ha colpito il Brasile. Sulla scorta della pandemia, la promessa della rivoluzione neoliberale sotto Guedes si è infranta quando Bolsonaro ha di fatto ripreso la Bolsa Familia, il famoso programma di assistenza economica verso i poveri che ha reso molto popolare Lula nel suo primo mandato, e l’ha “re-brandizzata” trasformandola in un programma di trasferimenti diretti di denaro verso la popolazione, sotto il nome Auxilio Brasil. L’obiettivo era duplice: dare un sollievo economico alla popolazione garantendosi allo stesso tempo consenso in vista delle elezioni presidenziali. Dopo anni di crescita rallentata e di generale clima di incertezza degli investitori stranieri, il programma, oltre a rompere con la linea programmatica economica governativa, ha generato una notevole spinta inflazionistica che ha aggravato la già precaria situazione economica del Brasile a seguito della Covid-19, che ha ucciso oltre 600mila persone nel Paese, mentre l’ex Presidente si è distinto per un approccio negazionista.
COME STA ANDANDO IL PAESE?
Nell’ottobre del 2022, la vittoria di Lula in Brasile è sembrata un sospiro di sollievo dopo gli anni di tensione e polarizzazione politica. Lula, che si era reso famoso per essere un abile negoziatore che ha saputo costruire maggioranze e dialogare con il variegato contesto del Congresso brasiliano, ha portato una ventata di politics as usual. Un quadro che merita però delle precisazioni importanti: se è vero che Bolsonaro è stato sconfitto, lo stesso non si può dire del bolsonarismo. Parallelamente alle elezioni presidenziali si sono svolte le elezioni parlamentari e governative di molti Stati Federali del Brasile, in cui le forze politiche e i politici vicini all’ex Presidente hanno ottenuto ampi successi. Al Congresso brasiliano i partiti di Governo sono risultati in forte minoranza, obbligando di fatto Lula a dover costruire ed estendere continuamente le proprie alleanze, a costo di dover fare frequenti compromessi. Un esempio è l’accordo sulla recente Riforma Fiscale, considerata un grande successo dell’Amministrazione Lula, ma per la cui approvazione il Presidente è stato costretto a fare un rimpasto di Governo e a nominare due ex membri della squadra di Bolsonaro e suoi forti sostenitori come Andre Fufuca e Silvio Costa Filho, scatenando indignazione nei propri alleati. Alle elezioni degli Stati Federali è andata anche peggio: solo 8 su 27 Stati del Brasile sono governati da membri dei partiti della coalizione governativa. Anche se la sensazione è che il dibattito politico sia meno infuocato dei tempi di Bolsonaro, con un clima di generale “distensione” tra le opposizioni, ciò non significa che la divisione sia scomparsa. La polarizzazione sembra piuttosto essersi calcificata in Brasile, con un sondaggio recente che indica che il 90% degli elettori non si è pentito della scelta alle elezioni Presidenziali. Decisivo sarà a tal proposito il peso degli elettori evangelici nelle dinamiche politiche future, una fetta sempre più crescente di popolazione che sta spostando ulteriormente verso destra un Paese dalle già forti tendenze conservatrici. La violenza è ancora un fattore importante nel Paese, nonostante il calo degli omicidi. La sicurezza, in particolare, è un tema che ha pesato molto alle elezioni del 2018 e che continua a essere importante per la popolazione brasiliana.
ROMPERE CON IL PASSATO BOLSONARISTA
Sotto la Presidenza di Bolsonaro, molte ONG sono state vittime di attacchi e persecuzioni, soprattutto per la difesa degli indigeni e della Foresta Amazzonica, segnata dall’agenda negazionista del cambiamento climatico dell’ex Presidente. Il tentato colpo di Stato dell’8 gennaio 2023 è stato il culmine di una tensione politica alimentata da molto tempo, testimoniata dai piani di rovesciamento del Governo eletto da parte di Bolsonaro con l’approvazione di ampie fasce dell’apparato militare, mai messi in pratica alla fine dell’ex Presidente. Lula si era presentato alle elezioni con la promessa di terminare la violenza bolsonarista e di riportare pace e progresso in Brasile. In politica interna, ha avviato una decisa virata ambientalista rispetto al suo predecessore, promettendo di proteggere la Foresta Amazzonica e le popolazioni indigene. Nei suoi primi due mesi di mandato, Lula ha ripreso progetti e finanziamenti volti a promuovere lo sviluppo sostenibile e per le posizioni ministeriali più rilevanti, ha scelto leader riconosciuti per i loro risultati, facendo tirare un sospiro di sollievo a tutta la comunità scientifica. Sul fronte delle politiche economiche, il programma di Lula si è basato sul riportare lo Stato al centro (anche se, come si è visto, Bolsonaro non ha mai dismesso del tutto la macchina statale) e sul creare un ambiente economico favorevole per le imprese semplificando burocrazia e regime fiscale, mantenendo al contempo un forte impegno per le politiche di welfare e di assistenza economica.
Fig. 2 – L’ex Presidente Jair Bolsonaro con la tipica maglia della Seleção, la divisa della nazionale di calcio brasiliana, a un comizio a Copacabana Beach (Rio de Janeiro)
LUCI E OMBRE SUL BRASILE DI LULA
Oltre a una situazione di apparente ritorno alla normalità, l’economia sotto Lula va meglio secondo gli analisti e sembra essersi ripresa dal pantano post-Covid. La crescita si attesta su una media tra 2-3% all’anno, la spinta inflazionistica si è ridotta senza richiedere tagli drastici della spesa pubblica, la disoccupazione è ai minimi storici e la fiducia dei mercati internazionali verso il Brasile è stabile, anche se ancora con ampi margini di incertezza rispetto agli anni d’oro dei Governi Lula dal 2003 al 2010. Questa insicurezza deriva proprio dal fatto che, con un rapporto debito pubblico/Pil ancora elevato (previsto per l’81% nel 2025, anche se molto più ereditato dalla pandemia), Lula non sembra intenzionato a fare marcia indietro sui programmi di spesa pubblica, anche se di recente il Governo ha cercato di calmare i mercati promettendo una spending review. In mezzo agli indicatori economici positivi e a una fiducia traballante dei mercati si inserisce un quadro di disuguaglianze in costante aumento e una società sempre più fratturata, che pone sfide serie per il futuro del Paese. Senza la grande crescita economica degli anni d’oro dei primi Governi, difficilmente Lula potrà permettersi le stesse politiche di assistenza ai poveri. In politica estera, la Presidenza di Lula ha visto un forte ritorno del multilateralismo tipico dei suoi primi Governi, con un riavvicinamento ai BRICS e una spinta alla cooperazione regionale con l’obiettivo di “un mondo più equo”, uno strappo decisivo rispetto al fronte atlantista e trumpista che aveva inaugurato Bolsonaro, fatto di rapporti bilaterali con Paesi amici. Su questo fronte, il capitolo più significativo riguarda la presa di posizione del Brasile di Lula sulla questione israelo-palestinese: il Presidente brasiliano ha infatti fortemente condannato l’operato del Governo di Netanyahu, asserendo che il Paese sta compiendo un genocidio a Gaza, dichiarazioni che hanno portato alla rottura tra i due Stati.
IL RUOLO DEL CENTRÃO E GLI SCENARI FUTURI
Lula si ritrova a dover fronteggiare un clima ostile nel Congresso, sempre più in mano del Centrão, l’insieme dei partiti brasiliani che decidono le sorti della politica brasiliana dagli albori della Repubblica e che alle ultime elezioni è uscito ancora più rafforzato. Il Centrão è un agglomerato di forze politiche che è nato come “rifugio politico” dei sostenitori della dittatura militare, con una collocazione ideologica che va dal centro all’estrema destra (Centrão è infatti un termine all’apparenza fuorviante). Negli anni si è evoluto fino a diventare un potente e folto ricettacolo di interessi particolari sul territorio brasiliano, con cui i partiti di governo hanno sempre dovuto dialogare per ottenere il consenso necessario ad approvare leggi ed implementare qualsiasi politica. Il Centrão raccoglie infatti politici che rispondono direttamente a interessi dei propri territori di appartenenza, il cui consenso viene di volta in volta comprato attraverso un meccanismo clientelare. Lula aveva già avuto a che fare con il Centrão in passato ed è sempre stato abile a costruire coalizioni ampie con un approccio pragmatico, che lo ha reso agli occhi dell’opinione pubblica uno dei politici più astuti non solo a livello nazionale, ma di tutto il mondo, nonostante la sua netta collocazione politica. Tuttavia, lo scenario attuale si presenta più complesso in ottica futura, vista la polarizzazione crescente e il ruolo sempre più importante degli elettori evangelici (il 64% dei quali credeva che le elezioni Presidenziali fossero state in qualche modo falsate). I tassi di approvazione di Lula sono buoni, con il Presidente dato tra il 50 ed il 54%, anche se le stime variano molto a seconda degli istituti di rilevazioni (che in alcuni casi riflettono una collocazione politica) con alcuni che lo danno tra il 30 ed il 40%. Si tratta di percentuali in ogni caso ben più basse degli anni d’oro di Lula, dove il Presidente fluttuava a tassi record dell’80%. Lula è apprezzato per il suo tentativo di stabilizzazione del Paese, stanco della violenza degli anni bolsonaristi. Tuttavia, nonostante i tentativi di unire il Paese, neanche il più pragmatico e unificatore dei politici come l’attuale Presidente sembra avere la ricetta per un Brasile che appare essere spaccato in due, con elettorati con idee divergenti e che riflettono interessi diversi. Un Paese che vuole tornare alla normalità, ma che oggi appare come un Brasile “americanizzato”. Da una parte con proletariato, donne e grandi città che rimangono fedeli a Lula, e dall’altra con lo spettro di un crescente elettorato fatto di classe media, proprietari terrieri e movimenti religiosi, con alle spalle l’incognita di un ritorno in scena dei militari, fedeli all’ex Presidente Bolsonaro.
Massimiliano Garavalli
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