Caffè Lungo – Con l’arrivo di Putin al potere, le politiche nei confronti delle comunità etniche della Russia sono diventante sempre più repressive. Oltre la retorica ufficiale, agli occhi del Cremlino la diversità etnica e linguistica del Paese è un problema. Politiche e decisioni adottate dall’inizio della guerra in Ucraina sembrano ulteriormente confermare ciò.
LE MINORANZE ETNICHE NEL MIRINO DEL GOVERNO RUSSO
Dall’arrivo al potere di Vladimir Putin nel 1999, le politiche del Cremlino nei confronti delle minoranze etniche presenti sul territorio russo si sono fatte costantemente più dure. La guerra in Cecenia, l’occupazione della Crimea e l’invasione dell’Ucraina hanno di volta in volta creato terreno fertile per l’adozione di politiche discriminatorie verso le popolazioni non-russe del Paese. A oltre due anni e mezzo dall’inizio del conflitto sul suolo ucraino, queste comunità , che rappresentano circa il 22% della popolazione, sono diventate progressivamente un bersaglio privilegiato del Cremlino. L’uscita della Russia dalla Convenzione per la protezione delle minoranze nazionali, ufficialmente avvenuta il primo agosto di quest’anno, ha rappresentato un ulteriore dimostrazione in tal senso. La Convenzione, adottata dal Consiglio d’Europa nel 1994 e ratificata dalla Russia nel 1996, costituisce il trattato multilaterale più comprensivo in materia di protezione delle minoranze nazionali. Le Autorità russe hanno dichiarato che la decisione di uscirne è maturata in seguito alle limitazioni poste al suo ruolo nel comitato consultivo della Convenzione, che impedirebbe al Paese di monitorare le violazioni dei diritti nei confronti dei russi madrelingua che vivono all’estero. La Federazione russa ospita oggi al suo interno 193 gruppi etnici che parlano almeno 270 lingue differenti. Benché la Russia abbia spesso adottato politiche in netto contrasto con i principi chiave della Convenzione, il ritiro ufficiale da essa pone seriamente il rischio di limitare i diritti e la protezione di popolazioni che ormai vivono nel Paese da secoli, quando l’allora Impero russo si espanse verso le terre a est e sud della capitale moscovita.
Embed from Getty ImagesFig. 1 – Alcuni membri dei Nenets, popolazione nomade che vive nelle regioni artiche della Russia
UNA QUESTIONE DI VECCHIA DATA
Il Presidente Putin ha spesso reiterato il concetto di Russia come un Paese multietnico e multiconfessionale, la cui forza risiede nella diversità della comune madrepatria. Al di là dei discorsi ufficiali la situazione è, però, ben diversa. La grande varietà etnica e religiosa della Russia è stata generalmente fonte di instabilità e preoccupazione tanto per il potere zarista quanto per quello sovietico, il quale ha portato avanti processi di russificazione e ha alle spalle una lunga storia di abusi e violenza nei confronti delle comunità etniche – si veda il caso della Crimea. La nascita della Federazione Russa non ha improvvisamente comportato un cambio della situazione. La narrazione secondo cui le popolazioni non-russe abbiano deliberatamente deciso di diventare parte dell’allora Impero zarista non è veritiera. Tantomeno le Repubbliche etniche, che oggi costituiscono ampie porzioni di territorio russo, ritengono di dovere la propria lealtà a Mosca. Ad oggi, nessun movimento indigeno ha abbastanza forza per convincere il Governo russo a discutere di maggior autonomia o addirittura secessione, tuttavia, l’ipotesi di una disgregazione dello Stato russo è una preoccupazione costante del potere moscovita, anche in considerazione del fatto che alcune di queste aree sono particolarmente ricche di risorse naturali. A partire almeno dalla Seconda guerra cecena, combattuta tra il 1999 e il 2009, una serie di politiche mirate a minare il sistema federalista del Paese e centralizzare il potere sono state adottate, aumentando il controllo su queste regioni e riducendone l’autonomia.
Embed from Getty ImagesFig. 2 – Manifestazione di tatari della Crimea ad Ankara poco dopo l’inizio dell’invasione russa dell’Ucraina, 24 febbraio 2022. Dopo l’annessione della penisola nel 2014 i tatari sono stati sottoposti a diverse misure repressive da parte del Cremlino
TUTTI I RUSSI SONO UGUALI, MA ALCUNI SONO PIĂ™ UGUALI DEGLI ALTRI
Il ritiro della Russia dalla Convenzione rappresenta solo l’ultimo di una serie di politiche e decisioni finalizzate a risolvere la questione delle minoranze. Nel 2015 venne istituita l’Agenzia Federale per gli Affari Etnici, la quale dispone peraltro di un registro dei rappresentanti delle comunità indigene. Politiche repressive sono state adottate, incluse restrizioni sull’insegnamento delle lingue native e il loro utilizzo in spazi pubblici. Inoltre, nei primi mesi dell’invasione dell’Ucraina, il numero di coscritti tra le popolazioni non-russe è risultato essere considerevolmente maggiore in proporzione e, a due anni e mezzo dall’inizio del conflitto, il tasso di feriti e deceduti tra le Repubbliche etniche rimane più alto che in altre regioni. La maggiore povertà e arretratezza di questi territori, e gli alti livelli di disoccupazione, spiegano in parte questa tendenza, in quanto rende l’arruolamento un’opportunità per ottenere un salario stabile. Allo stesso tempo, il Governo sembra attingere deliberatamente alle zone più arretrate e remote del Paese. L’invio di uomini al fronte da tali regioni evita di creare malumori tra gli strati di popolazione più abbiente che risiede nei centri urbani della Russia occidentale, dove la possibilità di proteste con risonanza nazionale è più concreta rispetto a città e villaggi nel Caucaso del Nord o nell’Estremo Oriente russo. Permette inoltre al regime di “diluirne” silenziosamente la popolazione, mandando al fronte i giovani che rappresentano il futuro delle comunità , le quali peraltro sono particolarmente attive politicamente e impegnate in discorsi pacifisti e anticoloniali, in netto contrasto con le narrazioni ufficiali del regime russo sulla guerra e il passato coloniale del Paese. In sostanza, Mosca sembra aver posto il fardello della guerra principalmente sulle comunità non-russe. A luglio del 2024, Mosca ha infine inserito 54 gruppi indigeni nella lista di organizzazioni estremiste. Secondo il Ministro della Giustizia Čujčenko, tali organizzazioni farebbero parte di un vagamente definito movimento antirusso separatista. L’uscita della Russia dalla Convenzione può pertanto considerarsi un’ulteriore maniera del Cremlino di colpire le minoranze nazionali. Sebbene Mosca non abbia generalmente rispettato i punti espressi dal documento, il suo abbandono ufficiale toglie alle minoranze le poche opportunità rimaste di difendere i propri diritti attraverso meccanismi legali e dar voce alle proprie preoccupazioni presso il Consiglio d’Europa a Strasburgo.
Lorenzo Asquini
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